“Cosa c’è, Eddie?” mi ha chiesto.
Ho scosso la testa. “Non lo so. Forse sono solo i ricordi.”
“Entra pure, se vuoi”, ha detto, facendosi da parte. “Sarai deluso di sapere che Alice è più che presentabile.” Passandole accanto, le ho lanciato uno sguardo irritato, poi mi sono inoltrato nelle stalle, lasciandomi alle spalle mia sorella e Dwight. La sensazione che ci fosse una presenza lì si faceva sempre più intensa. Ho fatto oscillare il fascio di luce della torcia avanti e indietro: sul pavimento di marmo, con i suoi canaletti di scolo; sui box, con le loro porte intarsiate; sulle basse volte del soffitto. Era tutto immobile. Non riuscivo nemmeno a scorgere Alice. Avanzando cautamente, ho resistito all’impulso di voltarmi a guardare Marietta e Dwight per trarre conforto dalla loro presenza.
Il punto in cui giaceva il corpo di Nicodemus insieme a tutti gli oggetti con cui aveva chiesto di essere sepolto (i suoi falli di giada; la maschera d’oro bianco che indossava durante le sue estasi; il mandolino che aveva suonato come un angelo) era al centro dell’edificio, a una ventina di metri da dove mi trovavo ora. Lì il pavimento di marmo era stato tolto e non era stato più risistemato, nemmeno dopo la sepoltura. Su quella terra erano cresciuti funghi, una quantità soprannaturale di funghi. Nell’oscurità ho intravisto le loro sagome pallide; a centinaia. Altri falli in un certo senso. L’ultima beffa di mio padre.
Un movimento alla mia destra; mi sono fermato di colpo e mi sono guardato attorno. Era Alice che si era svegliata e ora si stava alzando.
“Cosa succede?” ha domandato. “Perché fa così freddo, tesoro?”
Non me n’ero accorto fino a quel momento, ma aveva ragione: potevo vedere il fiato condensarsi davanti alla mia bocca.
“Non sono Marietta, sono Maddox”, le ho detto.
“Che cosa ci fai qui?”
“Va tutto bene. Sono solo venuto a…”
Non ho potuto finire la frase. A interrompermi era stato un suono che proveniva dall’oscurità oltre la tomba di mio padre. Un rumore di zoccoli sul marmo.
“Oh, mio Dio…” ha mormorato Alice.
Dalle ombre stava emergendo un cavallo, e con gli zoccoli produceva un suono che quel luogo non sentiva da quasi un secolo e mezzo. E non era un cavallo qualsiasi. Era Dumuzzi. Anche da quella distanza, anche in quella debole luce, l’ho riconosciuto subito. Non era mai esistito un animale così splendido e così sicuro del proprio splendore. Il suo passo fiero mentre si avvicinava, scintille che si sprigionavano dal marmo sotto i suoi zoccoli, illuminavano la sua anatomia facendo ardere i suoi occhi. Tutte le ferite che Cesaria gli aveva inflitto — e anche se non avevo assistito al massacro, sono certo che mia madre avesse riservato a lui le peggiori crudeltà — erano guarite. Dumuzzi era di nuovo la perfezione.
In qualche modo era stato resuscitato dalla fossa in cui era stato gettato il suo corpo ed era tornato gloriosamente in vita.
Non avevo dubbi su chi fosse l’artefice di quel prodigio. Così come era stata la mano di Cesaria Yaos a massacrare Dumuzzi, così era stata la mano di suo marito, mio padre, a resuscitarlo. Non c’era niente di più certo al mondo.
In vita mia non avevo mai provato sentimenti così contrastanti. La presenza di Dumuzzi davanti a me — indiscutibile, irresistibile — era la prova di una presenza più grande in quel luogo malinconico. Nicodemus era lì: o almeno, la parte di lui che aveva perforato il velo tra questo mondo e l’altro. Come dovevo sentirmi? Dovevo avere paura? Sì, in una certa misura sì; la paura primitiva che inevitabilmente i vivi provano quando gli spiriti dei morti ritornano. Dovevo provare timore reverenziale? Assolutamente sì; non avevo mai avuto una dimostrazione più certa della divinità di mio padre. Dovevo provare gratitudine? Sì, anche questo. Nonostante i tremiti che mi attraversavano il ventre e le gambe, ero grato al mio istinto per avermi condotto lì: grato per l’opportunità di assistere a quel presagio del ritorno di Nicodemus.
