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“Secondo chi?”

“Oh, Cristo santo, usa gli occhi! Qualcosa sta cambiando, Eddie. Non è così palese ma è dovunque. È nei mattoni. È nei fiori. È nel terreno. Ho fatto una passeggiata vicino alle stalle, dove abbiamo messo papà, e ti giuro che ho sentito la terra tremare.”

“Non dovresti andare là.”

“Non cambiare discorso. È una cosa in cui sei così bravo, soprattutto quando cerchi di evitare le tue responsabilità.”

“E da quando sono…”

“Sei l’unico della famiglia che può scrivere tutto questo, Eddie. Hai tutti gli appunti, qui, tutti i diari. Ricevi ancora lettere da chi sai tu.”

“Tre negli ultimi quarant’anni. Non è proprio quella che definirei una fitta corrispondenza. E Cristo santo, Marietta, chiamalo per nome.”

“E perché dovrei? Odio quel piccolo bastardo.”

“Questa è proprio una cosa che certamente lui non è, Marietta. Ora, perché non finisci il tuo gin e non mi lasci in pace?”

“Mi stai dicendo di no, Eddie?”

“Non te lo senti dire molto spesso, vero?”

Eddie…” ha detto lei con un sorrisetto vacuo.

“Marietta. Tesoro. Non ho intenzione di gettare la mia vita nel caos solo perché tu vuoi che io scriva la storia della nostra famiglia.”

Mi ha rivolto un’occhiata breve e affilata e ha finito il gin tutto d’un fiato, e poi ha appoggiato il bicchiere sul parapetto della balconata. Dalla precisione dei suoi movimenti e dalla pausa che ha fatto prima di parlare, ho intuito che aveva pronta un’ultima battuta per la sua uscita di scena. Ha un notevole gusto teatrale, la mia Marietta.

“Non vuoi gettare la tua vita nel caos? Cerca di non essere così assurdamente patetico. Tu non hai una vita, Eddie. È per questo che devi scrivere il libro. Se non lo scriverai, morirai senza aver fatto una sola dannata cosa.”

Tre

1

Sapeva benissimo che non è così, naturalmente. Ho vissuto, accidenti a lei! Prima del mio incidente avevo una fame di esperienze quasi paragonabile a quella di Nicodemus. Anzi, devo correggermi. Non sono mai stato interessato quanto lui alle opportunità sessuali offerte dai miei viaggi. Mio padre conosceva a menadito tutti i grandi bordelli d’Europa; io preferivo vagare per le cattedrali o ubriacarmi in qualche bar. Il bere è una delle mie debolezze, non lo nascondo, e mi ha cacciato nei guai più di una volta. Mi ha anche fatto ingrassare. Naturalmente, è difficile restare snelli quando si è bloccati su una sedia a rotelle. Il fondoschiena si allarga, così come la vita; e, Signore, la mia faccia, che un tempo era così bella che sarei potuto entrare in qualunque luogo e scegliere una compagna a mio piacimento, ora è tonda e paffuta. Solo nei miei occhi potreste intravedere il magnetismo di cui un tempo ero capace. Sono di un colore insolito, sospeso tra il grigio e il blu. Il resto di me è andato all’inferno.

Immagino che succeda a tutti, prima o poi. Persino Marietta, che è una Barbarossa purosangue, ha detto che nel corso degli anni ha notato qualche impercettibile segno di invecchiamento; solo che accade molto più lentamente che per un qualsiasi essere umano. Un capello grigio ogni dieci anni o poco più non è certo cosa di cui lamentarsi, le ricordo, soprattutto quando la natura le ha dato tali e tanti altri doni: ha la pelle perfetta di Cesaria (anche se né lei né Zabrina sono nere come la loro madre) e l’armonia fisica di Nicodemus. Condivide la mia passione per l’alcool, anche se il bere non ha ancora avuto effetti sulla sua vita o sui suoi glutei. Ma sto divagando ancora. Come sono arrivato a parlare del fondoschiena di Marietta? Oh sì, stavo raccontando dei miei viaggi quale rappresentante di mio padre. Era magnifico. Mi sono trovato immerso nella merda di moltissime stalle nel corso degli anni, naturalmente, ma ho anche visitato alcune delle glorie di questo pianeta: le terre selvagge della Mongolia, i deserti del Nord Africa, le pianure dell’Andalusia. Per cui vi chiedo di capire che, anche se ora sono ridotto al ruolo di voyeur, non è sempre stato così. Non scrivo da teorico, pontificando sullo stato di un mondo che ho conosciuto solo attraverso i giornali e lo schermo del televisore.

