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Ho notato qualcosa di luminoso tra gli alberi, più luminoso col passare di ogni istante. Come un fuoco affamato, si è arrampicato tra la vegetazione mentre si avvicinava. Nel fitto della foresta è dilagato il caos, mentre ogni specie — prede e cacciatori insieme — fuggiva al cospetto del bagliore. Ma sopra di me non c’era alcuna via di scampo. Il fuoco si è propagato troppo velocemente, consumando gli uccelli in volo e nei nidi, le scimmie e gli scoiattoli sui rami. Attorno a me sono caduti innumerevoli cadaveri anneriti e fumanti. E insieme a quei corpi hanno preso a scendere ceneri bianche e incandescenti.

Non temevo per la mia vita. Ormai conoscevo abbastanza bene quel luogo da poter confidare in una certa immunità. Ma quella scena mi ha colpito ugualmente. A cosa stavo assistendo? A una sorta di cataclisma primitivo che aveva piagato questo mondo? Che lo aveva disgregato dal cielo alla terra? E se sì, qual era la fonte del disastro? Non era un evento naturale, ne ero certo. Il bagliore sopra di me era ormai diventato una specie di tetto che nel momento della distruzione creava una volta lavorata in cui le vittime venivano immortalate nel fuoco. I miei occhi si sono riempiti di lacrime a quella vista. Ho sollevato una mano per asciugarmeli così da non perdere nemmeno una delle nuove glorie e nemmeno uno dei nuovi orrori che mi attendevano, e in quell’istante nel mio cuore ho sentito il primo suono prodotto da un essere umano da quando ero entrato nella stanza.

Non è stata una parola; o, se lo è stata, non si è trattato di una parola che conoscessi. Ma aveva un significato, ne ero convinto. Al mio orecchio è risuonata come il grido di un’anima appena nata nel bel mezzo del bagliore; un grido di celebrazione e di sfida. Eccomi! sembrava dire. Ora incominciamo!

Mi sono sollevato sulle mani, cercando di vedere chi stava gridando (uomo o donna che fosse), ma la pioggia di cenere e detriti era come un velo davanti a me e non sono riuscito a vedere quasi niente.

Le braccia non sono riuscite e sostenermi per più di pochi istanti. Ma mentre mi lasciavo ricadere sul terreno in preda alla frustrazione, il fuoco sopra di me — che forse aveva esaurito il suo nutrimento — si è spento. La cenere ha smesso di cadere. E là, a una ventina di metri da me, circondata dal bagliore come da un immenso fiore di fuoco, c’era Cesaria. Niente nel suo aspetto o nella sua espressione faceva pensare che il fuoco rappresentasse una minaccia per lei. Tutt’altro. Piuttosto sembrava godere di quel contatto; le sue mani si muovevano lungo il suo corpo mentre l’esplosione lo inondava, come se si stesse assicurando che quel balsamo penetrasse in ogni suo poro. I suoi capelli, ancora più neri della sua pelle, si torcevano e crepitavano; dai suoi seni sgorgava latte, i suoi occhi piangevano lacrime argentee e il suo sesso, che lei di tanto in tanto si toccava, generava fiumi di sangue.

Avrei voluto distogliere lo sguardo ma non ci sono riuscito. Era troppo squisita, troppo matura. Ho avuto l’impressione che tutto ciò che avevo visto in quell’ultimo lasso di tempo — il terreno di lava, l’albero e i suoi frutti, la mandria pallida, l’antilope e la tigre; persino la strana creatura alata che era apparsa per un attimo nel mio campo visivo — che tutte queste apparizioni fossero nella e della donna che si trovava davanti a me. Lei era la loro creatrice e la loro carnefice, il mare in cui nuotavano e la roccia da cui erano scaturite.

In quell’istante ho deciso che avevo visto abbastanza. Avevo bevuto tutto ciò che avevo potuto mantenendo la mia sanità mentale. Era tempo che voltassi le spalle a quelle visioni per rifugiarmi nella sicurezza della banalità. Avrei avuto bisogno di tempo per assimilare ciò a cui avevo assistito, e i pensieri che quello spettacolo aveva generato.

