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“Non penso che sia una buona idea in questo momento”, le ho fatto osservare. “Ha viaggiato molto ed è esausta.”

“Non importa, tesoro”, ha mormorato Alice a Marietta. “Tra non molto sarò sempre qui.”

“Allora voi due volete vivere qui all’Enfant?”

“Certo”, ha risposto mia sorella, accarezzando il volto di Alice col dorso della mano. Alice era in estasi. Ha chiuso gli occhi con aria languida, premendo il viso contro la curva del collo di Marietta. “Te l’avevo detto, Eddie”, ha continuato Marietta. “È una cosa seria. È lei la donna della mia vita… non ci sono dubbi.”

Non ho potuto fare a meno di ripensare alla conversazione tra Galilee e Cesaria sul ponte della Samarcanda; di ripensare alla sua promessa di fare di Rachel la sola signora del suo cuore. Era solo una coincidenza, o c’era un disegno in tutto questo? Proprio all’inizio della guerra, proprio quando lo stesso futuro della nostra famiglia è messo in dubbio, due dei suoi componenti rinunciano a un passato promiscuo e dichiarano di aver trovato le loro anime gemelle.

Comunque io, Marietta e Alice abbiamo chiacchierato piacevolmente ancora per un po’. Poi mia sorella ha detto di voler portare Alice a visitare le stalle e mi ha proposto di unirmi a loro. Ho declinato il suo invito. Sono stato tentato di chiedere a Marietta se fosse sicura che una visita alle stalle fosse una buona idea ma ho preferito non dire niente. Se Alice aveva davvero intenzione di trasferirsi all’Enfant, prima o poi avrebbe dovuto conoscere la storia della casa e di coloro che vi avevano vissuto. Una visita alle stalle avrebbe fatto sorgere in Alice delle domande più che lecite: perché un posto così magnifico era deserto? Perché ospitava una tomba? Ma forse era proprio quello lo scopo di Marietta. Dalle reazioni di Alice avrebbe potuto capire fino a che punto la sua ragazza fosse pronta a conoscere i nostri segreti più oscuri. Se non fosse rimasta turbata da quel luogo, allora forse mia sorella le avrebbe raccontato ogni cosa. Se invece si fosse dimostrata impressionabile, Marietta avrebbe centellinato le informazioni sulla nostra famiglia in modo da non spaventarla ulteriormente.

Comunque, ci siamo salutati e io sono tornato nel mio studio per cominciare a scrivere il prossimo capitolo che tratterà dei preparativi per il funerale di Cadmus Geary. Ma non riuscivo a trovare le parole giuste. Qualcosa mi stava distraendo. Ho posato la penna sulla scrivania, mi sono appoggiato allo schienale e ho cercato di capire quale fosse il problema. Non ho dovuto interrogarmi a lungo. Ero preoccupato per Marietta e Alice. Ho guardato l’orologio. Era passata quasi un’ora da quando si erano incamminate verso le stalle. Non avrebbero dovuto essere già tornate, ormai? Forse era così e non le avevo sentite rientrare. Ho deciso di andare a cercarle; non sarei comunque riuscito a lavorare prima di essermi tranquillizzato sul loro conto.

2

Era sera inoltrata, e in cucina ho trovato Dwight seduto a guardare la piccola televisione in bianco e nero. Aveva visto Marietta per caso?, gli ho chiesto. Lui mi ha risposto di no; poi — accorgendosi della mia apprensione — mi ha domandato se ci fosse qualche problema. Io gli ho spiegato che Marietta aveva un’ospite e che insieme erano andate a visitare le stalle. Dwight è un uomo intelligente; non c’è stato bisogno che gli dicessi altro. Si è alzato, ha preso la giacca e ha chiesto:

“Vuole che vada a vedere se va tutto bene?”

“Potrebbero anche essere già tornate”, ho replicato. Lui è andato a controllare. È tornato dopo un paio di minuti con una torcia elettrica in mano e mi ha riferito che non c’era traccia di Marietta in casa. Lei e Alice dovevano essere ancora fuori.

Siamo usciti; la torcia elettrica ci è stata di grande aiuto. Era una notte lugubre; l’aria era fredda e opprimente.

