“Perché la tieni?”
“Per ricordare”, ha risposto lui, incrociando il mio sguardo per la prima volta da quando ero entrato. “Non posso permettermi di dimenticare, perché nel momento in cui avrò dimenticato, sarà come perdonarli per quello che mi hanno fatto, e non lascerò che questo accada.”
“Ma…”
“So cosa stai per dire: sono tutti morti. Ed è proprio così. Ma questo non significa che non potrò rifarmi su di loro quando il Signore ci chiamerà tutti al suo giudizio. Li fiuterò e li troverò,come il cane pazzo che ero secondo loro. Prenderò le loro anime e non ci saranno santi in Paradiso capaci di fermarmi.” Il volume della sua voce e la sua veemenza si sono intensificati mentre parlava; quando ha finito, io sono rimasto in silenzio per un attimo o due, per dargli il tempo di calmarsi. Poi ho detto:
“Mi sembra che tu abbia le tue buone ragioni per tenerti la culla”.
Per tutta risposta, Luman ha grugnito. È andato al tavolo e ha preso posto su una sedia. “Non ti chiedi mai…?” ha cominciato.
“Che cosa?”
“Perché uno di noi finisce in un manicomio e un altro finisce storpio, e un altro finisce in giro per il mondo a scoparsi ogni bella donna su cui posa lo sguardo?”
Quell’ultimo naturalmente era Galilee; o almeno, il Galilee del mito familiare: il vagabondo che inseguiva i suoi sogni irrealizzabili da un oceano all’altro.
“Allora, non te lo chiedi mai?”
“Ogni tanto.”
“Vedi? La vita è ingiusta. È per questo che la gente impazzisce. È per questo che comprano pistole e ammazzano i loro figli. O finiscono in catene. La vita è ingiusta!” Stava ricominciando a gridare.
“Se posso dirlo però…”
“Puoi dire quel cazzo che vuoi!” ha replicato Luman. “Voglio ascoltarti, fratello.”
“… siamo più fortunati della maggior parte della gente.”
“Perché lo pensi?”
“Siamo una famiglia speciale. Abbiamo… voi avete capacità che la maggior parte della gente sarebbe pronta a uccidere per avere…”
“Certo, posso scoparmi una donna e poi farle dimenticare di avermi mai conosciuto. Certo, posso ascoltare quello che un serpente dice a un altro. Certo, ho una madre che è abituata a essere una delle più grandi donne di tutti i tempi e un padre che ha conosciuto Gesù. E allora? Mi hanno messo in catene lo stesso. E penso ancora di essermelo meritato, perché in fondo all’anima ero convinto di essere un inutile figlio di puttana.” Ha abbassato la voce fino a un sussurro. “E questo è un fatto che davvero non è cambiato.”
Sono rimasto senza parole, non solo a causa di quella serie di immagini (Luman che ascoltava i serpenti? Mio padre un confidente di Cristo?) ma anche per l’assoluta disperazione nella sua voce.
“Nessuno di noi è ciò che avrebbe dovuto diventare, fratello”, ha aggiunto. “Nessuno di noi ha fatto niente che si possa definire importante, e adesso è tutto finito e non avremo mai più un’altra occasione.”
“Allora, permettimi di scrivere del perché.”
“Oh… Sapevo che ci saremmo tornati, prima o poi”, ha replicato lui. “Non c’è alcun buon motivo per scrivere un libro, fratello. Ci farà solo sembrare dei perdenti. Tutti tranne Galilee, naturalmente. Lui sembrerà straordinario e fantastico, mentre io sembrerò un pazzo imbecille.”
“Non sono qua per implorare”, ho detto io. “Se non vuoi aiutarmi, tornerò da Cesaria.”
“Sempre che tu riesca a trovarla.”
“La troverò. E le chiederò di dire a Marietta di mostrarmi ciò che avresti dovuto mostrarmi tu.”
“Lei non si fida di Marietta”, ha detto Luman, si è alzato ed è andato ad accovacciarsi davanti al fuoco. “Si fida di me perché sono rimasto qui. Perché sono stato fedele.” Ha arricciato le labbra. “Fedele come un cane. Sono stato qui nel mio canile e ho fatto la guardia al suo piccolo impero.”
