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“Nicodemus era molto fiero e non faceva che vantarsi di lei. ‘Guardate la mia compagna, è un vero genio. Sa dire oscenità in greco!’ Ma tuo padre non si rendeva conto di ciò che aveva fatto. Non ne aveva idea. Tua madre… Il cervello le stava bruciando nel cranio, anche mentre ti allattava…”

Era un’immagine terribile. Mia madre, circondata da pile di libri, che mi teneva tra le braccia, e la testa così piena di parole e di idee che il suo cervello stava ribollendo.

“È spaventoso”, ho mormorato.

“Ma c’è di peggio. Cominciò a spargersi la voce e, nel giro di un paio di settimane, tua madre era diventata una celebrità. Te lo ricordi? Ricordi la folla?” Ho scosso la testa. “La gente veniva da tutta l’Inghilterra, da tutta l’Europa, per vedere tua madre.”

“E mio padre che cos’ha fatto a quel punto?”

“Oh, si è stancato molto presto di tutto quel clamore. Si è pentito di quello che aveva fatto e mi ha chiesto se avrebbe fatto meglio a toglierle ciò che le aveva dato. Io gli ho detto che non m’importava, che era un problema suo, non mio. Ora me ne rammarico. Avrei dovuto dirgli qualcosa, forse avrei potuto salvarle la vita. E quando ci ripenso, mi rendo conto che sapevo…”

“Cosa sapevi?”

“… sapevo cosa le stava succedendo. Glielo vedevo negli occhi. Il suo povero cervello umano non poteva sopportare tanta conoscenza.

“Poi, una notte, ha chiesto a tuo padre di portarle carta e inchiostro. Lui si è rifiutato, dicendole che non poteva perdere tempo a scrivere quando doveva prendersi cura di te. Tua madre è andata su tutte le furie e se n’è andata, lasciandoti con lui.

“Naturalmente, tuo padre non aveva idea di come comportarsi con un bambino piccolo, così ti ha affidato a me.”

“E tu ti sei occupata di me?”

“Per qualche tempo.”

“E lui si è messo alla ricerca di mia madre?”

“Proprio così. Gli ci sono voluti alcuni giorni, ma alla fine l’ha trovata. Era a casa di un uomo, a Blackheath, a cui aveva concesso favori sessuali in cambio di una quantità infinita di ciò che Nicodemus le aveva negato: carta e inchiostro.”

“Che cosa aveva scritto?”

“Non lo so. Tuo padre non mi ha mai mostrato il suo lavoro. Mi ha detto che era del tutto incomprensibile. Comunque, qualunque cosa fosse, doveva essere molto importante per tua madre perché ci aveva lavorato notte e giorno, senza quasi mangiare e dormire. Quando tuo padre l’ha riportala a casa, ormai era l’ombra di se stessa: scheletrica, le mani e la faccia sporche d’inchiostro. Quando parlava, diceva cose senza senso, una mescolanza folle di tutte le lingue che conosceva e di tutte le cose che aveva letto. E per tutto il tempo continuava a fissare i suoi interlocutori, come per dire: cercate di capirmi, vi prego, vi prego…

“Ho pensato che forse se ti avesse tenuto tra le braccia si sarebbe sentita meglio, così l’ho accompagnata alla culla e le ho detto che avevi bisogno di essere allattato. Ho avuto l’impressione che fosse riuscita a capirmi. Ti ha preso e ti ha cullato per un attimo, poi è andata a sedersi accanto al fuoco come faceva di solito quando ti allattava. E non appena si è seduta, ha emesso un piccolo sospiro ed è morta.”

“Oh, mio Dio…”

“Sei scivolato dalle sue braccia e sei caduto sul pavimento. Hai cominciato a piangere. Era la prima volta che piangevi ma da quel momento in poi — dopo che eri stato il bambino più tranquillo, più dolce del mondo — da quel momento in poi sei diventato un mostro. Piangevi e gridavi e credo di non averti più visto sorridere per molti anni.”

“E mio padre che cos’ha fatto?”

