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“Perché non sei tornato a casa?” gli chiese l’allucinazione di Zabrina.

“Non avrei mai potuto. Non dopo quello che è successo. Mi odiavate tutti.”

“È una cosa che abbiamo superato”, disse Zabrina. “Almeno, io sì.”

Marietta non parlò. Era meno solida di Zabrina, e per qualche ragione Galilee si sentiva a disagio nei suoi confronti.

“Ho l’impressione”, continuò Zabrina, in tono piuttosto formale, “che tu abbia interpretato ogni ruolo possibile tranne quello del figliol prodigo. Sei stato un amante. Sei stato un pazzo. Sei stato un assassino.”

“E quindi?” disse lui.

“Potresti ancora tornare a casa, se lo volessi. Devi solo riprendere il controllo della barca.”

“Non ho il compasso. Non ho le carte.”

“Potresti navigare seguendo le stelle”, suggerì Zabrina.

Galilee sorrise alle parole del suo stesso delirio. “Ho interpretato anche questa parte”, disse. “Quella del tentatore. L’ho interpretata un’infinità di volte. So come funziona. Non sprecare il fiato.”

“È un vero peccato”, sospirò Zabrina. “Mi sarebbe piaciuto vederti un’ultima volta. Saremmo potuti andare insieme alle stalle a salutare nostro padre.”

“Pensi che sia solo una coincidenza?” chiese Galilee. “Cristo è nato in una stalla. Papà è morto in una stalla.”

“Un puro caso”, rispose Marietta. “Cristo e papà non avevano assolutamente niente in comune.”

E così le conversazioni allucinatorie continuarono, perlopiù semplici chiacchiere e solo di rado elucubrazioni impegnate. Gli apparvero altre persone al di fuori della famiglia. Margie rimase con lui per un po’, una notte, la voce impastata dall’alcool, mentre gli diceva quanto lo aveva amato. Kitty, la bellissima Kitty, apparve poco dopo ma non parlò: si limitò a fissarlo con un’espressione scettica dipinta sul viso, come incapace di credere che Galilee potesse essere così stupido. Lo aveva rimproverato spesso per il suo vizio di autocommiserarsi, e lo fece anche quella volta, solo non a parole ma con il silenzio.

Vi furono molti altri che non si spinsero fino al ponte, presenze spettarli che Galilee intravide sotto la superficie dell’acqua mentre scivolavano via. Si trattava di sue vittime perlopiù; uomini e donne a cui aveva tolto la vita, sempre il più rapidamente possibile; ma una morte violenta poteva davvero essere rapida abbastanza? Oh, quelle povere creature. Di molte era felice di non riuscire a ricordarsi il nome; qualche sguardo accusatorio gli fece venire voglia di nascondersi. Ma non cedette alla codardia: incrociò i loro occhi e sostenne i loro sguardi attraverso le lacrime finché non furono scomparsi.

Ebbe anche un’altra visione, diversa da quelle che l’avevano preceduto, ma questo accadde solo il pomeriggio del quinto giorno. Il mare non era più così calmo e la Samarcanda era sospinta da correnti violente. Galilee si era legato all’albero maestro per non essere scagliato fuoribordo. La mancanza di nutrimento lo aveva indebolito a tal punto che le gambe lo reggevano a malapena, e così si sedette, l’immagine stessa di un marinaio assediato dalle onde mentre la barca veniva scossa dai flutti. Gli battevano i denti per il freddo e gli occhi gli roteavano follemente nelle orbite.

Ma poi ebbe l’impressione di scorgere — in una valle che si apriva tra le onde ripide color acciaio — un gruppo di alberi dorati. Per un cupo istante pensò che la corrente gli avesse giocato uno scherzo crudele e lo avesse riportato a Kaua’i. Ma quando quell’immagine gli apparve di nuovo, si accorse che non si trattava di un’isola, ma della visione più bella e più dolorosa di tutte. Era la sua casa.

