Выбрать главу

“Sì, Mitchell…” disse Loretta.

“Gli ho già trovato una camicia”, disse la cameriera, “e stavo andando a cercare un paio di pantaloni. Poi, se non le dispiace, vorrei andare a fare una passeggiata.”

“Certo, vai pure.”

Quando Jocelyn se ne fu andata, Loretta aprì l’agenda, trovò il numero che stava cercando e lo compose.

Niolopua rispose quasi subito.

Undici

Rachel si svegliò all’alba. Gli uccelli cinguettavano allegri attorno alla casa. Quando si alzò, notò che faceva molto freddo così si avvolse in una coperta sbiadita e, con gli occhi ancora assonnati, scese in cucina a prepararsi un tè. Poi uscì in veranda a osservare il giorno che a poco a poco si svelava. Probabilmente sarebbe stata una bella giornata. Le nubi temporalesche si erano spostate a nord-est e il cielo era limpido. Poi si accorse che sull’orizzonte incombeva una tempesta, nuvole che sembravano ancora più scure di quelle che avevano portato la pioggia il giorno prima. Rachel tornò in casa, si versò una tazza di tè e tornò in veranda, dove rimase seduta per una ventina di minuti, mentre il paesaggio davanti a lei prendeva vita. Molti uccelli si posarono sul prato davanti alla casa in cerca di vermi; un cane dal pelo ispido arrivò dalla spiaggia e solo quando si avvicinò ai gradini della veranda Rachel si rese conto che era cieco o quasi. Lo chiamò in tono affettuoso e lui la raggiunse e rimase a farsi accarezzare per un po’.

Quando Rachel ebbe finito il tè, tornò in casa, fece una doccia e si vestì. Decise di recarsi a Hanalei per comprare qualcosa da mangiare e delle sigarette.

Fu un tragitto affascinante, che la portò ad attraversare uno stretto ponte sospeso su una valle di una perfezione paradisiaca: un fiume che serpeggiava tra la vegetazione verde e lussureggiante, ricca di fiori e palme.

Hanalei era un posto tranquillo. Rachel fece la spesa con calma e quando ritornò ad Anahola, carica di sacchetti, scoprì di avere visite. Niolopua sedeva sui gradini, bevendo una birra e fumando una sigaretta. Si alzò e l’aiutò a portare dentro la spesa.

“Come sapevi che ero qui?” domandò lei.

“Ho visto le luci accese ieri sera.”

“Perché non sei venuto a salutarmi?”

“Perché volevo tornare a dirlo alla signora Geary.”

“Non capisco.”

“Tua suocera.”

“Loretta?”

“Sì, Loretta. Mi ha chiamato per sapere se eri qui.”

“Quando?”

“Ieri sera.”

“Così sei venuto a cercarmi.”

“Sì. E ho visto le luci accese. Così l’ho richiamata e le ho detto che eri arrivata qui sana e salva.” Era chiaro dall’espressione del suo viso che anche Niolopua si rendeva conto che c’era qualcosa di strano in tutto questo.

“E lei che cosa ti ha detto?” domandò Rachel.

“Non molto. Mi ha detto di non disturbarti, di non dirti nemmeno che ti avevo vista.”

“E allora perché me lo stai riferendo?”

Niolopua sembrava profondamente a disagio. “Non lo so. Forse volevo sapere che cos’aveva da dire l’altra signora Geary.”

“Non sono più la signora Geary, Niolopua. Sono solo Rachel.”

“D’accordo.”

“Grazie per essere stato così sincero.”

“Loretta non sapeva che saresti venuta, vero?”

“No, non lo sapeva.”

“Cazzo. Mi dispiace. Avrei dovuto prima parlare con te. Non ci ho pensato.”

“Non potevi saperlo”, disse Rachel. “Hai fatto quella che ti sembrava la cosa migliore.” Lui sembrava avvilito nonostante quelle parole rassicuranti. “Vuoi fermarti qui a mangiare qualcosa?”

“Mi piacerebbe, ma devo andare a finire qualche lavoro a casa mia prima che arrivi la tempesta.” Lanciò un’occhiata alla spiaggia oltre la finestra. “Tra poche ore, quella arriverà qui.” Indicò la massa di nubi nere all’orizzonte. “È comparsa dal nulla.” Continuò a fissare le nuvole. “E viene proprio da questa parte.”

