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Ripensando a quel suono, salì i gradini del portico, scavalcò il cadavere, aprì la porta ed entrò in casa.

Venti

Il momento di lucidità di Galilee non era durato a lungo. Era riemerso dal suo stato comatoso per dire non siamo soli e poi era ripiombato nello stordimento, chiudendo gli occhi. Ma quelle parole avevano allarmato Rachel. Chi c’era lì? E perché Galilee non le era parso per niente turbato da quel pensiero? Con riluttanza, si staccò da lui e scese dal letto. Nell’istante in cui smise di toccarlo, sentì freddo; l’aria nella camera sembrava quasi ghiacciata. Si inginocchiò e cominciò a frugare nella borsa da viaggio in cerca di qualcosa di caldo da indossare. Scossa da violenti brividi, prese un maglione e se lo infilò. In quel momento, la porta cigolò e Rachel alzò gli occhi sull’ombra di un’ombra, niente di più, che attraversava la stanza. Non fu nemmeno certa di averla vista davvero, e quando scrutò il punto in cui le era parso di scorgerla non notò niente. Si alzò in piedi, preoccupata. Guardò il letto. Galilee giaceva immobile, il membro ancora eretto, le palpebre abbassate.

Tenendo d’occhio il punto in cui aveva visto l’ombra, Rachel si avvicinò al comodino e accese la lampada. La stanza era vuota. Qualunque cosa avesse visto, adesso era scomparsa o forse era stata solo un prodotto dei suoi sensi esausti e sovrastimolati. Rachel andò alla porta e l’aprì. Il corridoio era buio ma dalla camera da letto filtrava abbastanza luce da permetterle di raggiungere la cima delle scale. Nonostante il maglione, aveva ancora freddo. Forse era soltanto colpa della stanchezza, pensò; sarebbe andata da Niolopua, gli avrebbe detto che avrebbe dormito qualche ora e poi sarebbe tornata da Galilee. Quanto a ciò che le lui aveva detto, avrebbe cercato di non pensarci.

In quel momento qualcosa le sfiorò la spalla, come se una presenza invisibile le fosse passata accanto. Rachel si voltò a guardare verso la porta della camera da letto. Niente. Il suo corpo era semplicemente così sfinito che cominciava a giocarle strani scherzi. Scese le scale. Al piano di sotto le luci erano spente ma il chiarore della luna le permise di trovare l’interruttore accanto alla porta della cucina. In quel momento, scorse una figura dall’altra parte della stanza, vicino alla porta d’ingresso. Questa volta non c’erano dubbi. Non si trattava di un’illusione vista con la coda dell’occhio; era una realtà solida. Rimase a guardarlo mentre si richiudeva la porta alle spalle. Poi l’uomo si voltò, e lei lo riconobbe. Il cuore prese a batterle furiosamente contro la cassa toracica.

“Che cosa ci fai qui?” gli chiese.

“Tu che cosa ne pensi?” disse lui. “Sto chiudendo la porta.”

“Non ti voglio qui.”

“Non si è mai abbastanza al sicuro, piccola. C’è gente terribile là fuori.”

“Mitchell. Voglio che tu te ne vada.”

Lui si fece scivolare la chiave della porta d’ingresso nel taschino della giacca, poi fece qualche passo verso di lei. Sotto la giacca indossava una camicia bianca sporca di sangue.

“Che cos’hai fatto?” gli domandò Rachel.

Lui abbassò lo sguardo sulla camicia. “Oh, parli di questa?” disse in tono leggero. “Non è terribile come sembra.” Gettò un’occhiata in direzione delle scale. “Lui è di sopra?” Lei non rispose. “Piccola, ti ho fatto una domanda. Il negro è di sopra?” Adesso si era fermato ed era a pochi passi dalle scale. “Ha tentato di farti del male, tesoro?”

“Mitchell…”

“Allora?”

“No. Non mi ha fatto del male. Non lo farebbe mai.”

“Non cercare di proteggerlo. So come la pensano quelli come lui. Mette le mani su una persona come te, una persona che non sa come funzionano le cose, e ti manipola. Ti entra nella testa, ti racconta ogni genere di menzogne. Non è vero niente, piccola. Non è vero niente.”

“Bene”, disse Rachel con estrema calma. “Non è vero niente.”