In fondo a un viale di querce coperte di muschio spagnolo, vide la casa costruita da Jefferson; la casa di sua madre; il luogo da cui non aveva fatto che fuggire senza mai riuscirci. E Cesaria era là, dietro una di quelle finestre. Lo vide, nel suo esilio. Forse lo aveva sempre visto, lo aveva sempre tenuto d’occhio con una parte della sua mente. Forse non lo aveva mai lasciato andare del tutto, anche se Galilee aveva tentato in ogni modo di liberarsi di lei.

Quasi subito quello spettacolo venne eclissato dalle onde sempre più alte e poi svelato di nuovo, e Galilee per un attimo pensò che forse avrebbe potuto intravedere Cesaria. Ma la visione non conteneva niente di vivo: nemmeno uno scoiattolo sul prato. O almeno niente che volesse manifestarsi a lui.

E dopo un po’ la visione scomparve del tutto. Cadde una nuova oscurità, e Galilee rimase dove si trovava, legato all’albero maestro, mentre il cielo ondeggiava sopra di lui.

Quindici

1

Rachel era tornata a immergersi nella lettura del diario di Holt con assoluto cinismo, decisa a non lasciarsi ingannare dalle sue manipolazioni, questa volta. Ma non ci riuscì. Le bastarono pochi paragrafi per ritrovarsi nel mondo evocato da quelle parole: la casa nell’East Battery, piena dei profumi del cibo e del sesso. E Galilee sulle scale, che dava il benvenuto a Holt nel suo mondo. Che quel racconto fosse autentico o pura fantasia, Rachel non riuscì a impedirsi di continuare a leggere.

I passaggi che seguivano descrivevano minuziosamente la vita che Holt e Nickelberry avevano vissuto in quella casa nei giorni che erano seguiti: un elenco quasi ossessivo dei piaceri goduti dai loro palati e dai loro inguini. Holt non faticava più a confessare i suoi eccessi. Benché un tempo fosse stato un devoto padre di famiglia, ora raccontava con orgoglio gli innumerevoli incontri con le donne che vivevano in quella casa. Era una lettura stupefacente, soprattutto perché tutti quei dettagli scabrosi erano stati scritti su un diario che gli aveva regalato proprio sua moglie. Povera Adina; era stata dimenticata, almeno per ora. Suo marito era entrato in un mondo le cui leggi non permettevano alcun attaccamento di tipo sentimentale. Tutti vivevano troppo disperatamente, spinti da appetiti troppo incontrollabili per preoccuparsi di ciò che erano stati prima di entrare in quella casa. Ogni riserva, ogni vergogna, ogni senso del pudore erano evaporati. Secondo il diario, avevano mangiato, avevano bevuto e si erano accoppiati mattina, mezzogiorno e sera, ispirati soprattutto da tre cose. Primo, il fatto che tutti gli abitanti della casa fossero impegnati nella stessa ricerca esasperata del piacere. Secondo, un nutrito assortimento di stimolanti erotici forniti da Galilee, molti dei quali Holt (e come lui Rachel) non aveva mai sentito nominare. E, terzo, la presenza di colui che aveva stabilito le leggi. Non c’era nessuno nella casa dell’East Battery, uomo o donna che fosse, giovane o vecchio, che non fosse stato con Galilee. Quel fatto era emerso da una conversazione tra Holt e Nickelberry, un uomo che fino a quel momento era sembrato senza alcun dubbio eterosessuale. Ma non era così. Aveva, per usare le parole di Holt, fatto la moglie per il nostro ospite e mi ha detto senza la minima vergogna che non si è mai sentito così amato come si è sentito tra le braccia di Galilee.

Rachel rimase sorpresa nello scoprire di poter essere ancora scioccata dopo la lunga litania di atti sessuali che aveva appena letto. Benché convinta che fosse ridicolo pensare che quel Galilee fosse lo stesso uomo che aveva conosciuto, ogni volta che leggeva il suo nome non poteva fare a meno di rievocarlo con l’occhio della mente. Era il suo Galilee che stringeva Nickelberry tra le braccia; che lo baciava, che lo seduceva, che lo possedeva.

Avrebbe dovuto capire cosa l’attendeva. Mentre lottava ancora con il disgusto per ciò che Holt aveva descritto, il capitano cominciò a raccontare qualcosa di molto più intimo e sconvolgente.