“Ha preso il suo cadavere e l’ha seppellito da qualche parte nel Kent. Ha scavato la tomba con le sue mani ed è rimasto con lei a piangerla per settimane. Così io ho dovuto prendermi cura dite.”

“Ma tu non sei rimasta con me”, ho detto io. “Gisela…”

“Sì, è stata Gisela a occuparsi di te, e lo ha fatto per i sei o forse sette anni successivi. Così adesso sai tutto”, ha detto Cesaria. “Non so se sia un bene. È passato così tanto tempo…”

E seguito un lungo silenzio. Io ho ripensato a Gisela, o almeno alla Gisela che rivedo nei miei sogni. Prima sento la sua voce — una voce sottile, acuta — che mi canta una ninna-nanna. Poi vedo il cielo; piccole nuvole bianche che lo attraversano. E alla fine, vedo il suo viso sorridente, mentre continua a cantare, e mi accorgo di essere sdraiato sull’erba — probabilmente è la prima estate della mia vita — e lei mi prende tra le braccia e mi stringe contro il suo petto.

Forse avevo pianto e mi ero lamentato quando ero rimasto con Cesaria, ma credo di essere stato felice con Gisela. Almeno, questo è quanto mi ricordo.

“Vorrei che te ne andassi”, ha detto lei.

Mi sono alzato e l’ho ringraziata, ma ho avuto l’impressione che fosse troppo assorta per accorgersene. Stava pensando al passato o al futuro? Al marito che aveva perso o al figlio che stava per ritrovare? Non ho avuto il coraggio di chiederglielo.

Sono uscito senza fare rumore, e una piccola parte di me ha sperato che Cesaria mi chiamasse, che mi raccomandasse di fare attenzione; ma un’altra parte di me, ben più grande, è stata felice di non essere notata.

Tre

1

Rachel aveva bisogno di aiuto per lasciare la città. La morte di Cadmus Geary — e le bizzarre circostanze di quella morte — erano sulle prime pagine di tutti i giornali. E i cronisti, che erano apparsi subito dopo l’omicidio di Margie, erano tornati in forze e tenevano d’assedio l’edifìcio in cui si trovava l’appartamento di Rachel. Decisa ad andarsene il prima possibile senza venire interrogata dalla polizia e senza essere bloccata da Mitchell e Garrison, si rivolse a Danny che fu felice di renderle il favore e aiutarla nella fuga. Si recò nel suo appartamento, le preparò una valigia, prese il denaro e le carte di credito e la raggiunse all’aeroporto Kennedy, dove le comprò un biglietto per Honolulu.

Quando lei e Danny si salutarono, lui disse:

“Non tornerà, vero?”

“È così evidente?”

“L’ho capito da come si guardava attorno mentre venivamo qui.”

“Be’, se sarò fortunata non dovrò tornare.”

“Posso chiederle…”

“Cosa sta succedendo? Non posso dirglielo, Danny. Non che non mi fidi di lei. Ma ci vorrebbe troppo tempo per spiegarle tutto, E se anche lo avessi, non sono certa che la mia spiegazione avrebbe un senso.”

“Mi dica solo una cosa: è coinvolto anche Garrison? Sta scappando da quel bastardo? Perché se è così…”

“No, non sto scappando da niente”, lo interruppe Rachel. “Sto andando dall’uomo che amo.”

Per uno strano caso del destino, le fu assegnato lo stesso posto in prima classe che aveva occupato quando si era recata a Kaua’i la prima volta. Così, si ritrovò a vivere uno strano déjà-vu, quando si accomodò e la hostess le portò un bicchiere di champagne. Solo allora si concesse il lusso di indugiare sui suoi ricordi dell’isola. La conversazione con Jimmy Hornbeck mentre si recavano ad Anahola; e poi la casa e il prato e la spiaggia e Niolopua; la chiesa semidistrutta in cui si era rifugiata durante il temporale; la prima volta che aveva visto le vele di quella che in seguito avrebbe scoperto essere la Samarcanda, il falò sulla spiaggia e, alla fine, Galilee.