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Niolopua stava già scendendo sulla sabbia e indicava il mare. Rachel seguì il suo sguardo. A poche centinaia di metri dalla spiaggia, una balena stava emergendo in superficie, stagliandosi contro il cielo come una gigantesca colonna nera, sollevando ventagli di acqua spumosa. Poi la creatura ricadde tra le onde, e dopo qualche secondo Rachel vide il suo dorso scuro e luccicante, la sua pinna dorsale, poi più niente. Tornò a guardare la spiaggia, d’improvviso oppressa dall’angoscia. Lui non c’era, era evidente. Se il relitto che Niolopua aveva visto era davvero quello della Samarcanda, allora Galilee era là fuori nelle acque profonde della baia dove solo le balene avrebbero potuto trovarlo.

Rachel si accovacciò sulla roccia per un istante e si disse che doveva smetterla di autocommiserarsi e fare ciò che era venuta a fare. Evitare la verità, per quanto dolorosa potesse essere, non sarebbe servito a niente. Se c’era un relitto, allora doveva vederlo con i suoi occhi. Allora avrebbe saputo, giusto? Una volta per tutte avrebbe saputo.

Trasse un profondo respiro e si alzò. Quindi scese dalle rocce e si incamminò sulla spiaggia.

Quindici

Mitchell sapeva dove si trovava la casa di Kaua’i; nel corso degli anni, lui e Garrison ne avevano discusso molte volte. Ma parlare di un luogo e raggiungerlo erano due cose ben diverse. Non si sarebbe mai aspettato di sentirsi a tal punto un intruso. Non appena scese dal taxi, il cuore prese a battergli più in fretta e i palmi delle mani gli si ricoprirono di sudore. Attese fuori dal cancello per qualche istante finché non riacquistò il controllo delle sue sensazioni, e solo allora si avvicinò, alzò il paletto e spalancò il cancello.

Non c’era niente lì che potesse fargli del male, ripeté a se stesso. Solo una donna che doveva salvare dalla sua stessa stupidità. La chiamò mentre percorreva il sentiero che conduceva alla porta d’ingresso. Un paio di colombe spaventate si levarono in volo dal tetto, ma a parte questo non vi erano altri segni di vita. Raggiunta la porta, chiamò ancora Rachel ma non ottenne risposta. O non lo aveva sentito o stava cercando di sfuggirgli. Aprì la porta ed entrò in casa. L’aria sapeva di lenzuola vecchie e cibo stantio; non era affatto un posto allegro come si era aspettato, ma cupo, dai colori sbiaditi. Da sessanta o settant’anni a quella parte, diverse generazioni di donne Geary avevano occupato quella casa, ma quel luogo sembrava fosco e privo di attrattive.

Quella scoperta tuttavia non fece rallentare i battiti del suo cuore. Quella era la casa delle donne; il luogo segreto in cui gli era stato detto che nessun maschio Geary si era mai avventurato. Naturalmente aveva chiesto perché e suo padre gli aveva risposto: una delle qualità che distinguevano i Geary dalle altre famiglie era il loro rispetto per la storia. Il passato non era sempre facile da capire, ma doveva essere rispettato. Inutile dire che quella risposta non aveva soddisfatto il giovane Mitchell. Non gli era bastato un vago discorso sul rispetto; avrebbe voluto una ragione concreta che giustificasse quella che a lui sembrava un’assurdità. Una casa dove solo alle donne era permesso entrare? Perché? Perché le donne meritavano di avere una casa come quella (e su un’isola come quella perdipiù)? Le donne non facevano soldi, non gestivano il potere. Tutto ciò che facevano, a giudicare dai rituali quotidiani di sua madre e delle sue amiche, era spendere il denaro guadagnato dagli uomini. Semplicemente, non aveva capito.

E non capiva ancora. Certo, c’erano stati momenti in cui aveva visto al lavoro la forza delle donne Geary e poteva essere uno spettacolo impressionante. Tuttavia, restavano parassiti; le loro ricche e comode vite sarebbero state impossibili senza le fatiche dei loro mariti. La parte di lui che aveva sperato che entrando ed esplorando la casa di Kaua’i avrebbe scoperto un indizio per risolvere quel mistero rimase delusa. Mentre si spostava da una stanza all’altra, la sua ansia cominciò a diminuire e alla fine scomparve. Non c’erano misteri lì. Era solo una casa: piuttosto trascurata e piuttosto vecchia; pronta per essere sventrata e riarredata; o anche solo demolita.

