Ma era impossibile ritornare a quella condizione di innocenza dopo tutto quello che era successo. Tuttavia, mentre abbandonava la strada principale e imboccava il sentiero dissestato che l’avrebbe portata alla casa, fu sorpresa nello scoprire quanto fosse facile convincersi che le agonie del suo recente passato appartenessero a qualcun altro.
Gli alberi e i cespugli si erano infittiti dall’ultima volta che era stata lì e il giardino non veniva curato da tempo. I rampicanti avevano coperto le grondaie e stavano invadendo il tetto; la veranda era piena di grandi boccioli marci e i gechi sembravano meno preoccupati della sua presenza adesso, come se avessero preso il controllo di quel luogo e non avessero intenzione di farsi intimidire dal suo arrivo.
La porta d’ingresso era chiusa a chiave, cosa che non la sorprese. Andò sul retro; si ricordava che la serratura della portafinestra era difettosa e sperava che nessuno l’avesse ancora riparata.
Fu fortunata. La porta si aprì e lei entrò in casa. L’aria sapeva di muffa ma non in modo sgradevole ed era piacevolmente fresca. Rachel andò subito in cucina e bevve un bicchiere di acqua gelata. Con il bicchiere in mano, fece un breve giro della casa per riambientarsi. Non avrebbe mai potuto immaginare quanto piacere le avrebbe dato il semplice fatto di trovarsi di nuovo in quel luogo; piacere che veniva reso più intenso dalla clandestinità della sua presenza.
Dopo aver preparato il grande letto in cui aveva dormito la prima volta, pensò di sdraiarsi tra le lenzuola fresche e invitanti e dormire, ma resistette alla tentazione. Si fece una doccia, si preparò una tazza di tè e andò in veranda a fumare una sigaretta e a godersi l’ultima luce del giorno. Non appena ebbe ripulito una delle sedie dalle foglie cadute e si fu seduta, il cielo plumbeo si aprì in un diluvio. I gechi, spaventati, si misero in cerca di un riparo, una gallina in preda al panico attraversò di corsa il prato. Per qualche ragione, ascoltando il rumore della pioggia battente, a Rachel venne voglia di ridere; e così rise. Rimase là, seduta sulla veranda come una pazza che aveva perso la ragione aspettando il suo innamorato e che rideva, rideva, mentre la pioggia continuava a cadere e nascondeva l’oceano che non glielo aveva restituito.
Otto
Galilee era certo che non si sarebbe svegliato mai più — almeno non in questo mondo. Invece si svegliò.
I suoi occhi, incrostati di salsedine, si aprirono dolorosamente e lui sollevò la testa per guardare l’oceano.
Qualcuno lo aveva chiamato. Non era la prima volta che sentiva delle voci nella sua solitudine, naturalmente; c’erano state molte apparizioni in vena di chiacchiere. Ma questa era qualcosa di diverso; era una voce che fece tremare il suo cuore e lo riscosse dal torpore. Galilee alzò lo sguardo. Il cielo aveva il colore del ferro arroventato.
Alzati, bambino mio.
Bambino? Chi lo aveva sempre chiamato così? Solo una donna.
Alzati e ascoltami.
Lui aprì la bocca per parlare ma riuscì a emettere un suono debole, a malapena udibile. Lei capì comunque.
Sì che puoi, gli disse.
Galilee gemette di nuovo. Era troppo debole, troppo vicino alla morte.
Sono stanca quanto te, figlio mio, disse sua madre, e sono pronta a morire quanto lo sei tu. Credimi. Assolutamente pronta. Ma se mi prendo il disturbo di venire a cercarti, il meno che tu possa fare è metterti a sedere e guardarmi.
Non c’era alcun dubbio sull’autenticità di quella voce. In qualche modo Cesaria era lì con lui. La donna che lo aveva scaldato nella fornace del suo grembo, che lo aveva nutrito con il suo corpo e che aveva modellato la sua anima; la donna che si era infuriata con lui per la sua follia e lo aveva accusato di essere irrecuperabile, quella donna lo aveva trovato, e ora Galilee non aveva modo di sfuggirle.
