— Sta scherzando! — reagì lei, ma temeva che non fosse così.
— Affatto, professoressa Vaughan. Sia il suo governo che il mio stanno prendendo molto sul serio la cosa.
— Bene, ma io che c’entro?
— Lei è stata in grado, sulla base del DNA, di identificare Ponter Boddit come Uomo di neanderthal, è esatto?
— È esatto.
— Quel test potrebbe aiutare a identificare qualsiasi neanderthal? Potrebbe indicare in modo affidabile se un determinato soggetto è un neanderthal o un essere umano?
— I neanderthal sono esseri umani — replicò Mary. — Noi e loro siano congeneri, apparteniamo allo stesso genere Homo. L’Homo habilis, l’Homo erectus, l’Homo antecessor… se lo vogliamo ammettere come specie legittima… l’Homo hendelbergensis, l’Homo neanderthalensis, l’Homo sapiens: tutti umani.
— Pur ammettendolo — concesse Krieger — con quale nome potremmo distinguerci da tutti gli altri?
— Homo sapiens sapiens — rispose Mary.
— Troppo tecnico, non le pare? Mi pare che qualcuno usasse il termine “Cro-Magnon”, che suona decisamente meglio.
— Ma, per l’esattezza, si riferisce solo a una popolazione specifica di umani, anatomicamente uguali a noi, vissuti nel Paleolitico superiore nel sud della Francia.
— Allora ripeto: con quale nome potremmo distinguerci dai neanderthal?
— Be’, Ponter e i suoi hanno un termine per indicare i resti umani fossili del loro mondo, che corrispondono a noi. Li chiamano “gliksin”. Così saremmo pari: noi li definiamo con un termine che richiama i loro antenati fossili, e viceversa.
— Ha detto… gliksin? — Krieger ci rimuginò. — E va bene, immagino che possa funzionare. Quindi, il suo test del DNA potrebbe distinguere, in modo affidabile, qualsiasi neanderthal da qualsiasi gliksin?
Adesso toccò a Mary rimuginare. — Ne dubito. All’interno di ogni specie esistono innumerevoli varianti, per cui…
— Però, se i neanderthal sono una specie diversa da noi gliksin, sicuramente esisteranno geni che appartengono solo a loro, o solo a noi. Per esempio, i geni che determinano l’arcata sopracciliare.
— Ce l’hanno anche molti gliksin, per esempio molti uomini nell’Europa dell’Est. Anche se la doppia arcata dei neanderthal ha dei caratteri piuttosto peculiari, che…
— E che mi dice di quelle sporgenze triangolari all’interno delle cavità nasali? — la incalzò Krieger. — Ho sentito dire che sono distintive dei neanderthal.
— Questo è vero. Toccherebbe prendere la gente per il naso…
Krieger non sembrò apprezzare la battuta. — Pensavo che lei sarebbe stata in grado di individuare il gene che determina quel carattere.
— Forse sì, ma magari basterebbe chiederlo a loro. Ponter mi ha accennato che, già molto tempo fa, anche loro hanno elaborato un equivalente del Progetto Genoma. In ogni caso, ritengo di poter trovare il marker relativo.
— Davvero? Entro quanto tempo?
— Calma, calma — rispose Mary. — Possediamo DNA di neanderthal preistorici e un solo campione contemporaneo. Avrei bisogno di una base di ricerca molto più ampia.
— Comunque, è in grado di arrivarci?
— È possibile. Ma a che scopo?
— In quanto tempo?
— Con le attrezzature di cui dispongo? E senza dedicarmi ad altro? Qualche mese, direi.
— E se noi le fornissimo tutte le apparecchiature e tutto il personale di cui avesse bisogno? Che ne dice? Senza nessuna limitazione di spesa, professoressa Vaughan.
A Mary accelerò il battito cardiaco. In qualità di ricercatrice canadese, non si era mai sentita rivolgere quelle parole magiche. Alcuni suoi ex compagni di studio, trasferitisi per lavoro negli USA, le avevano spesso raccontato dei fondi a cinque o sei zeri e degli equipaggiamenti ultramoderni che avevano là. Per la sua prima ricerca, Mary aveva ricevuto fondi per miserabili 3200 dollari (USA).
