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Mi sarei difeso, sostenendo che il libro mi serviva per tenere a bada la follia che avevo ereditato da lui. Immaginare la sua risposta non era difficile.

Non sono mai stato pazzo.

E io come avrei replicato? Avrei detto: “Ma papà, verso la fine passavi mesi interi senza parlare con nessuno. Ti lasciavi crescere la barba fino all’ombelico e non ti lavavi. Andavi nella palude e ti nutrivi di carcasse putrescenti di alligatori. Te lo ricordi questo?”

E con questo cosa vorresti dire?

“Che ti comportavi come un folle.”

Dal tuo punto di vista.

“No, dal punto di vista di tutti, padre.”

Non ero pazzo. Conoscevo esattamente la ragione delle mie azioni.

“Dimmi, allora. Aiutami a capire perché per metà del tempo eri un padre amorevole, e per l’altra metà eri coperto di pidocchi ed escrementi.”

Una volta mi sono fatto un paio di stivali con gli escrementi. Te li ricordi?

“Sì, me li ricordo.”

E una volta sono tornato a casa con un teschio — un teschio umano ~ che avevo trovato nella palude e ho detto a quella puttana di mia moglie che ero stato in Virginia a dissotterrare chi tu sai.

“Le hai detto che quello era il cranio di Jefferson?”

Oh sì.” A questo punto avrebbe fatto uno dei suoi sorrisi carichi di piacere e malizia, al ricordo del dolore che aveva causato. “E le ho ricordato quanto sembravano strette le sue labbra e gli ho infilato le dita nette orbite che un tempo avevano contenuto i suoi occhi acquosi. Le ho chiesto: gli hai mai baciato gli occhi? Perché è qui che erano…

“Perché hai voluto fare una cosa così crudele?”

Lei ha fatto anche di peggio, a me. Comunque è stato bello vederla piangere e singhiozzare, una volta tanto. Mi ha ricordato che aveva ancora un cuore, perché certe volte arrivavo a dubitarne. E, oh Dio, poi ha cominciato a urlare, dicendomi di darle il teschio. Meritava rispetto, ha detto. Rispetto! Ah! Come se le fosse mai importato qualcosa del rispetto! Sapeva comportarsi come la più lurida puttana del mondo quando era in calore. E ha avuto il coraggio di parlarmi di rispetto, quella sgualdrina ipocrita!” Avrebbe scosso la testa e sarebbe scoppiato a ridere.

Ricordo bene quell’episodio. Le mura dell’Enfant avevano tremato durante quella lite furiosa.

Alla fine, ha cercato di strapparmi il teschio dalle mani e, mentre ce lo contendevamo, è caduto a terra ed è andato in mille pezzi. Lei ha strillato e si è inginocchiata per raccogliere i frammenti di osso, con tanta fottuta delicatezza che sembrava quasi che stesse raccogliendo lui…

“E allora le hai detto che non era il teschio di Jefferson?”

Non subito. Sono rimasto a guardarla per un po’, ad ascoltarla singhiozzare. Fino a quel momento non ero mai stato del tutto sicuro di cosa ci fosse stato tra di loro. Certo, avevo dei sospetti.

“Lui aveva costruito l’Enfant per lei.”

Ah, quello non dimostrava niente, invece. Poteva convincere gli uomini a fare qualsiasi cosa per lei. La domanda non era: che cosa aveva provato lui per lei? ma: che cosa aveva provato lei per lui? E così ho avuto la mia risposta. Mentre la guardavo raccogliere i pezzi di quelle che pensava fossero le sue ossa, ho capito che lei lo aveva amato.” Avrebbe fatto una pausa e mi avrebbe scrutato con i suoi occhi neri e turchesi. “Come siamo arrivati a parlare di questo?

“Stavamo parlando della tua follia.”

Oh sì… La mia follia… la mia splendida follia… Non sono mai stato pazzo”, avrebbe ripetuto. “Perché i pazzi non sanno mai ciò che stanno facendo o perché. Invece io l’ho sempre saputo. Sempre. Mentre tu…

“Io?”

