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“E un segno”, ha detto Tru con voce strascicata.

“Può darsi”, ha replicato la donna.

“Te l’avevo detto, Jessamine.”

La donna si è voltata in direzione dell’officina. “Ehi, Canny. Guarda cos’ha trovato Tra. Dove l’hai trovato?”

“Me l’ha portato il vento. E tu che mi davi del pazzo.”

“Io non ti ho mai dato del pazzo”, ha ribattuto Jessamine.

“No, sono stato io”, è intervenuta una terza voce, e un uomo con la stessa carnagione e circa la stessa età dei suoi compagni mi ha strappato dalle mani di Jessamine. Era calvo ma il resto del suo viso era coperto da una folta barba nera. Non c’erano dubbi su chi fosse suo padre. Non ha nemmeno abbassato lo sguardo su ciò che teneva in mano.

“È solo un pezzo di carta straccia”, ha detto e prima che gli altri due potessero protestare, si è voltato e si è allontanato.

Loro non lo hanno seguito, probabilmente erano intimiditi da lui. Ma non appena si è trovato da solo, Canny mi ha guardato con occhi sconsolati e velati di lacrime.

“Non voglio più sperare”, ha mormorato tra sé e sé.

Poi mi ha lasciato cadere in un piccolo falò che bruciava in mezzo ai mattoni. Sono stato colto dal panico quando il fuoco mi ha lambito. Il mio corpo si è arricciato tra le fiamme e si è annerito fino a farmi diventare del colore della pelle di Galilee. Quando mi sono svegliato, ero immerso in un tale bagno di sudore che se davvero fossi stato avvolto dalle fiamme, avrei potuto spegnerle.

Ecco, questo è il sogno. Una delle visioni notturne più strane che mi siano mai capitate. Non so cosa pensarne. Ma ora che l’ho trascritto, devo ritirare quanto ho detto prima. Forse si tratta davvero di un sogno profetico. Forse al centro del paese, i tre figli bastardi di Luman sono in attesa di un segno, persino in questo momento; e sanno di essere più di quanto il mondo prometta loro di essere, e stanno aspettando qualcuno che riveli loro chi sono. Stanno aspettando me.

PARTE SETTIMA

La ruota delle stelle

Uno

Oggi ho fatto la pace con Luman. Non è stato facile, ma sapevo che sarebbe accaduto prima o poi. Solo poche ore fa, allontanandomi dalla scrivania per riflettere su qualcosa, di colpo mi sono reso conto di quanto sarei stato triste se gli eventi che sto raccontando fossero in qualche modo precipitati, senza che avessi avuto la possibilità di riconciliarmi con Luman. Così mi sono alzato, ho preso un ombrello (stava cadendo una piacevole pioggerellina) e mi sono incamminato verso la Casa del Fumo.

Luman mi stava aspettando seduto sulla soglia.

“Te la sei presa comoda”, ha esordito.

“Cosa?”

“Mi hai sentito. Ce ne hai messo di tempo per venire a dirmi che ti dispiace.”

“Cosa ti fa pensare che sia questa la ragione per cui sono venuto?” ho risposto.

“Ce l’hai scritto in faccia”, ha ribattuto mio fratello.

“Davvero?”

“Sì, signor Maddox, Il Grande e Potente Scrittore, sembri molto dispiaciuto.” Si è appoggiato allo stìpite della porta e si è alzato in piedi. “Infatti non sarei affatto sorpreso se ti inginocchiassi qui davanti a me per implorare il mio perdono.” Ha sogghignato. “Ma non c’è bisogno che tu lo faccia, fratello mio. Ti perdono.”

“È molto generoso da parte tua. E ora per quanto riguarda te…”

“Che cosa?”

“Luman, mi hai praticamente accusato di aver ucciso mia moglie.”

“Stavo solo dicendo la verità”, ha risposto lui. Poi ha aggiunto: “È la verità dal mio punto di vista. Nessuno ti costringe a credermi”. Ha assunto un’espressione provocatoria. “Anche se qualcosa mi dice che mi credi.” Mi ha osservato in silenzio per un attimo. “Dimmi che mi sbaglio.”

