Galilee sentì il sangue scorrergli più in fretta nelle vene; chiaramente, l’energia che Cesaria stava usando per manipolare gli elementi stava agendo anche su di lui.
La Samarcanda si inclinò su un lato, colpita da una violenta ondata, e le assi del ponte e dello scafo scricchiolarono minacciosamente. Galilee sentì un pizzicore alla base del cranio e una morsa serrargli lo stomaco. Conosceva quella sensazione anche se erano trascorsi molti, molti anni dall’ultima volta che l’aveva provata. Aveva paura.
Ma non gli sfuggì l’ironia di quella situazione. Mezz’ora prima si era rassegnato alla morte. Non solo rassegnato: era stato persino felice dell’avvicinarsi della fine. Ma Cesaria aveva cambiato tutto. Gli aveva dato una nuova speranza, accidenti a lei. E adesso che Galilee voleva veramente tornare dalla sua Rachel, la prospettiva della morte, che fino a qualche minuto prima gli era parsa quasi confortante, adesso lo spaventava.
Cesaria si accorse del disagio del figlio. Lo chiamò. Vieni qui, prendi un po’ della mia energia.
“Cosa?”
Avrai bisogno di tutta la forza possibile nelle prossime ore. Usa la mia.
Cesaria era un vero spettacolo, là, sulla prua, le braccia aperte per accoglierlo, il corpo — illuminato dal chiarore incerto delle lampade — che luccicava contro il cielo assassino.
Fai in fretta, Atva!, disse alzando la voce per farsi sentire al di sopra del fragore del vento che frustava le onde. Non posso restare qui ancora molto a lungo.
Galilee non se lo fece ripetere due volte. Attraversò il ponte barcollando e si protese verso di lei per afferrarle la mano.
Lei gli aveva promesso forza e fu esattamente ciò che Galilee ebbe, ma in un modo che gli fece sospettare che sua madre avesse cambiato idea e avesse deciso di ucciderlo. Ebbe l’impressione che il midollo osseo gli stesse prendendo fuoco — un calore profondo e terribile che scaturiva dal centro delle sue membra e si allargava attraverso nervi e cartilagini fino a raggiungergli la pelle. Non lo sentì solamente, lo vide; o almeno i suoi occhi credettero di scorgere una luminescenza nella carne, blu e gialla, che si propagava nel corpo partendo dallo stomaco; che scorreva nelle membra esauste, ravvivandole con il suo passaggio. Ma non vide solo questo. Il bagliore gli risalì fino alla testa, fluendogli attorno al cranio come vino che trabocca da una coppa, e in quel momento vide sua madre in un luogo diverso: nella sua camera, nella casa che Jefferson aveva costruito per lei, sdraiata sul letto, con gli occhi chiusi. Zelim era ai piedi del letto — il leale Zelim che aveva odiato Galilee di un odio puro e feroce — il capo chino come se fosse in preghiera o in meditazione. Le finestre erano aperte e nella stanza erano entrate le falene. Non una decina: migliaia, decine di migliaia. Erano sulle pareti e sul letto e sui vestiti, sulle mani e sul volto di Cesaria. Erano anche sulla testa rasata di Zelim.
Quella visione domestica fu breve e venne spazzata via in pochi secondi da qualcosa di ancora più strano. L’agitazione delle falene crebbe e l’oscurità intermittente delle loro ali svelò la scena dal soffitto al pavimento. L’unica forma ancora visibile era quella di Cesaria che ora non giaceva più sul letto ma sospesa sopra tenebre senza limiti.
Galilee provò un senso di solitudine improvviso e penetrante: qualsiasi cosa fosse quel vuoto — reale o immaginario — voleva allontanarsene.
“Madre…” mormorò.
La visione non lo abbandonò e il suo sguardo fluttuò incerto sopra il corpo di Cesaria, come se da un momento all’altro sua madre e lui avessero potuto perdere la loro capacità di levitare e precipitare nel nulla.
