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Quindi: i fatti nudi e crudi. Il matrimonio fu celebrato la prima settimana di settembre, in una piccola città dello stato di New York chiamata Caleb’s Creek. Credo di aver già accennato a questo luogo nei capitoli precedenti. Si trova poco lontano da Rhinebeck, vicino all’Hudson. È una regione che è sempre stata molto amata dalle varie generazioni di reali americani. I Van Cortandts vi fecero costruire una villa, e così anche gli Astor e i Roosevelt. Residenze stravaganti, dove si poteva ospitare duecento ospiti per un piacevole week-end. In confronto a quelle dimore, la proprietà che George Geary aveva acquistato a Caleb’s Creek era un luogo modesto, cinque camere da letto, una costruzione in stile coloniale. George aveva amato molto quella casa; e così anche Deborah. Dopo la morte del marito, lei aveva ripetuto più volte che in quella casa avevano trascorso i mornenti più felici della loro vita; momenti in cui il resto del mondo doveva aspettare fuori dalla porta. In effetti era stato Mitchell a proporre di riaprire la casa — quasi nessuno vi aveva più messo piede dai tempi della morte di George — e di tenere i festeggiamenti del matrimonio proprio lì. Sua madre aveva accolto con entusiasmo quell’idea. “George ne sarebbe felice”, aveva detto, come se immaginasse che lo spirito del marito si stesse ancora aggirando per la casa, tra gli echi di tempi più lieti.

Mitchell aveva portato Rachel a Caleb’s Creek a metà luglio ed erano rimasti lì per una notte. Una coppia di coniugi che vivevano in città, i Rylander, e che da sempre si occupavano della proprietà, avevano tenuto tutto in ordine durante quegli anni di abbandono e avevano lavorato alacremente per dare alla casa una seconda chance di vita. Quando Mitchell e Rachel erano arrivati, si ritrovarono in un rifugio da sogno. Eric Rylander aveva piantato centinaia di fiori e cespugli di rose e aveva sistemato il prato; le finestre, le porte e gli infissi, così come la staccionata, erano stati ridipinti. Il piccolo frutteto dietro la casa era in piena fioritura; tutto era perfetto. E quanto all’interno della casa la moglie di Eric, Barbara, non era stata meno scrupolosa del marito. Aveva fatto prendere aria a tutte le stanze, aveva pulito le tende e i tappeti e aveva lucidato i pavimenti fino a farli brillare.

Rachel, naturalmente, era rimasta incantata. Non solo dalla bellezza della casa e del giardino, ma anche dal fatto che dovunque c’erano tracce del padre del suo futuro marito. Deborah aveva dato istruzioni di lasciare la casa come era sempre piaciuta a George. Le sue centinaia di album di jazz erano ancora sugli scaffali, tutti in ordine alfabetico. La sua scrivania, dove secondo Mitchell aveva preso appunti per una sorta di libro di memorie su sua madre Kitty, era ancora come l’aveva lasciata, con le fotografie incorniciate della sua famiglia che ormai avevano cominciato a sbiadire.

Quella visita non era servita solo a confermare la decisione di Mitchell di celebrare lì il matrimonio; era diventata anche una sorta di nido per gli innamorati. Quella sera, dopo una splendida cena preparata da Barbara, erano usciti a guardare il cielo di mezza estate scurirsi, sorseggiando whisky e parlando delle rispettive infanzie e dei rispettivi padri. Era così buio che non riuscivano quasi a vedere l’uno il volto dell’altra, ma avevano continuato a parlare mentre la brezza si muoveva tra i meli: dei momenti in cui avevano riso, dei momenti che avevano perduto. Quando, alla fine, erano andati a letto (Mitch non voleva dormire nella stanza padronale, benché Barbara avesse preparato il letto per loro; avevano invece dormito nella camera che lui aveva occupato da bambino), erano rimasti l’una nelle braccia dell’altro, in quella sorta di meraviglioso sfinimento che segue l’amore, anche se non avevano fatto l’amore.