Mi sono voltato a guardare Alice, pensando di dirle di allontanarsi, ma Marietta ci aveva raggiunti e la stava stringendo tra le braccia. Alice fissava Dumuzzi ma Marietta fissava me. Aveva le lacrime agli occhi.
Nel frattempo Dumuzzi aveva raggiunto il limitare della tomba di mio padre e ora stava colpendo con gli zoccoli la terra che copriva il cadavere di Nicodemus. I funghi sono stati spappolati, ridotti in pezzi che a loro volta sono stati scagliali in tutte le direzioni.
Dopo meno di un minuto, il cavallo si è fatto più calmo e si è fermato, la testa inclinata in modo da poterci guardare.
“Dumuzzi?” ho detto.
Nel sentirsi chiamare per nome, il cavallo ha soffiato dalle narici.
“Conosci questo animale?” ha chiesto Marietta.
“Era il preferito di nostro padre.”
“E da dove diavolo è arrivato?”
“È tornato dal mondo dei morti.”
“È bellissimo”, ha mormorato Alice, la voce colma di meraviglia. Sembrava non aver nemmeno sentito lo scambio di battute tra me e mia sorella, tanto era rapita da quello spettacolo. Marietta l’ha presa per un braccio.
“Alice”, ha detto con fermezza. “Dobbiamo andare. Ora.”
Ha cominciato a trascinare Alice verso la porta, ma in quel momento Dumuzzi si è impennato, ha emesso un suono così acuto e penetrante da farci sobbalzare e si è lanciato contro di noi. La vista di quella carica improvvisa — la criniera al vento, gli zoccoli sollevati — mi ha paralizzato. Quella era stata l’ultima cosa che avevo visto prima di cadere sotto di lui e sotto gli altri cavalli tanti anni prima: quel ricordo ha impietrito le mie membra. Se non fosse stato per Dwight che mi ha trascinato al riparo, la storia avrebbe potuto ripetersi. Non credo che Dumuzzi avesse cattive intenzioni — a differenza della prima volta — credo che volesse soltanto uscire dalle stalle. Ma senza dubbio mi avrebbe travolto, spezzandomi le ossa, se fossi rimasto sulla sua strada.
Non sono riuscito a vederlo lasciare l’edificio, ero troppo occupato a mettermi in salvo. Quando sono riuscito a rialzarmi, il cavallo era già scomparso. Ho sentito il rumore dei suoi zoccoli che si allontanava; poi solo il silenzio, infranto dai nostri respiri affannosi.
“Penso che dovremmo tornare a casa”, ha detto Marietta. “Ho avuto abbastanza emozioni per stanotte.”
Come sono cambiate le cose! Non ho forse scritto una volta che l’idea di trovarmi nei suoi paraggi, se Nicodemus fosse tornato in vita, era così terrificante che avrei preferito morire? Ora che ho avuto una prova indiscutibile della sua presenza, provo un’euforia perversa. Questa famiglia è stata lacerata per troppo tempo; è arrivato il momento di riunirci. Ci sono ferite da guarire, conflitti da sanare, domande a cui trovare una risposta.
Voglio sapere, per esempio, che cosa aveva detto Chiyojo a mio padre poco prima di morire. Prima di perdere conoscenza avevo visto Nicodemus — a sua volta ferito orribilmente — chino su mia moglie mentre ascoltava le sue ultime parole. Che cosa gli aveva detto? Che lo amava? Che lo avrebbe aspettato? Me lo sono chiesto talmente tante volte nel corso degli anni. E forse adesso potrò avere una risposta dal solo uomo che conosce la verità.
E non è tutto. Voglio che Nicodemus mi dica che cosa aveva in mente quando mi aveva creato. Ero stato un incidente? Un sottoprodotto casuale del suo desiderio? O aveva generato consapevolmente un mezzosangue, perché aveva in mente un qualche compito che solo una creatura così infelice avrebbe potuto svolgere?
Se potessi ottenere una risposta a queste domande, non sarei forse l’uomo più felice del mondo? È questo che rende la prospettiva del ritorno di Nicodemus più affascinante che spaventosa. L’opportunità di affrontare l’uomo che ha creato la mia anima e porgli la più antica delle domande: Padre, padre, perché sono nato?