Ciò che appagava i sensi del ventottenne Cadmus, a quel tempo, era una donna di nome Katherine Faye Browning — Kitty per gli amici -, la figlia di un magnate dell’acciaio di Pittsburgh. Cadmus l’aveva conosciuta nel 1919 e l’aveva corteggiata instancabilmente per due anni, durante i quali aveva cominciato ad applicare la sua straordinaria abilità negli affari alla già considerevole ricchezza di suo padre. Questo non fu un caso. Più Kitty Browning giocava con i suoi sentimenti (rifiutandosi di vederlo per quasi due mesi nell’autunno di quell’anno, semplicemente perché — come scrisse in una lettera — “Voglio scoprire se posso vivere senza di te. Se è così, lo farò, perché significa che non sei l’uomo che possiede il mio cuore.”), più l’ambizione del giovane Cadmus cresceva. La sua reputazione di geniale stratega della finanza — e di avversario demoniaco per coloro che lo sfidavano — nacque proprio in quegli anni. Anche se con gli anni si raddolcì, in una certa misura, quando la gente pensava a Cadmus Northrop Geary, pensava al giovane Cadmus: l’uomo che non perdonava mai.
Mentre costruiva il suo impero, agì come una divinità secolare. Comunità intere che dipendevano dalle sue industrie vennero distrutte per un suo puro capriccio, mentre altre prosperarono, protette dalla sua benevolenza. Ancor prima di arrivare alla mezza età, aveva raggiunto traguardi che la maggior parte degli uomini non riuscirebbe nemmeno a sognare nell’arco di cento vite. Non c’era luogo di potere in cui non fosse conosciuto e idolatrato. Influenzava l’economia e la politica, comprando allo stesso modo Democratici e Repubblicani; faceva apparire insulsi grandi uomini e — quando gli serviva, e talvolta poteva accadere — affidava a idioti cariche importanti.
Non c’è bisogno che vi dica che alla fine Kitty Browning cedette alle sue insistenze e lo sposò. Né che Cadmus la tradì per la prima volta mentre erano in luna di miele.
Un uomo dotato del potere e dell’influenza di Cadmus — per non dire della sua classica bellezza americana — un uomo del genere è sempre circondato da ammiratrici. Non c’era niente di languido o debole in lui; niente che tradisse mai dubbi o fatica: quello era il cuore del suo potere. Se fosse stato un uomo migliore, disse una volta sua sorella, o un uomo di gran lunga peggiore, sarebbe potuto diventare presidente. Ma a Cadmus non interessava la politica. Non quando c’erano così tante donne da sedurre (sempre che seduzione sia il termine esatto per qualcosa che non richiedeva alcuno sforzo da parte sua). Divideva il suo tempo tra i suoi uffici di New York e Chicago, le sue case in Virginia e nel Massachusetts, e i letti di diverse centinaia di donne ogni anno, corrompendo o assumendo i mariti che scoprivano di essere stati traditi.
Quanto a Kitty, aveva la sua vita: quattro figli da crescere e un calendario sociale estremamente pieno. L’ultima cosa che voleva era un marito tra i piedi. Finché Cadmus non la metteva in imbarazzo, Kitty non aveva niente da obiettare sul modo in cui viveva.
Vi fu un’unica storia d’amore — o meglio, un’unica storia d’amore fallita — che mise in pericolo quello strano equilibrio. Nel 1926, su invito di Lionel Bloombury, che era a capo di un piccolo studio indipendente di Hollywood, Cadmus si recò a Los Angeles. Si considerava piuttosto esperto in materia di film, e Lionel gli aveva suggerito di investire nell’industria cinematografica. In seguito avrebbe seguito quel consiglio e avrebbe investito nella Metro Goldwyn Mayer; inoltre avrebbe acquistato diversi appezzamenti di terreno che più tardi sarebbero diventati Beverly Hills e Culver City. Ma l’unico affare che gli interessava veramente a Hollywood gli sfuggì: un’attrice chiamata Louise Brooks. La conobbe alla prima di Beggars of Life, un film prodotto dalla Paramount in cui lei aveva recitato accanto a Wallace Beery. Agli occhi di Cadmus, Louise era apparsa quasi come una presenza soprannaturale; per la prima volta, aveva detto a un amico, aveva creduto all’esistenza del Paradiso; di un giardino perfetto da cui gli uomini sarebbero stati esiliati a causa delle manipolazioni di una donna.