Sì, figliolo. Tu. Te ne stai seduto qui giorno dopo giorno, notte dopo notte ad ascoltare voci che potrebbero essere reali ma che potrebbero anche non esserlo. Questo non è un comportamento da uomo sano di mente. Ma guardati. Stai scrivendo persino questo. Fermati un attimo a pensare quanto tutto questo sia ridicolo: scrivere qualcosa come se fosse reale anche se lo stai inventando.

“Non ne sono così certo.”

Ma io sono morto e sepolto da centoquarant’anni, figliolo. Sono solo polvere, proprio come Jefferson.

Ho cercato una risposta ma il problema era che aveva ragione. Era strano — no, è strano — chiacchierare con un padre morto come sto facendo ora, senza sapere quanto di ciò che sto scrivendo è reale e quanto è invenzione; senza sapere se mio padre mi sta parlando attraverso i miei geni, attraverso la mia penna, attraverso la mia immaginazione, o se questo dialogo è solo la prova della mia follia.

“Padre?”

Scrivere una parola sulla pagina certe volte è come un’invocazione.

“Dove sei?”

Era qui un istante fa, la sua voce mi riempiva la testa. (La storia del teschio che aveva mostrato a Cesaria non l’avevo mai sentita prima. La prossima volta che la incontrerò, le chiederò se è vera. Se mi risponderà di sì, allora adesso non sto immaginando la voce di Nicodemus, vero? Lui è qui con me.) O almeno lo era.

“Padre?”

Non ottengo alcuna risposta.

“Non abbiamo finito la nostra conversazione sulla follia.”

Ancora silenzio. Be’, non importa; sarà per un’altra volta.

2

Ho cominciato questo passaggio parlando della mia scrivania e ho concluso con una visita del mio defunto padre. È così che ha funzionato, fin dall’inizio: tutto ciò che è strano, grottesco, apocalittico persino, ha continuato a intersecarsi con ciò che è domestico, familiare, banale. Mentre sedevo qui, sorseggiando un tè, ho sognato di percorrere la Via della Seta diretto a Samarcanda. Mentre ascoltavo il frinire dei grilli, ho visto Garrison Geary giocare al becchino eccitato. Mentre mi facevo la barba, ho visto Rachel che mi fissava dallo specchio del bagno e ho capito che si era innamorata.

Forse non è un caso che abbia scelto la Vìa della Seta come esempio di ciò che è strano e le pratiche sessuali di Garrison come immagine di ciò che è grottesco. Ma perché ho pensato a Rachel e Galilee, quando ho immaginato ciò che è apocalittico?

Non lo so di preciso, per la verità. Nutro qualche sospetto sgradevole in proposito, ma preferisco non parlarne per evitare di trasformare una possibilità in una probabilità.

Posso solo dirvi questo con certezza: che mentre le visioni continuano a susseguirsi, è a Rachel che mi sento più vicino. Così vicino che quando mi alzo dopo aver scritto a lungo di lei, ho quasi la sensazione di essere lei. Il mio corpo è pesante e il suo leggero, la mia carnagione è olivastra e la sua è pallida, io mi muovo con fatica, come un uomo che ha appena riacquistato l’uso delle gambe, lei si muove come una vela di seta. Eppure ho la sensazione di essere lei.

Molte, molte pagine fa — dopo aver descritto goffamente il primo incontro tra Rachel e Galilee — ricordo di aver avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di incestuoso nel parlare della vita sessuale di mio fratello. Ora devo dire che quelle preoccupazioni sono svanite, e devo ringraziare Rachel per questo. Mi ha spogliato della mia vergogna. Nel compiere questo viaggio con lei, nell’ascoltarla piangere, nel sentire la sua rabbia e il suo struggimento per Galilee, sono diventato più coraggioso.

Se dovessi raccontare di nuovo quella stessa scena, non sarei così puritano. E se dubitate di me, aspettate e vedrete. Se si incontreranno ancora, sarò all’altezza della situazione. Maddox svanirà dall’equazione e io sarò Rachel stretta tra le braccia del suo amato.