Ma andarsene era tutt’altro che facile. Staccare gli occhi dalla vista della moglie di mio padre è stata la cosa più difficile; ma quando finalmente l’ho fatto e mi sono voltato in direzione della porta, non sono riuscito a trovarla. L’illusione mi circondava da ogni parte; non restava più alcuna traccia della realtà. Per la prima volta dall’inizio delle visioni, ho ripensato ai discorsi di Luman sulla follia e sono caduto preda del panico. Era possibile che, senza accorgermene, avessi allentato la presa sulla sanità mentale? Ero alla deriva in quell’illusione in cui non c’era più terreno solido per i miei stessi sensi?

Con un brivido mi sono ricordato della culla in cui Luman era stato tenuto legato; e dell’espressione di rabbia insanabile nei suoi occhi. Era questo ciò che mi aspettava adesso? Una vita senza certezze, senza solidità; quella foresta come una prigione che avevo creato con il mio respiro, e l’altro mondo, in cui ero stato reale e felice, per quanto le mie ferite me lo avevano permesso, ridotto a un semplice sogno di libertà a cui non avrei potuto fare ritorno?

Ho chiuso gli occhi per tagliare fuori l’illusione. Ho pregato come un bambino in preda al terrore.

Oh Dio del cielo, veglia sul tuo servo in questo istante; ti prego… aiutami.

Ti prego. Allontana queste cose dalla mia testa. Non le voglio, Signore. Non le voglio.

Mentre mormoravo la mia preghiera, mi sono sentito investire da un’ondata di energia. Il bagliore tra gli alberi che si era fermato poco lontano da me, si stava muovendo di nuovo. Ho continuato a pregare, certo che se il fuoco stava venendo a prendermi, lo stesso valeva per Cesaria.

Salvami, Signore.

Anche lei stava venendo per mettermi a tacere. D’improvviso, ne sono stato sicuro. Lei faceva parte della mia follia e stava venendo a cancellare le parole che avevo mormorato per difendermi.

Signore, ti prego, ascoltami.

L’energia si è intensificata come se intendesse strapparmi le parole dalle labbra.

In fretta, Signore, in fretta! Mostrami come uscire di qui! Ti prego! Dio del cielo, ti prego!

“Shhh…” mi ha sussurrato Cesaria. Era proprio dietro di me. Ho avuto l’impressione che i capelli sulla nuca mi si rizzassero e bruciassero. Ho aperto gli occhi e mi sono guardato oltre la spalla. Eccola, ancora in un bozzolo di fuoco, la carne scura luccicante. Di colpo, mi sono sentito la bocca arida; non sono quasi riuscito a parlare.

“Voglio…”

“Lo so”, ha detto lei dolcemente. “Lo so. Lo so. Povero piccolo. Povero piccolo perduto. Rivuoi la tua mente.”

“Sì…” ho singhiozzato io, sull’orlo delle lacrime.

“Ma è lì”, ha continuato lei. “Tutto attorno a te. Gli alberi. Il fuoco. Me. È tutto tuo.

“No”, ho protestato. “Non sono mai stato in questo posto prima.”

“Ma questo posto è stato in te. È qui che tuo padre è venuto a cercarmi, un’eternità fa. Lo ha sognato in te quando tu sei nato.”

“Lo ha sognato in me…” ho ripetuto.

“Ogni visione, ogni sensazione. Tutto ciò che era e tutto ciò che sapeva e tutto ciò che sapeva sarebbe successo… è nel tuo sangue e nelle tue viscere.”

“E allora perché ne ho così paura?”

“Perché sei rimasto attaccato a un te stesso più semplice per tanto tempo, perché pensi di essere la somma di ciò che puoi tenere tra le mani. Ma ci sono altre mani che ti tengono, bambino mio. Piene di te. Traboccanti di te…”

Avevo il coraggio di credere a tutto questo?

Cesaria ha risposto come se avesse sentito i miei dubbi pronunciati ad alta voce.

“Non ti posso rassicurare. O decidi di credere che queste visioni sono una saggezza più grande di tutto quello che hai mai conosciuto, o decidi di liberartene, allora cadrai di nuovo.”