Quando mi inoltrerò nella storia, senza dubbio l’arricchirò con i racconti di cose che ho visto e persone che ho conosciuto durante i miei viaggi. Per ora, comunque, lasciatemi parlare dell’Inghilterra, il paese dove sono stato concepito. La mia madre naturale era una donna di nome Moira Feeney e, anche se è morta poco tempo dopo la mia nascita di una malattia che non ho mai del tutto compreso, ho trascorso i primi sette anni della mia vita nel suo paese natale, accudito da sua sorella, Gisela. Non fu affatto una vita agiata; Gisela si infuriò quando scoprì che il padre del bambino di sua sorella non aveva intenzione di invitarci a far parte del suo cerchio incantato, e piuttosto che accettare le somme sostanziose che lui le offriva perché potesse crescermi, rifiutò ogni aiuto, orgogliosamente e stupidamente. Si rifiutò anche di vederlo. Fu solo quando anche Gisela morì (fu colpita, cosa piuttosto sospetta, da un fulmine) che mio padre apparve e mi portò con sé nei suoi viaggi. Per i successivi cinque anni vivemmo in un gran numero di case straordinarie, ospiti di grandi uomini che volevano consigli da mio padre sull’allevamento dei cavalli (e Dio solo sa su cos’altro; penso che probabilmente, dietro le quinte, stesse modellando i destini di intere nazioni). Nonostante tutto lo sfarzo di quegli anni — due estati a Granada, una primavera a Venezia, così tanti altri luoghi che quasi non riesco a ricordare — sono i miei anni a Blackheath con Gisela quelli che ricordo con più affetto. Erano stagioni gentili; con la mia gentile zia umana e il latte e la pioggia e i pruni che crescevano dietro il cottage, dai cui rami più alti potevo vedere la cupola della chiesa di St. Paul.

Ho un ricordo molto limpido di com’era arrampicarsi su quei rami nodosi, dove trascorrevo ora dopo ora, cullato fino a una dolce ipnosi da canzoni e filastrocche. Ricordo ancora una di quelle filastrocche.

Ero Sono E sempre Sarò, perché Ero Sono E sempre Sarò, perché…

E così via, ancora e ancora.

Marietta ha ragione, mi manca l’Inghilterra e faccio tutto il possibile per tenermi stretto il suo ricordo. Gin inglese, sintassi inglese, malinconia inglese. Ma l’Inghilterra che vorrei, l’Inghilterra di cui sogno quando sonnecchio sulla mia sedia a rotelle, non esiste più. Essa è semplicemente un panorama ammirato dalla cima di un albero e un bambino felice. Entrambi appartengono al passato già da molto tempo. Questa è, comunque, la seconda ragione per cui sto scrivendo questo libro. Nell’aprire le dighe della memoria, spero di ritornare, almeno per un po’, alla gioia della mia infanzia.

2

Penso che dovrei raccontarvi, per quanto brevemente, cos’è successo il giorno in cui ho detto a Marietta che avevo iniziato a scrivere questo libro, perché potrebbe permettervi di capire meglio cosa significhi vivere in questa casa. Ero seduto sulla terrazza con la sola compagnia degli uccelli (ce ne sono undici — cardinali rossi, zigoli, merli — che vengono a mangiare dalla mia mano e rimangono per un po’ a cantare per me) e mentre li stavo nutrendo ho sentito Marietta al piano di sotto litigare furiosamente con l’altra mia mezza sorella, Zabrina. Da quanto sono riuscito a capire, Marietta era imperiosa come al solito e Zabrina — che cerca di evitare tutti per la maggior parte del tempo e quando incontra un membro della famiglia dice il meno possibile — una volta tanto riusciva a tenerle testa. Il motivo dello scontro era questo: Marietta, la notte precedente, aveva portato in casa una delle sue amanti e la sua ospite si era dimostrata decisamente curiosa. A quanto pareva, si era alzata mentre Marietta dormiva e si era aggirata per la casa e aveva visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere.