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“Ha bisogno di radersi, amico mio”, ha commentato Dwight.

“E hai bisogno anche di nuovi vestiti”, ha aggiunto Zabrina. “Sembra che tu ci abbia dormito dentro.”

“Infatti è così”, ho replicato io.

“Può dare un’occhiata nel mio guardaroba, se vuole”, ha detto Dwight. “Potrà prendere tutto quello che vorrà quando me ne sarò andato.”

Solo allora mi sono accorto di due particolari. Primo, la valigia accanto al tavolo al quale sedevano Zabrina e Dwight; secondo, gli occhi umidi e arrossati di mia sorella. Dovevo aver interrotto un addio doloroso; doloroso almeno per lei.

“È colpa tua”, mi ha detto Zabrina. “Se ne sta andando a causa tua.”

Dwight ha fatto una smorfia. “Non è vero”, ha protestato.

“Mi hai detto che se non avessi visto quel dannato cavallo…” ha cominciato Zabrina.

“Ma non è stata colpa del signor Maddox”, ha detto Dwight. “Sono stato io a offrirmi di accompagnarlo alle stalle. E comunque, se non fosse stato il cavallo, sarebbe stato qualcos’altro.”

“Se ho capito bene, te ne stai andando allora”, ho detto io.

Dwight mi ha lanciato un’occhiata dispiaciuta. “Devo andarmene”, ha detto. “Penso che se non me ne andrò ora…”

“Non devi andartene per forza”, lo ha interrotto Zabrina. “Non c’è niente, là fuori.” Ha stretto la mano di Dwight. “Se pensi che il lavoro sia troppo pesante…”

“Non è questo”, ha replicato lui. “Il fatto è che il tempo passa e se non me ne andrò subito, non me ne andrò mai più.” Con delicatezza si è liberato dalla stretta di Zabrina.

“Quel dannato cavallo”, ha ringhiato lei.

“Che cosa c’entra il cavallo con tutto questo?” ho voluto sapere.

“Niente…” ha risposto Dwight. “Ho solo detto a Zsa-Zsa…” (Zsa-Zsa? ho pensato. Dio, erano stati più intimi di quanto avessi immaginato.) “… che quando ho visto il cavallo…”

“Dumuzzi.”

“… che quando ho visto Dumuzzi, mi sono reso conto di aver bisogno delle cose normali che ci sono là fuori, nel mondo. Per troppo tempo le ho viste solo grazie a quello.” Ha indicato il piccolo televisore in bianco e nero. Ogni volta che aveva guardato quelle immagini tremolanti, aveva sentito la mancanza del mondo esterno? Sembrava di sì, ma finché non era apparso Dumuzzi non si era reso conto di quanto fosse profondo il suo desiderio.

“Be’ ”, ha detto Dwight con un piccolo sospiro, “adesso devo andare.” Si è alzato.

“Aspetta almeno fino a domani”, ha detto Zabrina. “Si sta facendo tardi. Puoi partire domani mattina.”

“Ho paura che mi metteresti uno dei tuoi filtri nel cibo”, ha risposto con un piccolo, triste sorriso. “E allora non ricorderei più nemmeno perché avevo fatto le valigie.”

Zabrina gli ha rivolto un debole sorriso di rimprovero. “Sai che non farei mai una cosa del genere”, ha risposto. Poi, tirando su col naso, ha aggiunto: “Se non vuoi restare, vai pure. Nessuno ti costringe”. Ha abbassato lo sguardo e si è fissata le mani. “Ma ti mancherò”, ha mormorato. “Vedrai se non ti mancherò.”

“Mi mancherai così tanto che probabilmente ritornerò tra meno di una settimana”, ha detto Dwight.

Zabrina è stata scossa dai singhiozzi. Le sue lacrime sono cadute sul tavolo, grandi come dollari d’argento.

“No…” l’ha pregata lui, la voce rotta. “Non piangere.”

“Allora non farmi piangere”, ha ribattuto lei in tono petulante. Ha alzato gli occhi su di lui. “So che devi andare. Lo capisco. Davvero. E so che non tornerai tra una settimana. Te ne andrai là fuori e ti dimenticherai persino che esisto.”

