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E la risposta? Oh, Rachel se la ricordava fin troppo bene, e ora cominciava a sembrarle come una sorta di profezia.

… erediterà più di quanto sia in grado di gestire”, aveva detto Loretta. “Andrà in pezzi. Sta già andando in pezzi…

Rachel ringraziò Alfredo per il pranzo squisito e uscì nella strada affollata. Il caffè le aveva dato un po’ di vigore, ma non tu solo quello a spingerla ad allungare il passo mentre si dirigeva a nord; si era resa conto all’improvviso che c’era un posto in cui avrebbe potuto trovare rifugio, sempre che non fosse troppo tardi.

Quattro

Dato che i rapporti tra me e Zabrina sono tutt’altro che idilliaci, potete immaginare la mia sorpresa quando ieri sera si è presentata in camera mia. Stava piangendo e la sua solita scontrosità sembrava averla abbandonata.

“Devi venire con me!” ha detto.

Io le ho chiesto perché e lei ha risposto che non c’era tempo per le spiegazioni.

“Almeno dimmi dove stiamo andando”, ho protestato.

“Si tratta di nostra madre”, ha risposto lei, ricominciando a singhiozzare con nuovo vigore. “Le è successo qualcosa! Penso che stia morendo.”

Questo è bastato a convincermi ad alzarmi e a seguirla, anche se ero più che certo che si stesse sbagliando.

Non sarebbe mai successo niente a Cesaria: era una forza eterna. Una creatura nata dal fuoco primevo del mondo non se ne va in silenzio, nel suo letto.

Eppure più ci avvicinavamo alle stanze di Cesaria, più cresceva il mio sospetto che il panico di Zabrina potesse avere ragioni concrete. C’era sempre stata una sottile agitazione nei corridoi attorno alle stanze di Cesaria, come se la sua presenza suscitasse movimenti a livello molecolare. Trovarsi lì significava sentirsi, in modi non precisamente descrivibili, più vivi. La luce sembrava più limpida, i colori più intensi; quando si respirava si aveva l’impressione di sentire la forma dei propri polmoni che si espandevano.

Ma non ora; ora quei corridoi sembravano mausolei. La paura cominciava a serpeggiare anche dentro di me. E se fosse morta? Cesaria Yaos, la madre di tutte la madri, morta? Che cosa avrebbe significato per noi? I Geary stavano per sferrare il loro attacco contro la nostra famiglia, ormai non avevo più dubbi. Il diario di Holt, che conteneva una descrizione dettagliata di come arrivare a questa casa, era nelle mani di Garrison Geary. E ora Cesaria era morta? Oh, Dio!

Zabrina si è fermata a qualche metro dalla porta che si apriva sulle stanze di Cesaria.

“Non posso tornare lì dentro…” ha singhiozzato con voce rotta dal pianto.

“Dov’è adesso?”

“In camera da letto.”

“Non sono mai stato nella sua camera da letto.”

“Devi solo… vai dritto, prendi il secondo corridoio a destra. È lì in fondo.”

Io ero ben più che nervoso ormai. “Vieni con me”, ho detto a Zabrina.

“Non posso”, ha risposto lei. Non credo di aver mai visto qualcuno tanto spaventato in vita mia.

L’ho lasciata ai suoi tremori e sono entrato, il terrore che cresceva dentro di me a ogni passo. Senza dubbio, Cesaria aveva voluto dare la sensazione a chiunque si avventurasse in quelle stanze di entrare nel tempio del suo corpo; era così che mi sentivo adesso.

Le pareti e i soffitti erano dipinti di rosa scarlatto, le assi spoglie del pavimento avevano venature scure. Non c’erano mobili nei corridoi; le stanze che si aprivano sulla destra e sulla sinistra erano troppo buie perché potessi vederle chiaramente, ma sembravano altrettanto nude.

Ho imboccato il secondo corridoio a destra, seguendo le istruzioni di Zabrina. Per la prima volta da quando le mani di Cesaria mi avevano guarito, ho provato una fitta del mio vecchio dolore alle gambe e ho avuto una visione paranoica dei miei muscoli che si atrofizzavano nell’aria morta di quegli ambienti.

“Smettila”, ho mormorato a me stesso.