— Be’, senza… uh… limitazioni di spesa, immagino che potrei cavarmela abbastanza in fretta. Qualche settimana, con un po’ di fortuna.
— Ottimo! Ottimo! Lo faccia!
— Hmm, con il dovuto rispetto, signor Krieger, io sono cittadina canadese. Lei non può ordinarmi cosa fare.
Krieger abbassò la cresta. — Certo che no, professoressa Vaughan. Le chiedo scusa, mi sono fatto prendere la mano dall’entusiasmo. Ciò che intendevo dire era: le piacerebbe dedicarsi a questo progetto? Come ho detto, le forniremo tutte le attrezzature e il personale di cui avrà bisogno, oltre a una consistente remunerazione per la consulenza.
A Mary stava venendo il capogiro. — Ma perché? Perché è così importante?
— Se si riaprisse il varco tra i due mondi — disse Krieger — è possibile che stavolta sulla nostra Terra arrivino molti neanderthal.
Mary ridusse gli occhi a una fessura. — E, nel caso, volete essere in grado di discriminarli.
Krieger scosse la testa. — Niente del genere, glielo assicuro. Ci servirebbe per stimare l’eventuale immigrazione, provvedere alle più appropriate misure per la salute, eccetera. Non vorrà che a qualcuno venga propinato un farmaco sbagliato perché i medici non si erano accorti se era un neanderthal o un gliksin.
— È sufficiente vedere se ha un impianto Companion al polso. Ponter mi ha detto che tutti loro ne hanno uno.
— Senza voler essere offensivo nei confronti del suo amico, professoressa Vaughan, abbiamo solo la sua parola. Per quanto ne sappiamo, Ponter poteva essere un detenuto in libertà vigilata, e quell’aggeggio poteva essere un braccialetto di sorveglianza.
— Ponter non è un criminale.
— Ciononostante, spero vorrà concedere che preferiamo possedere metodi nostrani per stabilire a quale specie appartenga un soggetto, piuttosto che basarci su nozioni raccolte a caso.
Mary annuì lentamente. Il discorso aveva una sua legittimità. E dopotutto esisteva qualche precedente promettente: il governo canadese aveva lavorato a lungo sulla definizione di chi potesse, o no, essere considerato un “nativo”, in modo da indirizzare programmi sociali ad hoc e garantire il riconoscimento di specifici diritti. E tuttavia… — Non c’è nessun motivo per ritenere che il varco si riapra, giusto? Voglio dire, non ci sono stati segnali… vero? — Sarebbe stato magnifico riabbracciare Ponter. Ma.
Krieger scosse la testa. — No, infatti. Ma la nostra filosofia è “tenersi pronti”. Sarò franco con lei: sicuramente il signor Boddit era, diciamo, facilmente identificabile. Tuttavia è possibile che qualche altro neanderthal abbia caratteristiche meno pronunciate, e che riesca a intrufolarsi in mezzo alla popolazione della nostra razza.
Mary sorrise. — Lei ha già parlato con Milford Wolpoff.
— Già. Così come con Ian Tattersall e quasi ogni altro esperto di neanderthal disponibile sulla piazza. Sembra che tra loro non ci sia consenso su quanto loro fossero diversi da noi.
Quello era poco ma sicuro. Alcuni, come Wolpoff, affermavano che i neanderthal erano solo una variante dell’Homo sapiens; a dir tanto, una “razza”, se proprio si voleva usare quel termine screditato, ma in ogni caso della stessa specie dell’uomo moderno. Altri, tra cui Tattersall, difendevano la tesi opposta: si trattava di una specie a sé, l’Homo neanderthalensis. Ora, tutti i test del DNA sembravano dare sostegno alla seconda ipotesi, solo che Wolpoff & Co. avevano contrattaccato dicendo che i pochi campioni genetici disponibili, inclusi i 379 nucleotidi che la stessa Mary aveva estratto dall’esemplare del Rheinisches Landesmuseum, o erano aberranti o erano stati analizzati in modo scorretto. Dire che quella era la più rovente questione paleontologica del momento, era poco.