L’oggetto di questi discorsi metafisici, Louise, era senza dubbio una bellezza straordinaria: i sui capelli lisci e scuri dal taglio quasi mascolino incorniciavano un volto pallido dai lineamenti squisiti. Ma era anche una donna ambiziosa, intelligente e astuta, che non aveva alcun interesse nel diventare un objet d’art per Cadmus o per chiunque altro. Partì per la Germania l’anno successivo per recitare in due film, uno dei quali, Die Büchse de Pandora, l’avrebbe resa immortale. Cadmus ormai era talmente rapito da lei che si recò in Europa sperando di poter stare in sua compagnia, e a quanto pare le avance di Geary non le furono del tutto sgradite. Cenarono insieme e fecero delle gite quando i suoi impegni cinematografici lo permettevano. Ma per lei, Cadmus non era che una distrazione. Quando tornò sul set, Louise si lamentò con il regista, Pabst, dicendo che la presenza di Geary le impediva di concentrarsi e che desiderava che fosse allontanato. In seguito, quella stessa settimana, Cadmus — che aveva tentato senza successo di comprare lo studio che stava producendo Die Büchse de Pandora — si presentò sul set nella speranza di poterle parlare, ma lei si rifiutò di vederlo e lui venne allontanato con la forza. Tre giorni dopo, Cadmus salì su una nave e fece ritorno in America.
La sua “follia”, come in seguito avrebbe definito quell’episodio, finì così. Tornò ai suoi affari con un appetito ancora più rapace. Un anno dopo il suo ritorno, nell’ottobre del 1929, ci fu il crac della borsa che segnò l’inizio della Grande Depressione. Cadmus passò indenne attraverso quella crisi. Altri uomini d’affari si indebitarono e, ridotti sul lastrico, alcuni arrivarono al suicidio, ma nell’arco di quei pochi anni, mentre il paese attraversava la peggiore crisi economica dai tempi della guerra civile, Cadmus riuscì a trasformare le sconfitte che lo circondavano addirittura in vittorie personali. Acquistò per somme irrisorie le rovine di altre attività; offrì salvezza a pochi fortunati che stavano annegando, assicurandosi la loro eterna fedeltà.
E non limitò le sue trattative d’affari a coloro che erano stati relativamente onesti, ma che comunque erano caduti in disgrazia; trattò anche con uomini che avevano le mani sporche di sangue. Erano gli ultimi giorni del Proibizionismo; era il momento giusto per fare soldi fornendo liquori alle gole riarse d’America. E dove c’era profitto, c’era anche Cadmus Geary. Nei quattro anni che trascorsero tra il suo ritorno dalla Germania e la revoca del Diciottesimo Emendamento, investì i fondi della famiglia Geary in alcool rigorosamente illegale e nell’industria dell’“intrattenimento”, guadagnando soldi in nero e riciclandoli nelle sue attività legittime.
Fu molto cauto nella scelta dei suoi soci d’affari, evitando la compagnia di individui troppo compiaciuti della notorietà. Non trattò mai con Al Capone o con gente come lui, preferendo tipi più tranquilli come Tyler Burgess e Clarence Filby, i cui nomi non sono mai apparsi su un giornale o in un libro di storia. Ma in realtà, Cadmus non aveva lo stomaco per il crimine. Anche se quei traffici illeciti gli facevano guadagnare enormi somme di denaro, nella primavera del 1933, poco prima che il Congresso approvasse l’abrogazione, interruppe ogni contatto con “Gli Uomini del Midwest”, come era solito chiamarli.
Fu proprio Kitty a spingerlo in quella direzione. Di norma, non si immischiava nelle questioni finanziarie, ma quella, gli disse, non era una questione finanziaria: la reputazione della famiglia avrebbe subito un danno irreparabile se qualcuno fosse riuscito a provare un qualche collegamento tra i Geary e quella feccia. Cadmus cedette quasi subito a quelle pressioni; non gli piaceva fare affari con gente del genere, comunque. Per la maggior parte erano persone rozze che, una generazione prima, secondo Cadmus, sarebbero state in qualche desolato angolo d’Europa a mangiare le zecche dei loro asini. Quel commento aveva divertito molto Kitty che l’aveva usato ogni volta che si sentiva particolarmente cattiva.