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La signorina Morrow non era più priva di sensi ma rispondeva con immenso vigore alle attenzioni dei suoi violentatori. Ormai il ragazzo era nudo e sedeva a cavalcioni sul petto della giovane, strofinandole tra i seni la sua piccola verga, mentre Maybank si soddisfaceva tra le sue gambe che aveva scoperto lacerandole l’elegante vestito di seta.

Quella scena era assolutamente bestiale ma voglio essere sincero: ero eccitato. Infuocato, per la verità.

Dopo anni di malattia e cadaveri, ero felice di vedere della carne sana che sudava un sudore sano. Il frastuono del loro mutuo piacere riempiva la stanza, riecheggiava tra le pareti creando l’illusione che fossero dieci e non tre gli amanti che stavo guardando. La testa ha cominciato a girarmi e mi sono voltato per scoprire che Nickelberry era tornato al tavolo con Olivia, che si era spogliata per lui. Lui pareva un bambino avido mentre immergeva le mani in dessert cremosi che poi spalmava sullo splendido petto della donna. Lei sembrava piuttosto felice di quel trattamento e si premeva contro il seno il volto del cuoco, in modo che le leccasse via la crema dalla pelle.

La vedova Harris è venuta da me e mi ha offerto la sua carne. Ho declinato. Lei mi ha subito detto che non potevo. Se ero in grado di darle piacere, ero obbligato a farlo. Era la legge.

Io ho risposto che ero un uomo sposato, al che lei è scoppiata a ridere e ha detto che in quel luogo non importava ciò che un uomo o una donna erano stati prima di entrarvi, che tutte le storie personali venivano dimenticate e che una persona poteva essere ciò che desiderava.

Allora questo non è il mio posto, ho replicato. Sei così orgoglioso di quello che eri là fuori?, mi ha chiesto con il volto arrossato. Sei sfuggito al tuo dovere; hai perso la tua famiglia e la tua casa. Vali meno di me là fuori. Pensaci! Tu che eri così nobile, ridotto a meno di una vecchia e brutta vedova.

Rabbioso e ubriaco, l’ho schiaffeggiata, con forza. Lei è andata a sbattere contro il muro, strillandomi oscenità che non avrei mai creduto possibili. Io ho scagliato a terra la bottiglia che stavo bevendo e per un istante, pensando forse che intendessi infierire su di lei, la vedova ha smesso di gridare. Ma, non appena le ho voltato le spalle, lei ha ricominciato, seguendomi come una furia. Confuso dall’alcool e desideroso di liberarmi di quella donna, mi sono smarrito. La strada, che credevo mi avrebbe condotto fuori dalla casa, mi ha invece portato a una rampa di scale immersa nell’oscurità. Ho cominciato a salire, barcollando, e a metà della rampa mi sono accovacciato tra le ombre. La vedova non mi aveva notato e io l’ho vista passare mentre continuava a maledirmi.

Sono rimasto ad aspettare, rabbrividendo non per paura della vedova ma per il dolore che aveva acceso in me con ciò che mi aveva detto. La donna aveva ragione, lo sapevo. Non sono niente ormai. Sono meno di niente.

E poi, come se avessi pronunciato ad alta voce la mia sofferenza, in cima alle scale è comparso un uomo e ha abbassato lo sguardo su di me. No, non su di me; dentro di me. Non avevo mai sentito uno sguardo come quello. All’inizio ne ho avuto paura, come se l’uomo avesse potuto usarlo per uccidermi.

Ma poi l’ho visto scendere qualche gradino. Si è seduto e con calma ha detto: “Un uomo che non è niente, non ha niente da perdere. Sono Galilee. Benvenuto”, e io ho avuto la sensazione di aver trovato una ragione per vivere.

Tredici

1

Una ragione per vivere.

Rachel posò il diario aperto sul tavolo e fissò le tenebre del parco oltre la finestra. Era impossibile che quel Galilee fosse la stessa persona che aveva conosciuto, ma era così facile immaginarlo là sulle scale, immaginarlo come l’uomo che aveva dato al capitano una ragione per vivere.