Chiamò di nuovo Cesaria e in quel momento la forma davanti a lui luccicò e comparve la terza e ultima visione. Non fu l’oscurità a cambiare ma Cesaria. Le vesti che l’avvolgevano si annerirono, marcirono e le si staccarono di dosso. Sotto non era nuda; o almeno gli occhi di Galilee non ebbero l’opportunità di vederla in quello stato. Era sciolta, come fatta di lava; la sua umanità, o il suo aspetto umano, rifluiva nel vuoto, abbandonandola, tracciando scie luminose. Galilee vide il volto di Cesaria sciogliersi nella luce; vide i suoi occhi sgranati e colmi di gioia; vide il suo cuore ardente cadere come una stella, rischiarando l’abisso.
In quello stesso istante di estasi, la solitudine lo abbandonò. La paura che aveva provato mentre era sospeso su quel nulla, d’improvviso gli parve ridicola. Come avrebbe mai potuto essere solo in un luogo che condivideva con un’anima così ricca di prodigi? Lei era luce! E il buio era la sua ombra, il suo compagno; erano amanti, lei e il buio, uniti in un matrimonio di assoluti. E, con quella rivelazione, la visione svanì e Galilee si ritrovò sul ponte della Samarcanda.
Cesaria era scomparsa. Galilee non aveva modo di sapere se avesse ritirato il suo spirito in un luogo di riposo — la camera da letto dove l’aveva vista, forse — per lo sfinimento, o se semplicemente se ne fosse andata perché aveva finito con lui e non aveva più niente da dirgli. E lui non aveva il tempo di riflettere su quella domanda. La tempesta evocata da Cesaria lo aveva investito con tutta la sua furia. Le onde erano alte quanto l’albero maestro, se solo avesse avuto ancora un albero maestro. E i venti erano così forti che avrebbero potuto fargli a brandelli le vele, se avesse avuto ancora le vele. Lui non aveva niente, solo le sue membra non più devastate dalle privazioni, la sua volontà e lo scafo malridotto della Samarcanda. Ma sarebbe stato abbastanza. Gettò indietro la testa, pieno di feroce esultanza, e gridò alle nubi impetuose:
“RACHEL! ASPETTAMI!”
Poi cadde in ginocchio e pregò suo padre che gli facesse superare indenne la tempesta che sua madre aveva creato.
Nove
1
Qualche ora fa c’è stato un gran trambusto in casa; risate, prima di tutto. L’Enfant non sente ridere spesso da molto tempo a questa parte. Mi sono alzato dalla scrivania e sono andato a vedere quale fosse la causa di tanta allegria e, in corridoio, ho incontrato Marietta che teneva per mano una donna in jeans e T-shirt. Le risate che avevo sentito erano ancora sui loro volti.
“Eddie!” ha esclamato mia sorella. “Stavamo venendo a salutarti.”
“Questa dev’essere Alice”, ho detto.
“Sì”, ha replicato Marietta, raggiante e orgogliosa.
Aveva le sue buone ragioni per esserlo. La ragazza era snella e graziosa, minuta e col seno piccolo. A differenza di Marietta che usa in abbondanza kohl e lucidalabbra, Alice non aveva nemmeno un’ombra di trucco. Le sue ciglia erano bionde come i capelli, e il volto, di un candore latteo, era spruzzato di pallide efelidi. Questo non significa che avesse un aspetto insipido. C’era una fierezza nei suoi occhi grigi che faceva di lei la compagna perfetta per mia sorella. Quella non era una donna che avrebbe mai preso ordini da nessuno. La sua stretta di mano era decisa e vigorosa.
“Eddie è lo scrittore di famiglia”, ha esordito Marietta orgogliosamente.
“Suona bene”, ho detto io.
“Che cosa scrivi?” mi ha chiesto Alice.
“Sto scrivendo la storia della famiglia Barbarossa.”
“E ci sarai anche tu”, ha aggiunto Marietta.
“Sul serio?”
“Certo”, ha detto Marietta. Poi, rivolgendosi a me: “Ci sarà anche lei nel libro, vero?”
“Penso di sì”, ho risposto. “Se davvero entrerà a far parte della nostra famiglia.”
“Oh, ci sposeremo”, ha detto Alice, appoggiando dolcemente la testa sulla spalla di Marietta. “Non ho intenzione di lasciarmela scappare. Mai.”
“Voglio portarla di sopra”, ha aggiunto Marietta. “Voglio presentarla alla mamma.”