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Ma Zelim non aveva ancora finito con lui. Si alzò, lasciandosi sfuggire un grido di dolore quando appoggiò a terra la gamba ferita. Poi zoppicò fino al corpo prono di Baru e si mise a cavalcioni del suo grande ventre prominente. Stavolta Baru non tentò nemmeno di muoversi; era troppo stordito. Zelim gli strappò la camicia, scoprendo grandi rotoli di grasso.

“E tu… dai della donna a me?” disse Zelim. Baru gemette qualcosa di incomprensibile. Zelim gli artigliò il petto flaccido. “Hai delle tette più grosse di tutte le donne che conosco.” Lo colpì. “Non è vero?” Di nuovo Baru gemette, ma Zelim non era soddisfatto. “Non sono tette, queste?” gridò, scostando bruscamente le mani con cui Baru si copriva il volto e mettendo in mostra le sue ferite. “Mi hai sentito?”

“Sì…” mugolò Baru.

“Allora dillo.”

“Sono… tette…”

Zelim gli sputò sul volto insanguinato e si alzò. Gli era venuta la nausea, ma non aveva intenzione di vomitare di fronte a quegli uomini. Li disprezzava tutti così tanto.

Voltandosi, incrociò lo sguardo pigro di Hassan.

“Sei stato bravo”, commentò l’uomo in tono di approvazione. “Vuoi qualcosa da bere?”

Zelim allontanò la brocca che gli veniva offerta e spostò lo sguardo sulla spiaggia, oltre il piccolo cerchio di barche. La gamba gli faceva male, come se fosse stata in fiamme, ma era più che determinato ad allontanarsi dagli altri pescatori il prima possibile, per non lasciar trasparire alcun segno di debolezza.

“Non abbiamo ancora finito con le reti”, gli ringhiò Kekmet, mentre lui si allontanava zoppicando.

Zelim lo ignorò. Non gli importava delle barche, né delle reti, né dei pesci che avrebbero pescato quella sera. Non gli importava di Baru, né del vecchio Kekmet, né di quell’ubriacone di Hassan. In quel momento non gli importava nemmeno di se stesso. Non era orgoglioso di quello che aveva fatto a Baru, tuttavia non se ne vergognava. Ormai era accaduto e lui voleva solo dimenticarsene. Scavarsi un buco nella sabbia fino a trovare un posto fresco e umido e dimenticarsi di tutto. A un centinaio di metri dietro di lui, Hassan stava gridando qualcosa, e pur non riuscendo a distinguere esattamente le parole nella voce dell’ubriacone c’era abbastanza paura da convincere Zelim a voltarsi per scoprirne la causa. Hassan si era alzato in piedi e stava guardando in direzione degli alberi più lontani. Zelim seguì la direzione del suo sguardo e vide che un gran numero di uccelli si era levato in volo dai rami e si stava dirigendo in cerchio sopra le cime degli alberi. Era decisamente uno spettacolo insolito, ma Zelim non se ne sarebbe curato più di tanto se un istante più tardi non fosse risuonato l’ululato dei lupi, e insieme ai lupi non fossero emerse due figure dagli alberi. Si trovava esattamente a metà strada tra la coppia e i pescatori, e rimase là, riluttante all’idea di cercare rifugio nella compagnia del vecchio Kekmet e degli altri, ma spaventato per l’avanzare di quei due sconosciuti, che si allontanavano dalla foresta come se nella profondità della vegetazione non vi fosse nulla da temere, e si dirigevano sorridendo verso l’acqua luccicante.

