Be’, ho pensato, non c’è ragione che resti seduto qui a diventare sempre più paranoico. Tanto vale dichiarare apertamente le ragioni per cui sono venuto e vedere se qualcuno mi risponde.
Ho tratto un respiro ansioso e ho parlato.
“Sono venuto… sono venuto a vedere il passato”, ho detto. La mia voce sembrava flebile, come quella di un bambino. “Mi ha mandato Cesaria”, ho aggiunto, pensando che questo potesse in qualche modo assicurare alle forze che abitavano la stanza che la mia presenza era legittima, e quindi, se avevano qualcosa da mostrarmi, dannazione, che lo facessero.
Qualcosa di quanto avevo appena detto — forse l’accenno al passato o forse il nome di Cesaria — ha suscitato una risposta. Le ombre attorno a me si sono fatte più scure e i loro movimenti più complessi. Una qualche parte della sagoma, che si contorceva come una cosa viva, si è levata di fronte a me: su, su, verso il lucernario. Un’altra è volata verso la parete alla mia sinistra, trascinandosi dietro altri frammenti di aria scura, agitandosi come la coda di un aquilone. E un’altra ancora è caduta sulle assi lucide, allargandosi sul pavimento.
Credo di aver sussurrato qualche parola di stupore. “Oh mio Dio”, o qualcosa di simile. Avevo le mie buone ragioni. Quello spettacolo stava crescendo col trascorrere di ogni istante, le contorsioni di quelle ombre e le loro dimensioni si espandevano quasi che seguissero una qualche progressione logaritmica. Movimento che ispirava movimento; forme che ispiravano forme. Nell’arco di forse quarantacinque secondi, tutte le pareti della camera sono state eclissate da quelle astrazioni inquiete; grigio su grigio, eppure riempito di sottili accenni di visioni a venire. I miei occhi saettavano in ogni direzione, sbalorditi da ciò che vedevano, ma anche mentre il mio sguardo si spostava da un gruppo di forme nuvolose all’altro, avevo l’impressione che ci fosse qualcosa di quasi visibile attorno a me. Che fossi in procinto di capire il funzionamento di quelle astrazioni.
Eppure, persino in quella loro condizione mutevole, mi hanno toccato profondamente. Guardando quei movimenti sinuosi e contorti, ho incominciato a capire perché Luman fosse stato così riluttante all’idea di entrare in quella stanza. Nonostante i suoi modi, era un uomo di grande vulnerabilità: c’erano semplicernente troppe sensazioni per un’anima così tenera, lì. E continuando a guardare, ho avuto l’impressione di ascoltare una partitura musicale; o meglio, diverse partiture allo stesso tempo.
Quelle forme grandiose, che stavano sopra di me come colonne di fumo contro il sole, avevano tutta la potenza di un requiem; mentre le sagome più vicine, che si muovevano attorno a me, sobbalzavano e ondeggiavano come seguendo una polca ubriaca. E tra le une e le altre, c’erano corde sinuose di aria che mi circondavano levandosi verso il cielo, come componendo una rapsodia luminosa.
Dire che ero incantato sarebbe riduttivo. Era tutto così perfettamente misterioso: una seduzione dell’occhio e del cuore che mi portava vicino alle lacrime. Ma non ero rapito al punto da non chiedermi quali poteri dovessi ancora scoprire. Avevo evocato quella visione con la mia stessa disponibilità ad accettarla. Adesso era arrivato il momento di fare di nuovo la stessa cosa, di aprire il mio spirito ancora di più per vedere ciò che le ombre avevano da mostrarmi.
“Sono pronto”, ho detto dolcemente, “quando volete…”
Le forme davanti a me hanno continuato le loro evoluzioni, senza dar segno di avere raccolto il mio invito. Nei loro movimenti c’era ancora un senso di mutamento, ma ho avuto la sensazione che stesse rallentando. Non stavo più assistendo ai cambiamenti rapidi come battiti di un cuore, che mi avevano sbalordito pochi minuti prima.
Ho parlato di nuovo: “Non ho paura”.
