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Si sporse verso Rachel e, come uno scolaretto nervoso, le diede un lieve bacio.

“Andrà tutto bene”, ripeté. “Farò quello che devo fare e poi ce ne andremo di qui. Ricominceremo da capo.” Le sue dita continuavano ad accarezzarle la guancia. “Perché, tesoro, io ti amo. Ti ho sempre amata e ti amerò sempre. Non sopporto l’idea di stare lontano da te.” Adesso la sua voce era debole, quasi patetica. “Non posso, piccola, mi fa impazzire. Devo averti. Capisci?”

Lei annuì. Da qualche parte in fondo alla sua mente, dietro alla paura che provava — per Galilee, per se stessa — c’era un luogo in cui aveva conservato i resti di ciò che una volta aveva provato per suo marito. Forse non era stato vero amore ma era stato comunque un sogno bellissimo. E mentre lo ascoltava adesso, anche se lui era ormai in preda alla follia, ripensò a quel sogno con affetto. Il modo in cui l’aveva fatta sentire importante nei primi mesi in cui si erano frequentati; la sua dolcezza, la sua gentilezza. Ma ormai c’era soltanto l’eco distorta dell’uomo che era stato.

Oh Dio, era un pensiero così triste! E Mitchell sembrò percepire la malinconia di Rachel, perché quando parlò di nuovo non c’erano più né rabbia né sicurezza nella sua voce.

“Non volevo che le cose andassero così”, disse, “te lo giuro.”

“Lo so.”

“Non so… come sono arrivato fino a questo punto…”

“Non deve per forza andare in questo modo”, sussurrò lei con estrema dolcezza. “Non devi fare del male a nessuno per dimostrarmi che mi ami.”

“Sì… io ti amo.”

“Allora metti giù il coltello, Mitch.” La mano di lui, che aveva continuato ad accarezzarle la guancia, si fermò di colpo. “Ti prego, Mitch, mettilo giù.”

Lui ritrasse la mano e la sua espressione, che a poco a poco si era raddolcita, si fece severa.

“Oh no…” mormorò. “So cosa stai facendo…”

“Mitch…”

“Pensi di potermi convincere a non andare di sopra.” Scosse la testa. “No, piccola. È impossibile. Mi dispiace.”

Detto questo, la lasciò e si diresse verso le scale. Per un istante Rachel vide con una chiarezza quasi irreale ciò che stava succedendo: l’uomo col coltello — suo marito, il suo principe di un tempo — che si allontanava da lei, avvolto da un alone di sudore e di odio; il suo amante al piano di sopra che giaceva sul letto perso nel mondo dei sogni; e, nel mezzo, sulle scale buie, sul pianerottolo, quelle presenze spettrali a cui non riusciva a dare un nome.

Mitchell cominciò a salire le scale. Rachel non aveva altra scelta. Lo seguì e, prima che lui potesse fermarla, lo oltrepassò per sbarrargli la strada. L’aria fremeva attorno a loro. Forse Mitchell si era reso conto che c’era qualcosa di fuori dell’ordinario in quella casa, ma la sua determinazione a raggiungere Galilee ormai lo stava accecando. Il suo volto era una maschera modellata sui suoi lineamenti; una maschera pallida e implacabile. Rachel non perse tempo a cercare di dissuaderlo; non le avrebbe dato ascolto. Semplicemente, si fermò davanti a lui. Se voleva fare del male a Galilee, prima avrebbe dovuto affrontare lei. Mitchell la fìsso; i suoi occhi erano le sole cose vive in quel volto morto.

“Levati di mezzo”, le ordinò.

Rachel afferrò entrambi i corrimano. Si rendeva conto di essere orribilmente vulnerabile in quella posizione; il ventre e i seni alla portata del coltello, se lui avesse voluto usarlo. Ma non le restava altra scelta ed era convinta che, nonostante la follia che si era impossessata di lui, Mitchell non le avrebbe fatto del male.