“Oh tesoro…” ha sospirato Dwight chinandosi per abbracciarla, e lei si è aggrappata a lui singhiozzando. Dwight le ha accarezzato i capelli con infinita tenerezza e mi ha guardato. Il suo volto era triste ma ho notato anche una punta di impazienza nella sua espressione. Aveva deciso di andare e niente gli avrebbe fatto cambiare idea. Il pianto disperato di Zabrina stava solo rimandando l’inevitabile.

“Coraggio, Zabrina”, le ho detto allegramente, “Dwight non sta morendo. Se ne va soltanto a vedere il mondo.”

“E la stessa cosa”, ha detto lei.

“Non essere sciocca”, ho ribattuto io con dolcezza, avvicinandomi a lei e posandole le mani sulle spalle. Il mio tocco l’ha distratta per un attimo, cosa che ha permesso a Dwight di sciogliersi dall’abbraccio. Zabrina non ha cercato di stringerlo di nuovo a sé. Ormai era rassegnata alla sua partenza.

“Abbi cura di te”, le ha detto Dwight. “Maddox, anche lei mi mancherà molto.” Ha preso la valigia. “Saluti la signorina Marietta da parte mia, per favore. Le dica che le auguro ogni bene.”

Ha fatto un paio di passi indietro verso la porta, ma così incerti che per un momento ho pensato che avesse cambiato idea. E forse sarebbe stato proprio così se Zabrina non lo avesse guardato e non avesse detto, con una rabbia che davvero non mi sarei aspettato da lei in quel momento:

“Sei ancora qui?”

A quel punto Dwight si è voltato e se n’è andato.

Quattro

Ho passato qualche minuto a consolare Zabrina pur sapendo che niente di ciò che potevo dirle l’avrebbe confortata quanto il cibo. Le ho proposto un panino. Lei non si è rasserenata subito, ma vedendo gli sforzi che stavo facendo per prepararle qualcosa di buono, a poco a poco i suoi singhiozzi si sono affievoliti e le sue lacrime si sono asciugate. Alla fine quando le ho portato il mio capolavoro (prosciutto cotto, asparagi, cetriolini, un po’ di senape, un po’ di maionese), il suo umore era visibilmente migliorato.

Mentre cominciava a mangiare il panino, le ho portato una vasta selezione di dolci. Era talmente immersa in quei conforti culinari che dubito che si sia accorta che me ne sono andato.

Mi ero preparato una versione ridotta del panino che avevo offerto a Zabrina, e l’ho mangiato mentre mi lavavo, mi radevo e indossavo qualcosa di più presentabile dei miei vestiti stropicciati dal sonno. Quando ho finito di prepararmi era quasi buio. L’oscurità stava calando, così mi sono versato un bicchiere di gin e sono uscito in veranda per godermi l’ultima luce del giorno. Era una sera stupenda: il cielo limpido, l’aria immobile. Ho sorseggiato il gin e sono rimasto a guardare, ad ascoltare e a pensare: tanta parte di ciò che rende bellissimo PEnfant continuerà a esistere anche molto tempo dopo che questa casa sarà caduta. Gli uccelli canteranno ancora, gli scoiattoli faranno ancora le capriole, la notte scenderà ancora e le stelle continueranno a mostrarsi. Non si perderà niente di importante.

Mentre finivo il gin, ho sentito delle risate riecheggiare attraverso il prato; lontane all’inizio, ma poi sempre più vicine. Non ho visto nessuno ma non mi è stato difficile immaginare di chi si trattasse. Erano risate femminili rauche e sguaiate e provenivano da una decina di gole. Marietta aveva portato le invitate ai festeggiamenti delle nozze — o almeno parte delle invitate — lì all’Enfant.

Sono sceso in giardino. Il seno latteo della luna stava sorgendo, tondo e pieno. La luce che proiettava non era fredda e argentea ma gialla come il burro e raddolciva tutto ciò che illuminava.

Ho sentito la voce di Marietta che si levava al di sopra delle risate.

“Muovete il culo!” stava gridando. “Non voglio che nessuna si perda.”

Ho fissato lo sguardo sul punto buio tra gli alberi da cui sembravano provenire le voci, e qualche istante dopo è comparsa mia sorella mano nella mano con la sua Alice. Quasi subito sono comparse anche altre tre donne.