Quando erano tornati a New York il mattino successivo, Rachel aveva tenuto la mano di Mitchell per tutto il tempo. Non aveva mai provato in vita sua un amore simile a quello che provava per lui.

2

Venerdì sera, con la residenza di Caleb’s Creek — la casa, il giardino, il frutteto, il prato — affollata di addetti ai preparativi per il ricevimento, Barbara Rylander si avvicinò al marito che si trovava vicino al cancello e guardava i camion che andavano e venivano. A bassa voce, gli disse di aver visto George in piedi tra i meli del frutteto che osservava il viavai. Stava sorridendo, disse Barbara.

“Sei una vecchia sciocca”, disse Eric a sua moglie, “ma ti amo alla follia.” Le diede un grande bacio proprio davanti a tutti quegli sconosciuti, cosa del tutto atipica per il suo carattere.

Si fece giorno e fu un giorno spettacolare. Il sole era caldo ma non troppo. La brezza era costante ma mai troppo forte. L’aria profumava ancora d’estate ma aveva una sfumatura pungente che suggeriva l’approssimarsi dell’autunno.

Quanto alla sposa, era ancora più sfolgorante di quella giornata. Al mattino, aveva sofferto di nausea, ma non appena aveva iniziato a vestirsi, il nervosismo era svanito. Ebbe una breve ricaduta quando sua madre, Sherrie, scoppiò in lacrime per la felicità, e per poco Rachel non fece altrettanto. Ma Loretta prese in mano la situazione, e con decisione mandò Sherrie a prendersi un brandy. Poi si sedette con Rachel e le parlò, in modo semplice e affettuoso.

“Non potrei mai mentirti”, disse Loretta solennemente. “Credo che tu ormai mi conosca abbastanza bene per saperlo.”

“Certo.”

“Quindi credimi quando ti dico che andrà tutto bene; niente potrà andare per il verso sbagliato, e tu sei… semplicemente stupenda.” Scoppiò a ridere e baciò Rachel sulla guancia. “Ti invidio. Davvero. Hai tutta la vita davanti a te. So che è un cliché terribile, ma quando sarai vecchia ti accorgerai di quanto è vero. Si vive solo una volta. Abbiamo una sola opportunità per essere noi stessi. Per gioire. Per amare. Quando è finita è finita.” Fissò Rachel intensamente come se ci fosse stato un significato più profondo che le sue sole parole non avrebbero mai potuto esprimere. “Adesso andiamo in chiesa”, concluse allegramente. “C’è un sacco di gente che non vede l’ora di ammirare la tua bellezza.”

La promessa di Loretta fu mantenuta. La cerimonia fu celebrata nella piccola chiesa di Caleb’s Creek con tutte le porte spalancate in modo che i membri della congregazione che non erano riusciti a trovare posto a sedere potessero comunque ascoltare la breve cerimonia. Alla fine, rispettando la tradizione di Caleb’s Creek, tutti gli invitati, al seguito della sposa e dello sposo che si tenevano mano nella mano, si incamminarono lungo Main Street ricoperta di petali di fiori “per addolcire la loro strada”. Main Street era affollata di curiosi che applaudivano e sorridevano osservando quel corteo. Tutto era meravigliosamente informale. A un certo punto, una bambina — una bambina di Caleb’s Creek, che non doveva avere più di quattro anni — sfuggì all’abbraccio di sua madre e corse a guardare la sposa e lo sposo. Mitchell la prese in braccio e la portò per una decina di metri con grande divertimento dei presenti e della bambina stessa, che cominciò a lamentarsi solo quando sua madre andò a riprenderla.

Inutile dire che c’era un gran numero di fotografi a immortalare quel momento, e che fu proprio quell’immagine che quasi tutte le redazioni scelsero per i loro articoli sulle nozze. Il simbolismo della scena non era difficile da capire. Quella bambina anonima sbucata dalla folla e sollevata dalle braccia forti e sicure di Mitchell Geary avrebbe potuto essere Rachel.

Sette

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