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Erano trascorse solo poche settimane da quando aveva lasciato l’isola ma erano successe talmente tante cose da allora — cose che voleva dimenticare per sempre — che quei ricordi le sembravano un sogno. Aveva bisogno di tornare sull’isola, di tornare alla casa, ma soprattutto di vedere le vele della Samarcanda stagliarsi contro il cielo per essere completamente sicura che non si fosse trattato solo di un sogno.

2

Nelle acque spietate del Sud del Pacifico, la barca che Rachel sperava di vedere era ormai ridotta in misere condizioni. Era alla deriva da undici giorni, e il suo unico occupante l’aveva lasciata in balia dei venti e delle maree. L’albero maestro era spezzato, le vele a brandelli. La timoniera era nel caos e sottocoperta le condizioni non erano certo migliori. La Samarcanda sapeva di essere condannata. Galilee poteva sentire i rumori delle sue assi; il modo in cui gemevano e rabbrividivano quando l’imbarcazione veniva colpita da un’onda. Non l’aveva mai sentita produrre quei suoni prima. A volte aveva l’impressione che gli stesse parlando, che lo stesse implorando di riscuotersi da quello stato catatonico e di prendere nuovamente il timone. Ma, negli ultimi quattro giorni, Galilee si era indebolito a tal punto che, anche se avesse voluto salvare se stesso e la barca, non avrebbe trovato le forze per farlo. Era troppo tardi. Non aveva più alcun desiderio di vivere e il suo corpo — che era sopravvissuto a un’infinità di eccessi — aveva cominciato a deperire rapidamente. Persino il delirio lo aveva abbandonato adesso, anche se continuava a bere due bottiglie di brandy al giorno. La sua mente era troppo esausta anche per generare allucinazioni e le sue membra erano troppo stremate per sostenerlo. Così, giaceva sul ponte e attendeva fissando il cielo.

Verso sera, pensò che il momento fosse arrivato. Stava guardando il sole tramontare tra le nuvole sull’oceano, quando la Samarcanda d’improvviso si fece silenziosa attorno a lui. Le assi smisero di gemere e le vele lacerate rimasero immobili.

Sollevò di qualche centimetro la testa dal ponte. Il sole sembrava aver rallentato la sua discesa. E anche il suo cuore pareva aver diminuito i battiti, quasi che il suo corpo — sapendo di essere prossimo alla fine — fosse diventato avido di ogni sensazione e stesse abbassando la sua fiamma vitale in modo da poter ardere un po’ più a lungo. Finché il sole non fosse scomparso; finché il cielo non avesse perso anche le ultime tracce di colore; finché fosse riuscito a vedere la Croce del Sud che splendeva luminosa sopra di lui.

Che disastro era stata la sua vita, che messinscena infelice! Stentava a ricordare un momento in cui non avesse provato rimorso.

E non aveva scuse per le colpe di cui si era macchiato. Era venuto al mondo con tutte le benedizioni della divinità e ora stava per lasciarlo a mani vuote, dopo aver sprecato tutti i doni che aveva ricevuto.

No, non solo li aveva sprecati ma, peggio ancora, li aveva usati per scopi crudeli. Aveva fatto del male a molte persone (poche di loro veramente innocenti, certo, ma adesso anche questo gli era di scarso conforto); si era permesso di diventare un comune assassino al servizio della mera ambizione. Ambizione umana; ambizione Geary; il desiderio di possedere bestiame e ferrovie e pianure e foreste, di regnare su popoli e stati; di essere piccoli re.

Erano morti quasi tutti, naturalmente, e molte volte Galilee era stato presente per assistere ai loro ultimi istanti: le loro lacrime, le loro patetiche preghiere, la loro disperata speranza di redenzione. Perché non aveva imparato niente da quelle morti? Perché non aveva cambiato vita? Perché non aveva sfidato i suoi padroni e non aveva avuto il coraggio di tornare a casa e chiedere perdono?

Perché proprio lui che era nato con quelle certezze che tutte le religioni del mondo avrebbero voluto possedere, nel momento della morte, era solo e terrorizzato?