“Perché vivi qui?” gli ho chiesto. “C’è così tanto spazio in casa.”
“Odio quella casa. È troppo civilizzata. Non riesco a respirare lì dentro.”
“È per questo che non mi vuoi aiutare? Perché non vuoi entrare in casa?”
“Oh, merda”, ha detto lui, apparentemente rassegnato a quel tormento, “se proprio devo, lo farò. Ti porterò su, se ci tieni davvero così tanto.”
“Su dove?”
“Alla cupola, naturalmente. Ma quando lo avrò fatto, amico mio, sarai da solo. Non resterò con te. Non lì.”
Sette
Ho incominciato a capire che una delle maledizioni della famiglia Barbarossa è l’autocommiserazione. C’è Luman, nella sua Casa del Fumo, che medita la vendetta contro uomini già morti; ci sono io, nella mia biblioteca, convinto che la vita mi abbia fatto un terribile sgarbo; c’è Zabrina, nella sua solitudine, grassa di dolci. E persino Galilee, là fuori, sotto un cielo senza limiti, che mi scrive lettere malinconiche sull’insensatezza della sua esistenza. Era patetico. Noi, che eravamo i frutti benedetti di un albero così straordinario, come potevamo essere finiti tutti a lamentarci del fatto di vivere, invece che a trovare un significato in quel fatto? Non ci meritavamo ciò che ci era stato dato: il nostro sfarzo, le nostre doti, le nostre visioni. Le avevamo sperperate e ora ci lamentavamo di quello che ci rimaneva.
Era troppo tardi per cambiare tutto questo?, mi sono chiesto. C’era ancora una possibilità che quattro bambini ingrati riscoprissero la ragione per cui erano stati creati?
Solo Marietta, a mio avviso, era sfuggita alla maledizione, e lo aveva fatto reinventandosi. La vedevo spesso ritornare dalle sue visite al mondo esterno, a volte vestita come un camionista, con jeans troppo larghi e camicie sporche; a volte come una cantante da night club in abito da sera; a volte del tutto svestita, mentre correva sul prato al sorgere del sole, la pelle coperta di rugiada come l’erba.
Oh Dio, che cosa sto ammettendo? Be’, è presto detto. Alla lista dei miei peccati (che non è lunga quanto vorrei) dovrei aggiungere anche desideri incestuosi.
Luman avrebbe dovuto venire a prendermi alle dieci. Ma era in ritardo, naturalmente. Quando alla fine è arrivato, stringeva tra i denti l’ultimo centimetro del suo avana, e in mano teneva la bottiglia con l’ultimo centimetro di gin rimasto. Ho il sospetto che non fosse abituato a ubriacarsi spesso, perché il suo aspetto era ulteriormente peggiorato.
“Sei pronto?” ha chiesto con voce strascicata.
“Più che pronto.”
“Hai preso qualcosa da mangiare e da bere?”
“Perché dovrei aver bisogno di cibo?”
“Starai là per molto tempo. Ecco perché.”
“Da come parli, sembra quasi che sarò imprigionato.”
Luman mi ha rivolto un sogghigno, come se stesse decidendo se essere crudele oppure no. “Non fartela sotto”, ha detto alla fine. “La porta sarà aperta per tutto il tempo, solo che non te la sentirai di andartene. Dà una specie di dipendenza, una volta che si comincia.” Dopodiché, si è incamminato lungo il corridoio, lasciandomi ad arrancare dietro di lui.
“Non andare troppo in fretta”, gli ho detto.
“Hai paura di perderti nel buio?” ha ribattuto lui. “Fratello, sei proprio un figlio di puttana terribilmente nervoso.”
Non avevo paura del buio, ma avevo le mie buone ragioni per essere preoccupato all’idea di perdermi. Abbiamo svoltato un paio di angoli, e mi sono trovato in un corridoio che ero certo di non aver mai percorso prima, anche se pensavo di conoscere bene la casa, escluse le camere di Cesaria. Un altro angolo e poi un altro ancora, e un corridoio, e una stanzetta, e un’altra e un’altra ancora, e ho avuto la certezza di trovarmi in un territorio sconosciuto. Se Luman aveva deciso di prendersi gioco di me e di lasciarmi lì, avevo i miei dubbi che sarei riuscito a tornare verso una parte della casa più familiare.