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Zelim ha scrollato le spalle. “Non lo so.” Ha distolto lo sguardo, spostando di nuovo gli occhi verso la finestra. “Ma so che può essere spietata.”

Se aveva altro da aggiungere sulla mancanza di compassione di Cesaria, non ha avuto il tempo di farlo. Qualcuno ha bussato leggermente alla porta dello studio e Zabrina è apparsa sulla soglia. Sembrava più tranquilla, adesso. Aveva cercato e trovato un po’ di sollievo dalla sua preoccupazione per Cesaria. In una mano teneva non una ma due fette di torta e con la destrezza di un giocatore di carte seduto a un tavolo da poker se l’è fatte scomparire in bocca una dopo l’altra.

“È tutto a posto”, l’ho rassicurata.

“Lo immaginavo”, ha detto lei.

“Scusami. Avrei dovuto venire ad avvertirti.”

“Sono abituata a essere ignorata”, ha replicato Zabrina prima di andarsene.

Sei

1

Sono sceso al piano di sotto, sentendomi in parte esausto e in parte agitato. Avevo bisogno di qualche distrazione. Quattro chiacchiere con Marietta sarebbero state l’ideale, ma mia sorella non era in casa, così ho deciso di fumare un po’ di hashish mentre riflettevo sulla conversazione con Zelim. Con la mente rilassata dalla droga, mi sono chiesto se non avessi dedicato troppo spazio ai Geary nel mio libro. Avevo sminuito quella che avrebbe potuto essere un’opera più grande, seguendo la storia di Rachel Pallenberg così da vicino, quando il vero succo di ciò che avrei dovuto raccontare si trovava nel corpo tormentato del clan Barbarossa?

Tornato nel mio studio, ho preso il manoscritto e l’ho sfogliato, scorrendo le pagine in modo del tutto casuale, leggendo qualche brano qua e là, cercando di essere obiettivo. C’erano diversi problemi stilistici che avrei sistemato più avanti; ma nel complesso il libro rispecchiava le mie intenzioni ed era in bilico tra due mondi, il mondo esterno e il mondo racchiuso nell’Enfant.

Forse avrei potuto evitare molti dei racconti sulla vita quotidiana di questa casa, tuttavia erano resoconti onesti. Quali che siano le radici mitiche di questa famiglia, ci siamo persi nelle sciocchezze della vita domestica. Non siamo certo i primi dèi che si comportano così.

Gli occupanti dell’Olimpo non facevano altro che litigare e passare da un letto all’altro; noi non siamo né migliori né peggiori di loro. Ma loro erano creature immaginarie e noi non lo siamo. (Ho il sospetto, tra l’altro, che studiando il modo in cui sono state inventate le divinità possiamo capire meglio l’immaginazione umana. Ed è nella vita di quell’immaginazione che possiamo trovare le tracce più straordinarie del divino nell’uomo.)

Ed ecco il paradosso. Io siedo in mezzo a una casa di divinità e parlo di dèi inventati. Come sempre, questo pensiero mi confonde. È come se il mio cuore fosse diviso in due e battesse due ritmi differenti.

L’hashish mi ha messo appetito e così, dopo un paio d’ore passate a sfogliare il mio testo, sono sceso in cucina e mi sono preparato un sandwich con pane nero e roastbeef che ho mangiato seduto sui gradini della porta posteriore, gettando le briciole ai pavoni.

Poi sono andato a dormire, convinto che, quella sera, avrei continuato a esaminare il libro. Ma quando mi sono svegliato (o meglio, sono stato svegliato), la mia testa era affollata non solo da visioni della casa dei Geary a New York ma anche dalla certezza assoluta che le ultime vestigia di calma avessero definitivamente abbandonato i luoghi di cui stavo parlando.

La sequenza finale di cataclismi stava per avere inizio. Ho tratto un profondo respiro e ho intinto la penna nell’inchiostro; ho aspettato, ho osservato e, alla fine, ho cominciato a scrivere.

2

Quando Rachel arrivò al palazzo, venne informata da una delle cameriere, una donna gentile di nome Jocelyn, che quella sera non avrebbe potuto vedere Loretta. Cadmus era stato molto male fin da quella mattina e Loretta aveva mandato a casa l’infermiera, dicendole che si sarebbe occupata di lui personalmente, cosa che ora stava facendo. Le sue istruzioni erano chiare: non voleva essere disturbata da nessuno.

