“Quando ero incinta di Garrison”, disse Deborah, “Cadmus mi ha mandato fiori ogni giorno per gli ultimi due mesi della gravidanza, con un bigliettino su cui c’era scritto il numero di giorni che mancavano al parto.”
“Come un conto alla rovescia?”
“Esattamente.”
“Più cose scopro di questa famiglia, più mi sembra strana!”
Deborah sorrise, distogliendo lo sguardo.
“Che cosa significa?” si incuriosì Rachel.
“Cosa?”
“Quel sorriso.”
Deborah si strinse nelle spalle. “Oh, è solo che più invecchio più tutto mi sembra strano.” Era seduta sul divano vicino alla finestra e il sole splendeva, quel giorno; era quasi difficile riuscire a distinguere i suoi lineamenti. “Sai, tutti credono che le cose diventino più chiare col passare degli anni. Ma non è così. A volte mi ritrovo a guardare i volti di persone che conosco da moltissimo tempo e mi sembrano assolutamente misteriosi. Quasi alieni.” Fece una pausa, bevve un sorso di tè alla menta e guardò fuori dalla finestra. “Di cosa stavamo parlando?”
“Di quanto sono strani i Geary.”
“Mmm… E probabilmente io ti sembro la più strana di tutti.”
“No”, protestò Rachel. “Non intendevo questo.”
“Di’ quello che hai voglia”, ribatté Deborah, in tono ancora distratto. “Non fare caso a Mitchell.” Si voltò a guardare Rachel. “Mi ha detto che avete litigato. Onestamente, non posso biasimarti. Sa essere molto autoritario. Non è un tratto che ha ereditato da George, lo ha imparato da Garrison. E Garrison lo ha ereditato da Cadmus.” Rachel non fece commenti. “Mi ha confidato che avete discusso piuttosto animatamente.”
“Adesso è tutto a posto”, disse Rachel.
“È stata un’impresa convincerlo ad aprirsi. Ma Mitch sa che è inutile provare a nascondere qualcosa a sua madre.”
Rachel aveva la testa affollata da molti pensieri e ciascuno di essi richiedeva la sua attenzione. Primo: se Deborah non trovava strano il fatto che suo figlio le riferisse della loro discussione in camera da letto, allora forse era davvero strana quanto il resto della famiglia. Secondo: non poteva fare affidamento su Mitchell in materia di questioni intime. E, terzo: d’ora in avanti avrebbe preso sua suocera alla lettera e avrebbe detto qualsiasi cosa le fosse passata per la testa, per quanto sgradevole potesse essere. Era una Geary a tutti gli effetti, adesso. Avrebbe messo al mondo un nuovo membro del loro clan. E questo le dava potere.
Margie descrisse la situazione in modo ancora più preciso, quando le disse: “Il bambino ti darà modo di poter trattare con loro”. Certo, era una visione piuttosto cupa delle cose ma ormai Rachel aveva rinunciato al romanticismo. Era pronta ad accettare l’idea che il bambino che portava in grembo le avrebbe permesso di fare a modo suo.
Verso fine gennaio, in una di quelle giornate cristalline che rendono più sopportabili gli inverni artici di New York, Mitchell arrivò all’appartamento verso mezzogiorno e disse a Rachel di volerle mostrare qualcosa; poteva andare con lui? Proprio adesso? chiese lei. Sì, rispose Mitchell, proprio adesso.
Il traffico era particolarmente congestionato, anche per New York. Stava cominciando a nevicare e il cielo prometteva tempesta. Rachel ripensò a quel primo pomeriggio, a Boston. I marciapiedi coperti di neve e un principe alla porta. Sembrava passata un’eternità.
La loro destinazione era la Quinta Avenue, all’incrocio con l’Ottantunesima: un palazzo di cui Rachel aveva solo sentito parlare.
“Ti ho comprato una cosa”, disse Mitchell mentre salivano sull’ascensore. “Penso che dovresti avere un posto tutto tuo. Un posto da cui siano banditi tutti i Geary.” Sorrise. “Escluso me, naturalmente.”