“Vedi? Lo sapevi. Lo sapevi.” Mitchell cercò di fare uno dei suoi famosi sorrisi, uno di quei sorrisi smaglianti e colmi di fascino che aveva sempre riservato ai giornalisti e ai membri del Congresso. Ma ora sembrava soltanto grottesco; il ghigno di una maschera mortuaria. “L’ho detto a Loretta. Le ho detto: posso ancora salvarla, perché in fondo al cuore lei sa che sta facendo qualcosa di sbagliato. E tu lo sai. Vero?” Rachel non rispose, così lui insistette: “Vero?

Rachel avvertì la rabbia di Mitchell pronta a esplodere e decise che sarebbe stato meglio dargli ragione. La voce di lui si fece più morbida: “Devi tornare a casa con me, piccola. Questo è un posto terribile”.

Mentre parlava, il suo sguardo era tornato a scrutare le scale e sul volto gli si era dipinta un’espressione di incredulità.

“Tutte le cose che sono successe qui…” continuò “… le cose che lui ha fatto… a delle donne innocenti…”

Lentamente, si fece scivolare la mano sotto la giacca ed estrasse un coltello dalla lama sporca di terra.

“Tutto questo deve finire…” disse.

Guardò di nuovo Rachel. Nei suoi occhi, lei scorse la stessa follia che aveva visto il giorno in cui si era presentato a casa sua per prendere il diario. Ma ormai era chiaro, aveva perso irrimediabilmente il controllo di sé.

“Non aver paura, piccola”, continuò Mitchell. “So quello che faccio.”

Rachel lanciò un’occhiata furtiva verso le scale temendo che Galilee fosse sceso dal letto e si fosse trascinato in corridoio. Ma non c’era nessuno. Solo la debole luce che proveniva dalla camera da letto. Quel chiarore tremolava adesso come se qualcosa si stesse muovendo in cima alle scale. Era una presenza impalpabile, ma abbastanza forte da interferire con la luce. Rachel non era del tutto sicura che anche Mitchell potesse vederla. Comunque non aveva intenzione di chiederglielo. L’ultima cosa che voleva era compromettere quel poco che restava del suo equilibrio mentale. Se fosse salito al piano di sopra adesso, avrebbe trovato una vittima completamente indifesa. E a giudicare dallo stato del coltello e dalla macchia di sangue che aveva sulla camicia, Mitchell aveva già aggredito qualcuno.

Solo in quel momento Rachel si ricordò di Niolopua. Oh Signore, aveva ferito Niolopua. Di colpo ne fu certa. Era quella la ragione dello sguardo folle di Mitchell; aveva già assaggiato il piacere del sangue. Fortunatamente, lui non si accorse che lei aveva capito. Teneva ancora lo sguardo fisso sulle scale.

“Voglio che tu resti qui”, le disse.

“Perché non ce ne andiamo e basta?” suggerì lei. “Io e te.”

“Tra un minuto.”

“Se questo è un posto così terribile…”

“Te l’ho già detto: tra un minuto. Prima devo andare di sopra.”

“Non farlo, Mitch.”

Lui spostò gli occhi su Rachel. “Non fare cosa?” chiese. Lei trattenne il fiato, notando che la mano di lui si stava serrando con più forza attorno all’impugnatura del coltello. “Non fargli del male? E questo che volevi dire?” Fece un passo verso di lei. “Vuoi che non faccia del male al tuo amante, è questo?”

“Mitch, io c’ero quando sua madre è venuta al palazzo. Ho visto di cosa è capace.”

“Non ho paura di nessun fottuto Barbarossa.” Inclinò la testa di lato. “Capisci, il problema è…”

Calò un fendente nell’aria in direzione di Rachel, come per sottolineare quello che stava dicendo.

“… che nessuno ha mai voluto affrontare questa gente. Abbiamo lasciato le nostre donne a quel fottuto negro che adesso è di sopra come se fossero state di sua proprietà. Be’, questo non accadrà con mia moglie. Mi hai capito, piccola? Non gli permetterò di portarti via da me.”

Con la mano libera le accarezzò il viso.

“Povera piccola”, continuò. “Non è colpa tua. Lui ti ha fottuto il cervello, non ti ha dato altra scelta. Ma adesso andrà tutto bene. Me ne occuperò io. È questo che i mariti dovrebbero fare, dovrebbero proteggere le loro mogli. Non sono stato molto bravo in questo. Non sono stato un buon marito. Lo so e mi dispiace. Mi dispiace, tesoro.”