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“Era sempre in cerca di un uomo ricco da accalappiare. Ritagliava un sacco di fotografie dai giornali — fotografie di uomini ricchi che sperava di conoscere, sapete — e le appendeva alle pareti della sua camera da letto e le fissava a lungo ogni notte prima di andare a dormire.” E Mitchell Geary era stato uno di quegli uomini?, aveva voluto sapere il reporter. “Oh, certo”, aveva risposto la ragazza, e aveva aggiunto di avere avuto una brutta sensazione quando aveva saputo che il piano di Rachel aveva funzionato. “Io sono una ragazza cristiana, e ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di strano in quello che Rachel faceva con quelle fotografie. Come del voodoo o roba del genere.”

Naturalmente, era tutta una stupida invenzione, e tuttavia conteneva una serie di elementi di grande richiamo. Il titolo, accompagnato da una recente foto di Rachel scattata a una serata di beneficenza, gli occhi virati al rosso per via del flash del fotografo, diceva: “Sesso e Magia Nera per la Promessa Sposa di Mitchell Geary!” Quel numero andò esaurito in un giorno.

3

Rachel fece del proprio meglio per sopportare quella situazione, ma era molto difficile — proprio come il fatto di essere stata una consumatrice di quel tipo di riviste e di averle persino apprezzate a suo tempo. Ora su quei giornali c’èrano la sua faccia e la sua vita, e la gente sembrava credere alle menzogne e alle mezze verità che venivano scritte sul suo conto.

“Ma perché sprechi il tuo tempo anche solo a guardare quelle stronzate?” le chiese Mitchell quando Rachel sollevò l’argomento a cena quella sera. Erano da Luther’s, un ristorantino esclusivo non lontano dall’appartamento di Mitchell a Park Avenue.

“Potrebbero dire qualsiasi cosa”, disse Rachel, prossima alle lacrime. “E non solo su di me. Anche su mia madre o su mia sorella, o su di te.”

“Ci sono già i nostri avvocati che se ne occupano. Se Cecil avesse la sensazione che si stanno spingendo troppo oltre.”

“Troppo oltre? E quant’è troppo oltre?”

“Qualcosa per cui valga la pena battersi”, rispose Mitchell. Le prese la mano.

“Non vale la pena piangere per queste cose, piccola”, le disse dolcemente. “Sono solo un branco di idioti che non hanno di meglio da fare che cercare di distruggere la gente. Il fatto è che non lo possono fare. Non con noi. Né con i Geary. Siamo troppo forti per loro.”

“Lo so…” mormorò Rachel asciugandosi le lacrime. “Io vorrei essere forte, ma…”

“Non voglio sentire nessun ma, piccola”, replicò Mitchell, la voce ancora tenera nonostante la fermezza delle parole. “Devi essere forte, perché gli altri ti guardano. Sei una principessa.”

“Io in questo momento non mi sento affatto come una principessa.”

Lui sembrò deluso. Spinse da parte il suo piatto di rognoni e si passò una mano sul viso. “Allora significa che non sto facendo il mio lavoro”, disse. Rachel lo fissò, confusa. “Il mio lavoro è quello di farti sentire come una principessa. La mia principessa. Cosa posso fare?” Alzò lo sguardo su di lei con una sorta di dolce disperazione dipinta sul volto. “Dimmi: cosa posso fare?”

“Amami”, rispose lei.

“Io ti amo, tesoro.”

“Lo so.”

“E odio il fatto che quegli imbrattacarte ti facciano soffrire ma, credimi, non possono toccarti. Possono gettare fango e alzare la voce, ma non possono toccarti.” Le strinse la mano. “È questo il mio lavoro. Nessuno può toccarti, tranne me.”

Rachel si sentì attraversare da un lieve tremore, come se le mani di Mitchell l’avessero accarezzata in mezzo alle gambe. Lui se ne accorse. Si passò la lingua sul labbro inferiore, inumidendolo.

“Vuoi sapere un segreto?” le disse poi, sporgendosi verso di lei.

“Sì, ti prego.”

“Hanno paura di noi.”