Non sono venuta qui di mia iniziativa, continuò Cesaria.
“E allora perché sei venuta?”
Perché ho conosciuto la tua donna. La tua Rachel.
Ora finalmente Galilee sollevò la testa. Sua madre, o meglio, la sua proiezione era in piedi sul ponte della Samarcanda. Benché gli avesse chiesto di guardarla, ora i suoi occhi erano rivolti altrove, sul sole che stava tramontando, su quel cielo che si andava sciogliendo. Galilee si rese conto solo in parte che era trascorso un giorno da quando aveva creduto di vivere i suoi ultimi istanti nella luce morente. Lui e la sua barca erano sopravvissuti per altre ventiquattr’ore.
“Dove l’hai vista? Non sarà venuta…”
All’Enfant? No, no. L’ho vista a New York.
“Sei stata a New York. Perché?”
Sono andata a trovare il vecchio Geary. Stava morendo.
“Sei andata a ucciderlo?”
Cesaria scosse la testa. No. Volevo solo assistere alla morte di un nemico. Naturalmente, quando mi sono trovata lì, è stato difficile non causare un po’ di trambusto.
“Che cos’hai fatto?”
Lei scosse la testa. Niente di grave.
“Ma lui è morto?”
Sì, è morto. Alzò lo sguardo sul cielo sopra di lei: le prime stelle stavano cominciando a brillare. Ma non sono venuta qui per parlare di lui, sono venuta qui per Rachel.
Galilee scoppiò a ridere; o almeno ci provò perché la sua gola era troppo riarsa.
Cosa c’è di tanto divertente?, volle sapere Cesaria.
Galilee afferrò la bottiglia di brandy che era rotolata verso il parapetto e bevve un lungo sorso. “L’idea che tu possa fare qualcosa per qualcuno”, rispose.
Cesaria ignorò quella provocazione. E un comportamento che non ti fa onore. Voltare le spalle a una donna che ti ama così tanto.
“Da quando in qua ti importa qualcosa di quello che prova un essere umano?”
Forse sto diventando sentimentale con l’età. Hai trovato una donna straordinaria. E che cosa fai? Cerchi di ucciderti. Comincio a perdere le speranze per te. Aveva abbassato la voce nel pronunciare quelle ultime parole, e le assi della Samarcanda furono percorse da un tremito. Comincio davvero a perdere le speranze per te.
“Fai pure”, replicò Galilee. “Non me ne frega un cazzo. Vattene e lasciami morire.” Fece un gesto con la mano come per allontanarla da sé e tornò ad abbassare la testa, premendo il volto contro le assi del ponte. Non la stava più guardando, ma sapeva che non se n’era andata. Sentiva le emanazioni del potere di Cesaria che lo sfioravano, sottili e ritmiche. Benché sua madre fosse solo una visione, lì, aveva portato con sé comunque una parte della sua autorità fisica.
“Che cosa stai aspettando?” continuò lui senza alzare la testa. Non lo so esattamente, rispose lei. Forse spero ancora che tu riesca a ricordarti chi sei.
“Io so chi sono…” ringhiò Galilee.
ALLORA ALZA LA TESTA. La barca venne scossa dalla prua alla poppa quando Cesaria pronunciò quelle parole; i pesci nelle profondità dell’oceano si agitarono frenetici. Ma Galilee non si lasciò impressionare; o almeno, non obbedì. Rimase dov’era, a faccia in giù.
Sei l’ombra di te stesso, gli disse lei.
“Senza dubbio”, mormorò Galilee.
Sei solo un egoista, testardo…
“Senza dubbio”, ripeté lui. “Sono il peggior pezzo di merda che abbia mai galleggiato sull’oceano. Adesso, per favore, vuoi lasciarmi in pace?”
La barca tremò di nuovo anche se non con la stessa violenza di prima. Vi fu qualche istante di silenzio. Alla fine, Galilee lanciò un’occhiata obliqua a Cesaria. “Hai molti altri figli, perché non vai a tormentare loro?”