“Probabilmente è solo una perdita di tempo”, ho detto a Dwight, mentre ci dirigevamo verso il fìtto gruppo di magnolie e cespugli di azalee che nascondono le stalle. Speravo di avere ragione, tuttavia non ero molto ottimista. Il senso di disagio che mi aveva fatto alzare dalla mia scrivania era peggiorato. I miei respiri erano più rapidi e affannosi; ero pronto al peggio anche se non riuscivo a immaginare che cosa fosse il peggio.

“Sei armato?” ho chiesto a Dwight.

“Porto sempre con me una pistola”, ha risposto lui. “E lei?”

Ho estratto la Griswold e Gunnison. Lui l’ha illuminata con il fascio di luce della torcia.

“Mio Dio”, ha esclamato. “Ma è un pezzo da museo.”

“Luman mi ha detto che funziona.”

“Spero che sapesse di cosa stava parlando.”

A giudicare dall’espressione di Dwight, l’atmosfera stava innervosendo anche lui. Mi sono sentito in colpa. Lo avevo trascinato io in quella ricerca, dopotutto.

“Passami la torcia”, gli ho detto. “Faccio strada io.”

Lui non ha fatto obiezioni. Ho preso la torcia, l’ho puntata sui cespugli davanti a noi e abbiamo ricominciato a camminare.

Non è stato un lungo tragitto e quando siamo usciti dalla vegetazione, le stalle erano là, a una cinquantina di metri da noi, le pareti di pietra chiara visibili anche nell’oscurità. Come ho già detto, è un luogo notevole; una costruzione elegante di più o meno duecento metri quadrati, che si sarebbe potuta scambiare per un tempio classico, con le sue piccole colonne e il suo portico (decorato, anche se noi non potevamo vederlo nell’oscurità, con fregi di cavalieri e cavalli selvaggi). Nei suoi giorni di splendore, quello era stato un luogo illuminato dal sole e rallegrato dal chiasso degli animali. Ora, avvolto dalle ombre, sembrava un gigantesco mausoleo.

Io e Dwight ci siamo fermati davanti all’entrata. Ho puntato il fascio luminoso sulle enormi porte che erano spalancate. La luce ha faticato a spingersi oltre la soglia.

“Marietta?” ho chiamato. (Avrei voluto gridare ma avevo paura di disturbare le forze che potevano trovarsi lì.)

All’inizio non ho ottenuto alcuna risposta così l’ho chiamata di nuovo. E questa volta ho sentito qualcosa. Era il rumore di qualcuno che si muoveva dentro il tempio, seguito da un indistinto chi è? Rassicurato nel sentire la voce di Marietta ho varcato la soglia delle stalle.

Anche dopo tanti anni, quel luogo tratteneva ancora l’odore dei suoi occupanti: l’aroma maturo del sudore di cavallo e della carne di cavallo e degli escrementi di cavallo. Una volta quell’edifìcio aveva conosciuto una vita intensa, un’energia fatta di zoccoli scalpitanti, folte criniere e muscoli potenti.

Potevo vedere Marietta, ora. Stava venendo verso di me e si stava riabbottonando l’abito. Non c’erano dubbi su ciò che lei e Alice avevano fatto: aveva il volto arrossato, la bocca gonfia di baci.

“Dov’è Alice?” le ho chiesto.

“Sta dormendo”, ha risposto lei. “È sfinita, povera bambina. Cosa ci fai qui?”

Mi sono sentito in imbarazzo; sono certo che Marietta sapesse che spesso avevo soddisfatto i miei istinti voyeuristici con lei, e probabilmente adesso sospettava che lo avessi fatto di nuovo. Non ho perso tempo a dichiararmi innocente; mi sono limitato a domandare: “State bene?”

“Benissimo”, ha risposto mia sorella, chiaramente stupita. “Chi c’è lì fuori con te?”

“Dwight”, ha detto lui dall’oscurità alle mie spalle.

“Ehi, Dwight, che succede?” ha voluto sapere Marietta.

“Niente di importante”, ha risposto lui.

“Mi dispiace di avervi disturbate”, ho detto.

“Nessun problema”, ha replicato Marietta. “Ormai è ora di tornare a casa.”

Mentre parlava, il mio sguardo si è spostato sulle tenebre dietro di lei. Nonostante quel tranquillo scambio di battute, c’era ancora qualcosa che mi disturbava, che mi costringeva a scrutare l’oscurità.