Ma anche se ho sentito la mia lingua modellare quelle sillabe e il mio fiato espellerle, il corridoio si è rifiutato di ascoltarle. Me le ha strappate e le ha soffocate.

Non ho avuto il coraggio di dire altro. Mi sono limitato a camminare fino alla porta della camera da letto di Cesaria e sono entrato.

All’interno era buia come le altre stanze, le pesanti tende chiuse a tagliare fuori il cielo, a tagliare fuori il mondo. Sono rimasto in attesa per qualche istante e ho lasciato che i miei occhi si abituassero alla penombra.

C’era un enorme letto nella stanza. Tutto qui, un enorme letto sul quale giaceva il corpo della moglie di mio padre, come un cadavere su un catafalco. Era comunque splendida. Anche nella morte — se davvero era morta — suscitava reverenza. C’era una precisione sbalorditiva in lei; sembrava perfetta anche in quello stato: come una grande opera funeraria scolpita dal suo stesso genio.

Mi sono avvicinato al letto, felice che Zabrina non fosse con me adesso. Non volevo condividere quel momento con nessuno. Anche se avevo paura, era una paura gloriosa, una paura che si poteva provare soltanto in presenza di una divinità morta o morente: una paura mescolata all’immensa gratitudine per il fatto che mi fosse stato concesso di assistere a quello spettacolo.

Il suo viso! Oh, il suo viso. La folta criniera di capelli neri era pettinata all’indietro, la pelle scura scintillava e la bocca era aperta, così come le sue palpebre, impercettibilmente, a mostrare solo il bianco degli occhi.

Alla fine ho trovato il coraggio di parlare. Ho pronunciato il suo nome.

Questa volta l’aria ha accettato la mia parola che mi ha abbandonato dolcemente. Ma Cesaria Yaos non mi ha risposto. Non che mi fossi aspettato una qualche reazione da parte sua. Ero sempre più sicuro che Zabrina avesse ragione. Nostra madre era morta.

E adesso?, ho pensato. Avrei avuto il coraggio di avvicinarmi al letto e di toccare il suo corpo? Di controllare i segni vitali come se la donna che giaceva davanti a me fosse stata solo un cadavere qualsiasi? Non ne avrei avuto la forza. Meglio andare alla finestra, ho pensato, e aprire un po’ le tende per vedere il corpo più chiaramente. Così avrei potuto valutare le sue condizioni da una distanza rispettosa.

Muovendomi con la dovuta reverenza, ho attraversato la stanza pensando al triste eremitaggio in cui Cesaria aveva vissuto dalla morte di mio padre.

Che cosa aveva fatto per riempire quegli anni? I suoi ricordi erano stati sufficienti a regalarle un po’ di felicità? Oppure si era macerata nel dolore, maledicendo la sua stessa longevità e i figli ai quali non era riuscita a dare gioia?

Ho preso una delle tende e ho cominciato a scostarla. Ma in quel momento ho sentito qualcosa sfiorarmi alla base del collo — un tocco impercettibile, certo, ma è stato abbastanza per bloccarmi all’istante. Mi sono voltato a guardare, la mano ancora chiusa sul tessuto. Per un attimo ho creduto di scorgere un qualche cambiamento nel volto di Cesaria, ma si è trattato solo di uno scherzo della mia immaginazione. L’ho fissata per un intero minuto, scrutandola in cerca di qualche traccia di vita, ma non ho trovato niente.

Facendo appello a tutto il mio coraggio, ho ricominciato a scostare la tenda e l’avevo aperta solo di pochi centimetri quando ciò che mi aveva sfiorato il collo poco prima, mi ha colpito il viso con forza. Uno schiocco ha risuonato nella mia testa e un istante dopo mi stava sanguinando il naso. Ho lasciato andare la tenda immediatamente.

Se non avessi dovuto passare davanti al letto per arrivare alla porta, sarei fuggito di corsa, ma dato che le cose stavano diversamente, ho deciso che la passività sarebbe stata la reazione migliore. Qualunque cosa fosse lì con me nella stanza, senza alcun dubbio avrebbe potuto farmi ben di peggio se lo avesse desiderato. Volevo dimostrare a quella presenza che non rappresentavo una minaccia né per lei né per la santità del corpo che giaceva sul letto.