Il suo regalo si trovava all’ultimo piano del palazzo: era un attico su due piani. Era stato arredato con gusto squisito, le pareti coperte di quadri di maestri dell’arte moderna, i mobili raffinati ma confortevoli.
“Ci sono quattro camere da letto, sei bagni e, naturalmente…” L’accompagnò alla finestra. “… la migliore vista d’America.”
“Oh, mio Dio”, Rachel non riuscì ad aggiungere altro.
“Ti piace?”
Come avrebbe potuto non piacerle? Quell’attico era meraviglioso, perfetto. Rachel non riusciva a immaginare quanto potesse essere costato creare un ambiente così lussuoso.
“È tutto tuo, tesoro”, disse Mitchell. “Letteralmente. L’appartamento e tutto quello che contiene è a tuo nome.” Si fermò alle sue spalle e osservò il rettangolo illuminato dalla neve di Central Park. “So che è difficile per te certe volte vivere all’interno di questa fottuta dinastia. È difficile anche per me.” La circondò con le braccia, appoggiandole le mani sul ventre. “Voglio che tu possa avere il tuo piccolo regno quassù. Se i quadri non ti vanno, vendili. Ho cercato di scegliere cose che avrebbero potuto piacerti, ma se vuoi vendile e compra qualcosa di tuo gusto. Ho messo un paio di milioni di dollari su un conto corrente separato a tuo nome, in modo che tu possa fare i cambiamenti che desideri. Prendi un tavolo da biliardo. Uno schermo gigante. Tutto quello che desideri. Sei tu a decidere, qui.” Le avvicinò la bocca all’orecchio. “Naturalmente spero che mi darai una copia delle chiavi, così potrò venire a giocare con te qualche volta.” Aveva la voce leggermente rauca e si muoveva dolcemente ma insistentemente contro di lei. “Ehi, tesoro?”
“Sì?”
“Possiamo giocare un po’?”
“Hai bisogno di chiedermelo?” disse lei, voltandosi a guardarlo. “Naturalmente.”
“Anche nelle tue condizioni così delicate?”
“Non sono delicata”, rispose Rachel, premendosi contro di lui. “Mi sento bene. Splendidamente.” Lo baciò. “Questo posto è straordinario.”
“Tu sei straordinaria”, disse Mitchell. “Più ti conosco, più m’innamoro di te. Ma dimostrartelo non è il mio forte, lo so. Quando sono con te, mi sento come un ragazzino.” Premette la bocca sul viso di Rachel. “Come un ragazzino molto, molto, molto eccitato. ”
Non c’era bisogno che glielo dicesse; era così duro contro di lei. E il suo volto pallido adesso era arrossato. “Posso mettertelo dentro?”
Cominciava sempre così: posso mettertelo dentro? Quando era stata arrabbiata con lui, aveva pensato a quella frase e si era resa conto di quanto fosse assolutamente ridicola. Ma in quel momento, la sua sciocca semplicità la persuase. Lei voleva dentro di sé quella cosa di cui Mitchell non riusciva nemmeno a dire il nome.
“In quale camera da letto?” chiese Rachel.
Fecero l’amore senza svestirsi completamente, su un letto così grande che avrebbe potuto essere lo scenario per un’orgia, con i suoi innumerevoli cuscini. Lui fu appassionato come non era mai stato prima, le sue mani e la sua bocca che continuavano a ritornare al ventre serico di Rachel. Era come se fosse eccitato dalla prova della sua fertilità; mormorava parole di adorazione sul suo corpo. Non durò più di quindici minuti, Mitchell non riuscì a trattenersi oltre. E quando ebbero finito, lui si alzò subito e andò a farsi una doccia. Poi scese al piano inferiore per fare qualche telefonata. Era in ritardo per la riunione, disse; Garrison lo avrebbe crocifisso.
“Prendo un taxi e lascio la limousine per te”, le disse. Si chinò su di lei per baciarla sulla fronte. Aveva i capelli ancora umidi.
“Cerca di non prendere freddo. C’è una bufera là fuori.”
Mitchell gettò un’occhiata oltre la finestra. La neve cadeva così fitta da oscurare quasi la vista del parco.
“Me ne starò al caldo”, la rassicurò. “Mi basterà pensare a voi due, sdraiati qui.”