Ho mai detto qualcosa di così stupido in vita mia come quella dichiarazione di coraggio in un posto simile?
Le parole avevano appena lasciato la mia bocca, quando le ombre davanti a me hanno cominciato a contorcersi come se una scossa sismica avesse fatto tremare la cupola. Due o tre secondi più tardi, come un tuono che arriva un istante dopo il fulmine, l’onda d’urto ha colpito la sola forma non eterea che vi fosse nella stanza, vale a dire me. La mia sedia a rotelle è stata scaraventata all’indietro e si è rovesciata. Ho tentato inutilmente di riprenderne il controllo, ma la sedia è schizzata sulle assi, le ruote che strillavano, e ha colpito la parete vicino alla porta con tale violenza da sbalzarmi lontano.
Sono atterrato a faccia in giù e ho sentito qualcosa spezzarsi. Non avevo più aria nei polmoni. Se ne avessi avuto la forza, avrei potuto tentare di implorare clemenza, di rimangiarmi le mie parole troppo arroganti. Ma dubito che sarebbe servito.
Boccheggiando, ho cercato di mettermi seduto, in modo da poter scoprire dov’era atterrata la mia sedia a rotelle. Ma ho sentito un dolore acuto al fianco. Chiaramente si trattava di una costola rotta. Ho abbandonato i miei tentativi di muovermi per paura di causarmi danni peggiori.
Non ho potuto fare altro che giacere dov’ero stato scagliato con così poche cerimonie, e attendere che la stanza facesse il suo lavoro. Avevo invitato i poteri a mostrarmi il loro splendore, ed ero più che sicuro che non si sarebbero negati il piacere di mostrarmelo.
Otto
Non è accaduto niente. Sono rimasto lì, col respiro rapido e concitato, lo stomaco pronto a rivoltarsi, il corpo appiccicoso di sudore, e la stanza si è limitata ad aspettare. Le forme indefinibili che mi circondavano — che ormai avevano cancellato ogni dettaglio delle finestre, delle pareti e persino del pavimento — erano quasi immobili, le loro acrobazie interrotte almeno per il momento.
Era possibile che il fatto che mi fossi ferito avesse in qualche modo bloccato la presenza o le presenze che erano nella stanza? Forse si erano accorte di aver oltrepassato i confini dell’entusiasmo, e ora volevano soltanto che mi allontanassi arrancando per leccarmi le ferite? Erano in attesa che chiamassi Luman, forse? Ho pensato di farlo, ma alla fine ho deciso che non era una buona idea. Quella era una stanza in cui non si poteva pronunciare una sola parola a meno che non fosse strettamente necessario. Avrei fatto meglio a restare immobile e silenzioso, lasciando al mio corpo in preda al panico il tempo di calmarsi. Poi, una volta riacquistato il controllo, avrei cercato di strisciare fino alla porta. Presto o tardi, Luman sarebbe salito a prendermi, ne ero certo. Anche se avessi dovuto aspettare tutta la notte.
Nel frattempo ho chiuso gli occhi per liberarmi delle immagini attorno a me. Sebbene il dolore al fianco adesso fosse soltanto una pulsazione sorda, anche la testa e gli occhi mi pulsavano; non era molto difficile immaginare che il mio corpo fosse diventato un cuore grasso, dimenticato sul pavimento, prossimo a fermarsi.
Non ho paura, mi ero vantato qualche istante prima che l’energia mi colpisse. Ma ora? Oh, avevo talmente tanta paura, ora, Paura di morire lì, prima di aver finito di catalogare gli affari irrisolti che attendevano in fondo alla mia mente, che desideravano soltanto la mia attenzione e che, non ottenendola, non facevano che crescere e crescere per tutto il tempo. Be’, molto probabilmente adesso era troppo tardi; non avrei più potuto punirmi per ogni azione disonorevole che avevo commesso, né avrei più avuto occasione di riparare ai danni che avevo fatto. Danni da poco, certo, nel grande schema delle cose, ma gravi abbastanza perché me ne rammaricassi.
E all’improvviso, sulla mia nuca, un tocco; o almeno, quello che mi è parso un tocco.