Lui si fermò un gradino sotto di lei e per un istante Rachel sperò di riuscire a riportarlo alla ragione. Ma poi la mano di Mitchell scattò, la afferrò per i capelli e la strattonò con violenza. Lei mollò la presa e cadde in avanti, ma lui continuò a tenerla per i capelli, girandole la testa all’indietro. Gridando per il dolore, Rachel cercò di prendergli il braccio. Il mondo oscillò attorno a lei. Lui la strattonò di nuovo, attirandola a sé e poi spingendola contro il corrimano. Questa volta Rachel riuscì a mantenere l’equilibrio e a non cadere. Ma prima che avesse il tempo di riprendere fiato, lui la schiaffeggiò con forza. Le gambe di Rachel cedettero e lei si accasciò. Lui riuscì ad assestarle un altro colpo, ancora più violento, e poi un terzo che la fece rotolare giù per le scale. Quando atterrò sul pavimento in fondo ai gradini, perse conoscenza per qualche secondo. Nell’oscurità che le ronzava nella testa, cercò di rimettere ordine tra i pensieri, ma inutilmente: non riuscì a fare altro che costringere i suoi occhi ad aprirsi. Mitchell la fissò per qualche lungo istante, per essere certo di averla messa fuori combattimento. Poi si voltò e riprese a salire le scale.

Ventuno

Rachel non poté fare altro che restare a guardare; il suo corpo si rifiutò di muoversi anche solo di un centimetro. Non poté fare altro che restare sdraiata lì a guardare Mitchell che saliva al piano di sopra per uccidere Galilee nel suo letto. Non poté nemmeno chiamarlo; la sua gola e la sua lingua si rifiutavano di funzionare. E se anche fosse riuscita a emettere un suono, Galilee non l’avrebbe sentita. Era perso in un suo mondo privato; si stava curando con il più profondo dei sonni. Non sarebbe riuscita a svegliarlo.

Mitchell era quasi arrivato in cima alle scale; di lì a pochi secondi Rachel lo avrebbe perso di vista. Oh Dio, avrebbe voluto piangere per la rabbia e la frustrazione. Tutti i grandi avvenimenti del recente passato dovevano ridursi a questo? A lei, che giaceva in fondo a una rampa di scale, incapace di muoversi, a lui, al piano di sopra, altrettanto impotente, e a un uomo con un piccolo coltello e una piccola anima, che tagliava il legame tra loro due?

Sentì Mitchell dire qualcosa; cercò di concentrarsi su di lui. Ma era difficile vederlo, adesso che era in cima alle scale; le ombre erano dense e sembravano quasi volerlo nascondere ai suoi occhi. Cercò di muovere un braccio, di alzarsi leggermente sperando di vederlo meglio. E in quel momento lui parlò di nuovo.

“Chi siete?” disse.

C’era preoccupazione nella sua voce; persino una punta di panico. Lo vide affondare il coltello nell’oscurità come per tenerla a bada. Ma era impossibile. Le ombre sembravano avanzare verso di lui, vive e inquiete. Lui calò di nuovo la lama, ancora e ancora. Poi fece un passo indietro. Dalle labbra gli sfuggì un grido terrorizzato.

Gesù! Che cazzo è questo?”

Compiendo un ultimo, terribile sforzo, Rachel fece leva sulle braccia e sollevò dal pavimento la parte superiore del corpo. Le girava la testa e subito venne assalita da un’ondata di nausea, ma un istante dopo se ne dimenticò perché i suoi occhi diedero un senso a ciò che stava succedendo sulle scale. Lassù, insieme a Mitchell, c’erano tre, forse quattro forme umane, e lo stavano spingendo contro la parete. Lui continuava a calare fendenti nel disperato tentativo di tenerle lontane, ma era chiaro che non poteva ferirle in alcun modo. Erano spiriti dalle forme sinuose e aggraziate svelate dal semplice gioco tra luci e ombre. Uno di loro, avvicinandosi a Mitchell, si voltò a lanciare un’occhiata in direzione di Rachel e lei riuscì a vederlo in viso. Era una donna — erano tutte donne — e aveva un’espressione vagamente divertita. I suoi lineamenti erano tutt’altro che definiti; sembrava un ritratto appena abbozzato. Ma Rachel conosceva quel volto. Anche se non l’aveva mai incontrata di persona, conosceva quella donna, che aveva regalato l’essenza dei suoi lineamenti alle generazioni che l’avevano seguita. La fronte spaziosa, la curva degli zigomi, la mascella volitiva, lo sguardo penetrante: tutti quei dettagli si erano impressi nella fisionomia dei Geary. E se quello che immaginava Rachel era vero, allora quelli dovevano essere gli spiriti delle donne che erano state con Galilee nella casa di Kaua’i. Erano tutte donne Geary che avevano trascorso dolci momenti d’amore sotto quel tetto e che dopo la morte erano tornate lì per lasciare parte dei loro spiriti nel luogo in cui erano state più felici.