“Be’, mi fa piacere sapere che sei dalla mia parte, Niolopua. In questo momento non ho molti amici.”

Lui si voltò a guardarla. “Mi spiace di aver combinato questo casino. Se avessi saputo che volevi essere lasciata in pace…”

“Non sono venuta qui per prendere il sole”, lo interruppe Rachel. “Sono qui perché…” fu lei ora a guardare in direzione del mare “… perché credo che Galilee potrebbe tornare.”

“Chi te lo ha detto?”

“È una lunga storia, e non sono sicura di sapere come raccontarla, adesso. Ho bisogno di rimettere in ordine le idee, prima.”

“E Loretta sa perché sei venuta qui?”

“Non le sarà stato difficile immaginarlo.”

“Se vuoi, puoi venire a stare da me per qualche giorno. Così se Loretta manda qualcuno a cercarti…”

“Non voglio lasciare questa casa”, disse Rachel. “È qui che Galilee si aspetta di trovarmi. Ed è qui che ho intenzione di aspettarlo.”

Dodici

1

Secondo la letteratura che si occupa dell’argomento — molto scarsa in verità — quella di evocare tempeste è un’arte incerta. Le tempeste vivono di vita propria; si gonfiano all’improvviso, nutrendosi del loro stesso potere, come dittatori. Cambiano direzione, divorano, si trasformano. Benché siano soggette a regole comportamentali basate sulla scienza, ci sono così tante variabili in gioco che qualsiasi calcolo è a dir poco approssimativo. La tempesta è una legge a sé stante; niente e nessuno, nemmeno un potere come quello di Cesaria, può controllarla o prevederla una volta che è in movimento.

Tutto questo serve a spiegare perché la turbolenza creata da Cesaria si trasformò in un vero e proprio uragano.

Un’ora dopo la sua scomparsa dal ponte della Samarcanda, la barca era in guai seri. Lo scafo, che aveva affrontato coraggiosamente i peggiori mari del mondo — quello di Capo di Buona Speranza, quello ghiacciato dell’Artico — alla fine cedette e la Samarcanda cominciò a imbarcare acqua. Dato che aveva reso inutilizzabili le pompe quando aveva deciso di suicidarsi, Galilee fece del suo meglio per ributtare l’acqua in mare, ma ben presto si rese conto che era un’impresa impossibile. Ormai la Samarcanda era condannata, ma la domanda era: sarebbe stata fatta a pezzi dalla furia del mare o sarebbe affondata per le troppe falle nello scafo?

Eppure, anche mentre la tempesta la smembrava, asse dopo asse, chiodo dopo chiodo, l’imbarcazione continuava a portarlo verso le isole. Talvolta, quando veniva sollevata da un’onda particolarmente alta e ripida, Galilee riusciva quasi a intravedere la terra. Ma in quel tumulto era impossibile esserne sicuri.

Poi, di colpo, il vento si placò e il diluvio si ridusse a una leggera pioggerellina. Ci fu un breve momento di tregua — forse dieci minuti — in cui la Samarcanda smise di rollare con tanta violenza e Galilee poté valutare l’entità dei danni. C’erano tre grandi spaccature sul lato di tribordo e altre due su quello di babordo; ciò che restava dell’albero maestro e delle vele lacere era stato spazzato via dal ponte ma era ancora attaccato alla barca da un cordone ombelicale di funi e cavi che la faceva sbandare.

Naturalmente la tempesta non si era esaurita. Galilee aveva già vissuto momenti di calma improvvisa come quello: un piccolo squarcio di tranquillità come se la tempesta stesse radunando le forze per l’ultimo, devastante assalto.

Fu proprio così che andò. Ben presto il vento prese a soffiare furiosamente e l’oceano tornò a ingrossarsi, spingendo l’imbarcazione su picchi sempre più alti di acqua rabbiosa per poi scaraventarla in abissi sempre più profondi. La Samarcanda non avrebbe resistito a lungo a quel trattamento. Cominciò a rabbrividire come attraversata da tremori di morte e poi, d’un tratto, si frantumò.