Non aveva fatto la stessa cosa con lei, in un certo senso? Non aveva risvegliato dentro di lei il suo significato, il suo potere?

Diede un’occhiata all’inizio del paragrafo successivo.

Come posso raccontare ciò che mi è successo a quel punto?

Rachel distolse lo sguardo. Non sarebbe riuscita a continuare a leggere, non quella notte. La sua testa era piena degli eccessi descritti dal capitano. La prosa di Holt era cambiata. Le prime pagine erano state scritte con lo stile di un uomo che cercava disperatamente di tenersi a una certa distanza dagli orrori che lo circondavano. Ma adesso il capitano aveva cominciato a scrivere come un narratore, descrivendo le scene con terribile immediatezza. Le immagini con cui le aveva riempito la testa, le danzavano davanti agli occhi: la casa, il cibo, gli accoppiamenti.

L’ultima volta che si era sentita così consumata da una storia era stato ascoltando Galilee…

Guardò di nuovo il diario, senza toccarlo; osservando le parole scritte ordinatamente sulle pagine. Troppo ordinatamente, forse. Quello era il diario di un uomo che narrava le sue esperienze di volta in volta dopo averle vissute? Oppure tutto questo era stato ricostruito più tardi da un uomo a cui era stata insegnata l’arte di raccontare? Che aveva avuto come maestro un uomo che amava le storie; che le raccontava per sedurre?

“No…” si disse. No, non era lo stesso uomo; una volta per tutte, c’erano due Galilee: uno nel diario, l’altro nei suoi ricordi. Abbassò nuovamente lo sguardo sulle parole di Holt:

Come posso raccontare ciò che mi è successo a quel punto?

Quella frase era un astuto bluff. L’autore sapeva esattamente come raccontare ciò che gli era successo; aveva già pronte tutte le parole. Ma la cronaca sarebbe sembrata ancora più vera se fosse stata narrata da un uomo in apparenza incerto delle sue capacità. Provò una fìtta di repulsione per quel diario, per la sua stessa complicità in quegli inganni. Lo aveva divorato, si era nutrita di ogni dettaglio decadente, come se quella vita così lontana avesse potuto svelarle qualcosa della sua.

Ma fino a quel momento, non le aveva mostrato nulla di utile. Sì, l’aveva stuzzicata con i suoi nonsense gotici; con le sue storie di bambini fantasma e di membra dissotterrate, ma le scene della casa erano troppo. Rachel non credeva più all’autenticità del diario. Era solo un’invenzione; i suoi eccessi lo avevano reso grottesco.

Era ancora arrabbiata con se stessa quando andò a letto, e così non riuscì a prendere sonno. Dopo circa un’ora e mezza si alzò, prese un sonnifero, tornò tra le coperte e tentò di nuovo. La pillola si rivelò una cattiva idea. C’era qualcosa in lei che semplicemente si rifiutava di riposare, e il suo corpo prese a combattere contro il sonnifero. Quando, alla fine, Rachel riuscì ad addormentarsi per qualche minuto, la sua testa era piena di frammenti caotici. Si risvegliò poco dopo in un bagno di sudore, preda di un’angoscia così profonda che dovette alzarsi di nuovo e accendere la luce per riuscire a calmarsi.

Scese in cucina, si preparò una tazza di Earl Grey e tornò al diario. Che senso aveva cercare di resistergli?, pensò, abbassando lo sguardo sulla pagina. Che fosse frutto della fantasia o meno, ormai l’aveva catturata e Rachel non sarebbe stata libera finché non l’avesse finito.

2

Dall’altra parte della città, sveglio nel suo letto, Cadmus Geary stava pensando alla sua amata Louise e a quei giorni di corteggiamento che talvolta gli sembravano così lontani e sfocati, come se fosse successo tutto in un’altra vita, mentre altre volte, come quella notte, il ricordo era vivido, intatto e quasi tangibile. Quanto era bella Louise! Assolutamente degna della sua devozione. Naturalmente, quella sera stava facendo la preziosa, ma quella era una delle prerogative della bellezza; e Cadmus non poteva fare altro che starle vicino e sperare che lei si accorgesse della sua sincerità.