C’era unicamente un volto a cui poteva ripensare senza soffrire; solo un’anima che non aveva tradito. Pronunciò il suo nome mentre il disco del sole toccava il mare.

“Rachel”, mormorò. “Dovunque tu sia… ti amo…”

Poi chiuse gli occhi.

Quattro

Garrison Geary era nella camera da letto di Cadmus e la stava esaminando, euforico. Era difficile reprimere la felicità che provava ma stava facendo del suo meglio. Aveva rilasciato una breve dichiarazione alla stampa, spiegando che nessuno conosceva ancora con precisione le circostanze della dipartita di Cadmus, ma che quel triste avvenimento non era stato una grande sorpresa per nessuno dei familiari. Poi aveva trascorso una frustrante ora con Loretta durante la quale aveva tentato di farsi raccontare cos’era accaduto. Stavano cominciando a girare troppe voci al riguardo, le aveva detto; gli schianti si erano sentiti fino a un isolato di distanza. Non sarebbe stato meglio raccontargli la verità, in modo che lui potesse esporre i fatti alle autorità e alla stampa in modo corretto, senza lasciare spazio alle speculazioni e ai pettegolezzi? Loretta gli aveva detto che non poteva aiutarlo; semplicemente, non ricordava. Qualunque fosse stata la natura del cataclisma, l’aveva sconvolta fino a farle dimenticare tutto. Forse, col tempo, sarebbe riuscita a ricordare. Ma per il momento lui e la polizia e i giornalisti avrebbero dovuto inventarsi le risposte che volevano.

Naturalmente era solo una finzione; Loretta non si era sforzata più di tanto per farla sembrare plausibile. Si era limitata a fornire la sua versione dei fatti e aveva sfidato Garrison a contraddirla. Lui aveva deciso di non insistere, per il momento. Poteva aspettare. Dio solo sapeva se aveva dovuto imparare l’arte della pazienza, interpretando la parte del nipote obbediente mentre Cadmus si aggrappava disperatamente alla vita e al potere. Ora il vecchio bastardo era morto e Loretta aveva già giocato quasi tutte le sue carte. La sola carta che aveva in mano ormai era la verità; e, dal momento che era una giocatrice esperta, se ne sarebbe servita il più tardi possibile. Ma non ci avrebbe guadagnato niente. Le cose stavano cambiando rapidamente e Loretta sapeva che ben presto quella sua unica carta non avrebbe avuto più alcun valore. Una volta che fosse stata tagliata del tutto fuori dalla partita, lui gliel’avrebbe tolta dalle mani per pura curiosità.

Mitchell lo raggiunse nella stanza di Cadmus.

“Ho fatto due chiacchiere con Jocelyn”, disse. “Ha sempre avuto un debole per me.”

“E allora?”

“Allora sono riuscito a farmi raccontare cos’è successo.” Mitchell si avvicinò al letto del vecchio, assaporando quel momento. “Per prima cosa, Rachel era qui.”

“E con questo?” disse Garrison scrollando le spalle. “È irrilevante, Mitchell. Cristo santo, vedi di rendertene conto.”

“Non trovi sospetto il fatto che fosse qui?”

“In che senso?”

“Forse lavora per i responsabili di questo disastro. Forse è stata lei a farli entrare.”

Garrison lo fissò inespressivo. “Chiunque sia responsabile di questo disastro non ha bisogno dell’aiuto della tua fottutissima moglie. Hai capito?”

Non parlarmi in quel modo”, ringhiò Mitchell. “Non sono un imbecille e non lo è nemmeno Rachel. È riuscita a trovare il diario, non dimenticarlo.”

Garrison ignorò quell’ultimo commento. “Cos’altro ti ha raccontato Jocelyn?” domandò.

“Niente.”

“Non hai saputo nient’altro da lei?”

“E più di quanto tu sia riuscito a sapere da Loretta.”

“Che si fotta, Loretta.”

“Ti è mai venuto in mente che forse potremmo aver sottovalutato questa gente?”