“Chi?”

“Tutti quanti”, rispose lui, continuando a fissarla. “Noi non siamo come loro, e loro lo sanno. Noi siamo i Geary. Loro no. Noi siamo potenti. Loro no. E questo li spaventa. Quindi dobbiamo permettere che ogni tanto si prendano le loro piccole rivincite. Altrimenti impazzirebbero.” Rachel annuì. Qualche mese prima il discorso di Mitchell non avrebbe avuto senso, ma ora lo capiva perfettamente.

“Smetterò di preoccuparmene”, promise. “E cercherò di non parlarne mai.”

“Sei in gamba, lo sai?” proseguì Mitchell. “È questo che ha detto di te Cadmus dopo la sua festa di compleanno. Ha detto: ‘E in gamba. Ha la stoffa per essere una Geary’. Ha ragione. E sai una cosa? Una volta che sarai un membro di questa famiglia, niente potrà più ferirti. Niente. Sarai intoccabile. Te lo giuro sulla mia stessa vita. È così che funziona, quando sei un Geary. Ed è questo che sarai tra nove settimane. Una Geary. Per sempre.”

Cinque

Poco fa è entrata Marietta a leggere quello che ho scritto. Pur sapendo che me ne sarei pentito, quando mi ha chiesto di farle leggere un po’ di quanto avevo scritto, le ho passato qualche pagina. È andata in veranda, si è accesa uno dei miei sigari e ha cominciato. Io ho finto di continuare a lavorare, come se la sua opinione non fosse di alcun interesse per me, ma i miei occhi continuavano a scivolare verso di lei, cercando di interpretare l’espressione del suo viso.

Di tanto in tanto, mi è parsa divertita ma non a lungo. Per la maggior parte del tempo, si è limitata a scorrere il testo riga dopo riga (troppo in fretta, secondo me, per poter davvero apprezzare la prosa), il volto impassibile. Man mano che il tempo passava, la mia irritazione cresceva e sono stato sul punto di alzarmi e uscire in veranda. Alla fine, con un piccolo sospiro, Marietta è tornata da me e mi ha restituito le pagine.

“Scrivi frasi molto lunghe”, è stato il suo commento.

“È tutto quello che hai da dire?”

Da una tasca ha estratto una confezione di fiammiferi, e ne ha usato uno per riaccendere il sigaro. “Cosa vuoi che ti dica?” ha scrollato le spalle. “È pieno di pettegolezzi, non ti pare?” Ha cominciato a fissare la scatola di fiammiferi. “E penso che sia difficile da seguire. Tutti quei nomi. Tutti quei Geary. Non era necessario andare così indietro nel tempo, ti pare? Voglio dire, a chi importa?”

“Serve per dare un contesto alla storia.”

“Mi chiedo di chi sia questo numero”, ha detto lei, continuando a studiare i fiammiferi. “È un numero di Raleigh. Chi diavolo conosco a Raleigh?”

“Se non riesci a essere un po’ più costruttiva…”

Lei ha alzato lo sguardo e si è accorta della mia delusione. “Oh, Eddie”, ha detto sorridendo. “Non fare quella faccia. Penso che quello che hai scritto sia bellissimo.”

“No, non è vero.”

“Te lo giuro. È solo che quei matrimoni, sai”, ha fatto una smorfia con le labbra. “Non li amo molto.”

“Ma ci sei andata”, le ho rammentato.

“Scriverai anche di questo?”

“Assolutamente sì.”

Mi ha accarezzato una guancia. “Sai, credo che la mia presenza ravviverà un po’ le cose. Come vanno le tue gambe?”

“Piuttosto bene.”

“Ti sei ripreso del tutto?”

“Pare di sì.”

“Mi chiedo perché Cesaria ti abbia guarito dopo tutto questo tempo.”

“Non mi importa. Le sono solo molto grato.”

“Zabrina mi ha detto che ti ha visto uscire.”

“Vado a trovare Luman ogni due giorni. Si è messo in testa che dobbiamo collaborare a un libro quando avrò finito di scrivere questo.”