Due

Agli occhi di Zelim non c’era niente di pericoloso in quelle due persone. Anzi, era un piacere guardarle dopo aver osservato i volti da bruti dei suoi compagni pescatori. Camminavano con una grazia che suggeriva forza, che suggeriva membra che non erano mai state spezzate e aggiustate male, che non avevano mai conosciuto i rigori dell’età. Somigliavano all’idea che Zelim aveva di un re e una regina che si allontanavano dal loro palazzo dopo aver fatto il bagno in oli preziosi. La loro pelle (la donna era più scura di qualunque essere umano su cui Zelim avesse mai posato lo sguardo, mentre l’uomo era più pallido) luccicava nel sole, e i loro capelli, lunghi per entrambi, sembravano intrecciati in modo che forme serpentine attraversassero le loro criniere. Tutto questo era già abbastanza straordinario; ma c’era dell’altro. Le vesti che indossavano erano un ulteriore spettacolo stupefacente, perché i loro colori erano più vividi di qualunque cosa Zelim avesse mai visto in vita sua. Non aveva mai visto un tramonto rosso come il rosso di quelle vesti, o un uccello dal piùmaggio altrettanto verde o visto con l’occhio della mente, in un sogno o in un sogno a occhi aperti, un tesoro che scintillasse come i fili d’oro che erano ricamati in quel rosso, in quel verde. Le vesti erano lunghe, e avvolgevano voluttuosamente l’uomo e la donna, eppure Zelim aveva l’impressione di poter vedere le forme dei loro corpi sotto le pieghe; si accorse di desiderare di vederli nudi. Quel desiderio non era causa di vergogna; proprio come era certo che i due non lo avrebbero punito per il suo interesse. Senza dubbio, una bellezza simile, quando veniva mostrata al mondo, si aspettava di essere venerata.

Zelim non si era mosso da quando li aveva visti, ma ora il loro percorso verso la riva li stava portando più a vicino a lui, e man mano che la distanza diminuiva gli occhi del giovane scoprivano altri dettagli meravigliosi. La donna per esempio indossava numerosi gioielli — cavigliere, collane, bracciali — tutti scuri come la sua pelle, eppure dotati di una misteriosa iridescenza che li faceva luccicare in quell’oscurità. Anche l’uomo aveva le sue decorazioni: elaborati disegni dipinti o tatuati sulle gambe, che erano visibili quando la veste si scostava dal corpo.

Ma il dettaglio più sorprendente del loro aspetto non gli fu chiaro finché non furono a pochi metri dall’acqua. La donna, sorridendo al suo compagno, si scostò la veste dal petto e tra le sue braccia comparve un bambino. Il piccolo si mise immediatamente a piangere per essere stato separato dal conforto del seno materno — Zelim non poteva biasimarlo; avrebbe fatto esattamente la stessa cosa — ma smise subito quando sia la madre sia il padre incominciarono a parlargli. C’era mai stato un bambino più benedetto di quello?, si chiese Zelim. Trovarsi avvolto da quelle braccia, alzare lo sguardo su quei volti, essere certi di provenire da radici come quelle: se era possibile una gioia più grande, lui non riusciva a immaginarla.

La famiglia aveva raggiunto l’acqua, ora, e l’uomo e la donna stavano parlando tra loro. Non era una conversazione leggera. I due si fronteggiavano e il modo in cui scuotevano la testa e si accigliavano diceva chiaramente che c’era qualche problema tra loro.

Il bambino, che fino a qualche istante prima era stato al centro delle amorevoli attenzioni dei suoi genitori, ora veniva del tutto ignorato. La discussione si stava facendo più accesa, e per la prima volta da quando aveva posato lo sguardo su quell’uomo e su quella donna, Zelim si chiese se non fosse il caso di allontanarsi. Se uno dei due — o, che Dio lo aiutasse, entrambi — avesse perso la pazienza, Zelim non avrebbe voluto assistere alla potenza che sarebbe stato in grado di scatenare. Ma, per quanto intimorito fosse, non poteva staccare lo sguardo da quella scena. Qualunque fosse il rischio a cui stava andando incontro, non era niente in confronto al dolore che avrebbe patito se si fosse negato quella vista. Aveva il sospetto che il mondo non gli avrebbe mai più mostrato simili glorie. Trovarsi in presenza di quelle persone era un privilegio non descrivibile a parole. Se se ne fosse andato, spinto da qualche stupido timore, allora si sarebbe meritato la stessa morte alla quale aveva cercato di sottrarsi. Solo gli uomini coraggiosi ottenevano doni come quello; se lo aveva ricevuto per caso (come sicuramente era successo), Zelim avrebbe sorpreso il suo destino e sarebbe stato all’altezza della situazione. Avrebbe tenuto gli occhi aperti e non sarebbe indietreggiato; avrebbe avuto una storia da raccontare ai suoi figli e ai figli dei suoi figli.