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Be’, era troppo tardi per tornare indietro. Stava attraversando le rotaie che da sempre per lei rappresentavano il confine della città, il luogo in cui finiva il mondo che conosceva e ne iniziava un altro, più grande. Stava per tornare nelle strade che sognava ancora certe notti; stava per girovagare come aveva fatto negli anni difficili che avevano preceduto l’adolescenza quando non aveva ancora idea di cosa sarebbe stato di lei. Ecco il drugstore di Albert McNealy, che ora apparteneva a suo figlio Lance, con cui Rachel aveva avuto una relazione breve e innocente verso i quindici anni. Ecco la scuola dove aveva imparato un po’ di tutto ma niente in particolare, il cortile ancora chiuso da una rete metallica, come una prigione trasandata. Ecco il piccolo parco (così lo avevano soprannominato i padri della città; in realtà quel termine era decisamente eccessivo). Ecco la statua coperta di escrementi di uccello di Irwin Heckler, il padre fondatore della città, che nel 1903 si era messo in affari producendo piccole caramelle colorate che si erano dimostrate straordinariamente popolari. Ecco il municipio e la chiesa (l’unico edificio che non aveva perso del tutto la sua grandeur) e il piccolo centro commerciale dove c’erano il salone di bellezza e l’ufficio dell’unico avvocato della città, Marion Klaus, e il negozio di animali e un’altra mezza dozzina di attività.

Ora tutti i negozi erano chiusi; erano le nove di sera passate. L’unico luogo aperto a quell’ora doveva essere il bar di McCloskey Road, vicino all’agenzia di pompe funebri. Per un attimo fu tentata di farci un salto e bere un bicchiere di whisky prima di chiamare sua madre, ma sapeva bene che non aveva alcuna possibilità di entrare nel bar senza incontrare qualcuno che conosceva, così si diresse verso casa, a Sullivan Street. Il suo arrivo non era del tutto inatteso; si era fermata dalle partì di Youngstown per chiamare la madre e dirle che sarebbe andata a trovarla. La luce della veranda era accesa e la porta d’ingresso era socchiusa.

Vi fu un breve ma sublime istante in cui Rachel — dopo aver chiamato Sherrie e prima di ottenere una risposta — rimase lì, davanti a casa ad ascoltare i suoni della notte attorno a lei. Non c’era traffico: solo il sibilo gentile delle fronde degli alberi che erano cresciuti accanto alla casa e il rumore di una grondaia che sbatteva leggermente contro un muro sospinta dal vento. Tutti suoni familiari, tutti rassicuranti. Trasse un profondo respiro. Sarebbe andato tutto bene. Era amata lì; amata e capita. Forse in città ci sarebbe stato qualcuno che l’avrebbe guardata storto e avrebbe cominciato a spettegolare su ciò che era successo, tuttavia lì era al sicuro. Quella era la sua casa, dove le cose erano come erano sempre state.

Ed ecco Sherrie, leggermente nervosa ma felice di vederla.

“Be’, questa sì che è una sorpresa”, le disse sua madre con un sorriso.

Quattordici

1

La sera dopo la partenza di Rachel per l’Ohio, Garrison invitò Mitchell fuori a cena. Era passato molto tempo dall’ultima volta che avevano fatto una chiacchierata tra fratelli, disse, e probabilmente non c’era momento migliore di quello.

Quando Ralph lo portò al ristorante che Garrison aveva scelto, Mitchell pensò che ci fosse stato un errore. Era un piccolo, sudicio ristorante cinese tra Canal Street e Mott; un quartiere tutt’altro che rassicurante. Ma Ralph non si era sbagliato. Garrison era là, seduto in fondo alla stretta sala, a un tavolo per sei che era apparecchiato per due. Davanti a sé aveva una bottiglia di vino bianco e stava fumando un avana. Offrì a Mitchell un bicchiere di vino e un sigaro, ma il fratello disse che voleva solo un bicchiere di latte per sistemarsi lo stomaco.

“Funziona davvero per te?” disse Garrison. “Il latte mi riempie di gas.”

“Tutto ti riempie di gas.”

“È vero”, ammise Garrison.

“Ti ricordi di quel ragazzo, Mario, che ti chiamava Geary la Puzzola?”

“Mario Giovannini.”

“Esatto, Giovannini. Mi chiedo che cosa cazzo ne sia stato di lui.”

“Chi se ne frega?” disse Garrison, appoggiandosi allo schienale della sedia. “Ehi, signor Ko?” Apparve il proprietario del ristorante, un uomo azzimato con i capelli impomatati con così tanta cura che sembrava quasi che gli fossero stati dipinti sul cranio ciocca dopo ciocca. “Potremmo avere un po’ di latte per mio fratello? E i menù.”

“Non ho fame”, disse Mitchell.

“Ne avrai. Dobbiamo tenerci in forze. Ci aspetta una lunga nottata.”

“Non ce la faccio, Gar. Domani ho due riunioni.”

“Mi sono preso la libertà di cancellarle.”

“E perché?”

“Perché dobbiamo parlare.” Prese una scatola di fiammiferi e si riaccese con cura il sigaro. “In particolare delle donne della nostra vita. Allora… dimmi di Rachel.”

“Non c’è molto da dire. Era su a Caleb’s Creek.”

“… con Margie.”

“Esatto. E poi ha deciso di mettersi in viaggio. Dio sa dov’è diretta.”

“Margie lo sa”, disse Garrison. “Probabilmente è stata proprio quella stronza a suggerirglielo.”

“Non capisco a che scopo.”

“Per creare problemi. È il suo sport preferito. Sai com’è fatta.”

“Puoi provare a farti dire qualcosa da lei?”

“Sarebbe meglio che ci provassi tu”, rispose Garrison. “Se le chiedessi qualcosa io, puoi scommetterci, non direbbe una parola.”

“Dov’è Margie stasera?”

Garrison scrollò le spalle. “Non gliel’ho chiesto perché non me ne importa niente. È probabile che sia uscita a bere. Lei e altre due o tre stronze come lei. Quella puttana che ha sposato Lenny Bryant.”

“Marilyn.”

“Già. È una di loro. E poi la donna che gestiva quei ristoranti.”

“Non la conosco.”

“Molto magra. Denti grossi, niente tette.”

“Lucy Cheever.”

“Lo vedi che hai buona memoria per le donne?”

“Ho avuto una storia con Lucy Cheever, ecco perché me la ricordo.”

“Scherzi? Ti sei fatto Lucy Cheever?”

“L’ho portata giù a New Orleans e me la sono sbattuta per una settimana.”

“Grossi denti. Tette piccole.”

“Ha delle belle tette!”

“Sono fottutamente minuscole. E poi non è mai sobria.”

“A New Orleans lo era. O almeno, la maggior parte del tempo.”

Garrison scosse la testa. “Non ti capisco. Insomma, avrà cinquant’anni.”

“Sarà stato cinque o sei anni fa.”

“E allora? Avresti potuto avere qualunque pezzo di figa avessi voluto, e vai a passare una settimana con una donna che ha dieci, quindici anni più di te? Perché cazzo?”

“Mi piaceva.”

“Ti piaceva.” Il signor Ko era tornato con i menù e con il latte. “Mi porti un brandy”, gli disse Garrison, “ordineremo dopo.” Quando Ko se ne fu andato di nuovo, Garrison tornò al mistero della relazione di suo fratello con Lucy Cheever. “Era brava a letto?”