Ma Rachel insistette: quella era una faccenda urgente che non avrebbe potuto aspettare un altro giorno. Se Jocelyn non voleva salire a chiamare Loretta, continuò Rachel, allora ci sarebbe andata lei.

Con una certa riluttanza, la cameriera salì al piano superiore, e circa una decina di minuti più tardi arrivò Loretta. Era la prima volta che Rachel la vedeva trasandata. Loretta aveva sempre curato il suo aspetto in modo maniacale, ma adesso aveva i capelli leggermente in disordine e una delle sopracciglia disegnate era sbavata.

Disse a Jocelyn di preparare del tè, quindi accompagnò Rachel in sala da pranzo.

“Questo è un brutto momento”, le disse.

“Sì, lo so.”

“Cadmus è molto debole e tra poco dovrò tornare da lui, quindi ti prego di venire subito al punto.”

“Dopo la morte di Margie, abbiamo fatto una conversazione in questa stanza.”

“Certo, me la ricordo.”

“Be’, avevi assolutamente ragione. Stamattina Mitchell si è presentato nel mio appartamento e non credo che sia del tutto sano di mente.”

“E cos’ha fatto?”

“So che vuoi la versione breve, ma purtroppo non ce n’è una”, spiegò Rachel. “Margie aveva un libro — non conosco tutta la storia ma era una specie di diario — e io ne sono entrata in possesso. Non importa come. Il fatto è che contiene delle informazioni sui Barbarossa.”

Loretta rimase impassibile. Solo quando parlò, la sua voce, tremante tradì la sua emozione. “Hai il diario di Holt?” chiese. “No. Ce l’ha Mitchell, adesso.”

“Oh Gesù”, mormorò Loretta. “Perché non me l’hai portato?”

“Non sapevo che fosse così importante.”

“Perché credi che io stia di sopra con Cadmus ad ascoltare i suoi vaneggiamenti?”

“Perché vuoi il diario?”

“Naturalmente. Era stato proprio lui a parlarmene, ma non me l’ha mai mostrato.”

“Perché no?”

“Credo che non volesse farmi sapere altro su Galilee — più di quanto già non sapessi.”

“Ciò che Holt dice di lui non è poi molto lusinghiero.”

“Allora l’hai letto?”

“Non tutto. E da come Holt lo descrive… Dio, ma com’è possibile?”

“Cosa?”

“Che Galilee esistesse già nel 1865.”

“Lo stai chiedendo alla persona sbagliata”, disse Loretta. “Ne so quanto te. E ho smesso molto tempo fa di domandarmi come fosse possibile.”

“Allora, se hai rinunciato, per quale ragione vuoi ancora quel diario?”

“Non puoi venire qui a chiedere il mio aiuto e poi farmi il terzo grado, ragazza mia”, rispose Loretta. Distolse lo sguardo da Rachel ed emise un lungo sospiro. “Mi porteresti una sigaretta? Sono su quel tavolo.”

Rachel si alzò e le prese il portasigarette d’argento e l’accendino. Mentre Loretta si stava accendendo la sigaretta, arrivò Jocelyn con il tè. “Lascialo qui sul tavolo”, le disse, “ci serviamo da sole. Ah, e Jocelyn? Vuoi andare di sopra a vedere come sta il signor Geary?”

“Ci sono appena stata”, rispose la cameriera. “Sta dormendo.”

“Tienilo d’occhio, va bene?”

“Naturalmente.”

“Jocelyn è un vero dono del cielo”, commentò Loretta quando la cameriera se ne fu andata. “Mai una lamentela. Di cosa stavamo parlando?”

“Di Galilee.”

“Dimenticati di Galilee.”

“Una volta mi hai detto che Galilee è al centro di ogni cosa.”

“Sul serio?” disse Loretta. Aspirò una lunga boccata di fumo. “Be’, probabilmente ho esagerato. Non sei la sola che si è innamorata di lui, sai? Se davvero vuoi capire cosa ci sta succedendo, devi smetterla di essere così egoista. Tutti noi abbiamo avuto le nostre delusioni, Rachel. Tutti noi abbiamo perso l’amore e abbiamo avuto il cuore spezzato. Persino il vecchio.”