Salì al piano di sopra. Le camere da letto erano modeste come le altre stanze. Solo una volta sentì il disagio tornare a invaderlo e fu quando entrò nella camera più grande e vide il letto dalle lenzuola in disordine. Sua moglie aveva dormito lì la notte precedente, non c’erano dubbi. Quel fatto non lo avrebbe colpito in modo particolare, se non fosse stato per il letto. C’era qualcosa che lo inquietava nella crudezza dei suoi intarsi e nel modo in cui lo scorrere del tempo ne aveva attenuato i colori. Sembrava una bara bizzarra ed elaborata. Non riusciva a immaginare come qualcuno potesse voler dormire in un letto del genere, soprattutto una puttana nevrotica come Rachel. Si trattenne nella stanza il tempo necessario per esaminare il contenuto della valigia e della borsa da viaggio della moglie. Non trovò niente di interessante. Uscendo, si richiuse la porta alle spalle. Solo allora, quando ebbe nascosto alla vista la camera da letto, osò pensare all’altra funzione di quella stanza. Naturalmente era la suite nuziale; il luogo in cui Galilee era venuto a fare visita alle sue donne. Mitchell rimase nel corridoio buio, letteralmente nauseato da quel pensiero e tuttavia incapace di impedirsi di immaginare la scena. Una donna, una donna Geary — Rachel, Deborah, Loretta, Kitty; tutte loro racchiuse in un’unica forma — che giaceva nuda su quel letto morboso, mentre l’amante — le sue mani tanto scure quanto era pallido il corpo che stava toccando — accarezzava ciò che non gli apparteneva ma che era suo solo in quella casa cupa e senza Dio, dove le regole del possesso si trasformavano in modi che Mitchell sperava di non comprendere mai. Ora gli importava soltanto di riprendersi sua moglie e di scuoterla. Era così che immaginava se stesso e lei di nuovo insieme: lui che le afferrava le spalle e la scuoteva con tutte le sue forze. Forse spaventandola sarebbe riuscito a farle riacquistare la ragione: e lei gli avrebbe chiesto perdono, lo avrebbe implorato di perdonarla, di riportarla a casa. E forse lui lo avrebbe fatto. Non era fuori discussione, se lei fosse stata sincera e lo avesse fatto sentire amato. Era quello il cuore del problema: Rachel non gli era mai stata abbastanza grata. Dopotutto era stato lui a cambiarle la vita, a sottrarla a un’esistenza banale e a farle assaporare il lusso. Lei gli doveva tutto; tutto. E che cosa gli aveva dato in cambio? Ingratitudine, slealtà, infedeltà.

Ma lui sapeva essere magnanimo. Suo padre aveva sempre detto che se un uomo era benedetto dalle circostanze, come lo era stato Mitchell, era suo preciso dovere essere generoso; evitare l’invidia e le ripicche, che erano i demoni di coloro a cui era stata negata una prospettiva più ampia; camminare al fianco degli angeli.

Ma non era facile. Quegli ideali erano sempre più lontani col passare di ogni giorno. Ma in quella situazione avrebbe avuto l’opportunità di applicare i principi che gli erano stati insegnati, di resistere al richiamo dell’invidia e della vendetta e di dimostrarsi migliore del suo sé più meschino.

Rachel non avrebbe dovuto fare altro che permettergli di scuoterla e scuoterla e supplicarlo di tornare con lei.

Sedici

“Questa è una parte dello scafo della Samarcanda”, disse Niolopua, indicando un lungo frammento di legno sulla sabbia. “Ce n’è un altro pezzo laggiù. E ce ne sono altri in mare.”

Rachel si avvicinò alla riva. C’erano effettivamente grandi pezzi di legno che galleggiavano tra le onde. Più al largo, ce n’erano altri, compresa quella che avrebbe potuto essere una parte dell’albero maestro.