Avrei davvero voluto fargli sparire quel sorriso dalla faccia ma ho resistito alla tentazione. Ero lì per fare la pace. E d’altronde, come ho già ammesso in queste pagine, la colpa della morte di Chiyojo è in parte mia. L’avevo già confessato sulla carta; adesso era arrivato il momento di fare lo stesso guardando in volto il mio accusatore. Non avrebbe dovuto essere così difficile. Conoscevo le parole; allora perché pronunciarle era tanto più arduo che scriverle?

Ho chiuso l’ombrello e ho lasciato che la pioggia mi scorresse sul viso. Era tiepida, tuttavia mi ha rinfrescato. Sono rimasto così per un paio di minuti. Alla fine, senza guardarlo, ho detto a Luman:

“Avevi ragione. Sono responsabile per quello che è accaduto a Chiyojo. L’ho ceduta a Nicodemus, proprio come hai detto tu. Volevo…” Ho sentito gli occhi bruciarmi per le lacrime; ma sono andato avanti con la mia confessione. “Volevo compiacerlo. Volevo che mi amasse.” Mi sono passato una mano sul viso. Poi, finalmente, ho trovato il coraggio di guardare Luman. “Il fatto è che non mi sono mai davvero sentito suo figlio. Non come te. O come Gallice. Io sono sempre stato suo figlio solo a metà. Così ho sempre fatto di tutto per cercare di compiacerlo. Ma non ha funzionato. Lui mi dava per scontato. Io non sapevo cos’altro dargli. Gli avevo dato me stesso e non era stato abbastanza…” Mentre parlavo, un tremore si era impossessato di me: delle mie mani, delle mie gambe, del mio cuore. Ma nemmeno la morte sarebbe riuscita a interrompermi in quel momento. “Quando ha messo gli occhi su Chiyojo, ho provato una rabbia tale che volevo andarmene. Avrei dovuto andarmene. Avrei dovuto portarla con me — proprio come hai detto tu — portarla via dall’Enfant, così avremmo potuto vivere la nostra vita. Una vita normale, forse — una vita umana. Non sarebbe stato così male, in fondo, giusto?”

“Rispetto a questo?” ha detto Luman a bassa voce. “Sarebbe stato il paradiso.”

“Ma ho avuto paura. Ho avuto paura che avrei rimpianto la mia scelta, prima o poi, e non sarei più potuto tornare indietro.”

“Come Galilee?”

“Sì… come il povero Galilee. Così ho ignorato quello che mi diceva l’istinto. Quando Nicodemus ha cominciato a fare la corte a Chiyojo, ho distolto lo sguardo. Immagino di aver sperato che lei mi amasse abbastanza da dirgli di no.”

“Non biasimarla”, ha detto Luman. “Nemmeno la Vergine Maria avrebbe saputo resistere a Nicodemus.”

“Io non la biasimo. Non l’ho mai biasimata. Tuttavia, ho sperato.”

“Povero stupido”, ha detto Luman non senza tenerezza. “Dovevi essere disperato.”

“Peggio ancora, Luman. Ero spaccato in due, lacerato. Una parte di me voleva che lei lo rifiutasse, voleva che venisse da me a dirmi che lui aveva cercato di sedurla. Mentre l’altra parte di me voleva che lui la prendesse, che facesse di lei la sua amante.”

“E cosa pensavi di ottenere in questo modo?”

“Non lo so. Forse lui si sarebbe sentito in colpa e sarebbe diventato più gentile con me. O forse ci saremmo divisi Chiyojo.”

“E lo avresti fatto?”

“Credo di sì.”

“Aspetta. Dimmi se ho capito bene. Avresti accettato un ménage a trois con tua moglie e tuo padre?” Non ho risposto ma suppongo che il mio silenzio sia stato più che eloquente. Luman si è coperto gli occhi con una mano, in un gesto teatrale. “E io che credevo di essere così perverso”, ha detto, sogghignando.

Quanto a me, non sapevo se piangere o ridere. Sulla carta, la mia confessione non era arrivata fino a questo punto; ma quella era la verità in tutta la sua nauseante tragicità.

“Comunque, non è mai successo”, ho detto alla fine.

“Be’, questo è già qualcosa”, ha replicato Luman. “Ma resti comunque un depravato, ricordatelo.”

“Lui l’ha presa e se l’è scopata e le ha fatto provare cose che, immagino, io non ero mai riuscito a farle provare.”