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Quanto a Mitchell, decise di tornare a casa e di andare subito a dormire. Rachel sarebbe tornata da lui quella notte, pensava, e lui l’avrebbe perdonata. Avrebbe sentito un rumore in camera da letto e aprendo gli occhi avrebbe visto la sagoma di lei stagliarsi contro il cielo stellato (Mitchell odiava dormire con le tende chiuse, rendeva i suoi sogni soffocanti) e lei si sarebbe spogliata e gli avrebbe detto mi dispiace, mi dispiace tanto, e sarebbe scivolata tra le lenzuola insieme a lui. Forse avrebbero fatto l’amore ma probabilmente no. Probabilmente, lei gli avrebbe posato la testa sulla spalla e una mano sul petto, e si sarebbero addormentati così, come la prima notte che avevano dormito insieme.

Ma le sue aspettative romantiche furono deluse. Quella notte, Rachel non tornò a casa. Lui dormì solo, nel grande letto; o almeno dormì per circa un’ora, prima di svegliarsi con un dolore lancinante al basso ventre, tanto acuto da farlo piangere quasi come un bambino. Maledicendo Garrison e il suo dannato signor Ko, barcollò praticamente piegato in due fino al bagno e si mise alla ricerca di un medicinale che potesse alleviare il dolore. Aveva la vista appannata e gli tremavano le mani. Impiegò più di due minuti a trovare il farmaco adatto, e aveva appena inghiottito un paio di capsule quando uno spasmo terribile gli squassò l’intestino, ed ebbe a malapena il tempo di sedersi sul water, prima di emettere un getto maleodorante e acquoso di feci. Quando ebbe finito, rimase lì, sapendo che quel sollievo sarebbe stato solo temporaneo. Il dolore al ventre non era diminuito; aveva ancora la sensazione che degli aghi gli stessero trapassando l’intestino.

Cominciò a piangere, lacrime incerte all’inizio, ma che ben presto diventarono un fiume inarrestabile. Si coprì con le mani il volto che scottava per la febbre, e singhiozzò tra le dita. Non riusciva a immaginare una condizione più miserevole di quella in cui si trovava adesso: abbandonato, malato, confuso. Che cosa aveva fatto per meritare tutto questo? Niente. Aveva vissuto come meglio aveva potuto. Quindi perché era seduto lì come un’anima dannata, immerso nel suo stesso fetore, tormentato dalle profezie che Garrison gli aveva sussurrato all’orecchio? E perché non poteva sapere dov’era sua moglie quella notte? Perché non era lì a confortarlo, pronta ad accoglierlo tra le sue braccia una volta che le fitte fossero passate; le sue mani fresche, la sua voce piena d’amore? Perché era solo?

Oh Dio, perché era solo?

Dall’altra parte della città, Garrison uscì dalla camera da letto dove aveva appena sparso il suo seme. Il glaciale oggetto del suo amore era stato ammirevolmente inerte per tutto il tempo; non aveva emesso un solo suono anche quando le attenzioni di lui si erano fatte meno che galanti. Talvolta, insoddisfatto delle sue esplorazioni vaginali, Garrison metteva a pancia in giù i suoi “cadaveri” e li possedeva analmente. Anche quella sera era stato così, e di nuovo Garrison si era accorto che il signor Platt aveva previsto anche quell’eventualità. Quando aveva girato la ragazza, aveva scoperto che l’ano era già stato lubrificato. Lui l’aveva penetrata, rinunciando alla protezione che molti avrebbero ritenuto indispensabile in simili circostanze e con quel genere di donna, ed era venuto dentro di lei.

Poi si era alzato, si era pulito sul lenzuolo e si era richiuso i pantaloni (che non si era abbassato nemmeno a metà coscia durante tutto il rituale) e aveva lasciato la stanza. Mentre usciva aveva detto: “È finita. Puoi alzarti”, e aveva provato uno strano senso di conforto nell’intravedere i movimenti della donna. Era tutto un gioco in fondo, giusto? Non c’era niente di male. Ecco, era resuscitata! Si stava stiracchiando, sbadigliava e cercava la busta con il denaro che, come sempre, Garrison aveva lasciato sul comodino. Se ne sarebbe andata per la sua strada senza nemmeno sapere chi era stato quel cliente così particolare (o almeno, questo era ciò che lui preferiva immaginare. Alle donne veniva ordinato di tenere gli occhi chiusi per tutta la durata del gioco. Se avessero sbirciato, Platt avrebbe saputo essere crudele).

Garrison scese subito in strada, montò in macchina e partì. Chiunque lo avesse visto al volante dell’auto avrebbe pensato che quello era un uomo felice e soddisfatto.

Come ho già detto prima, la felicità non sarebbe durata. Il giorno dopo si sarebbe svegliato sentendosi disgustato da se stesso; quella sensazione lo avrebbe accompagnato per almeno ventiquattr’ore — quarantotto al massimo — e poi il desiderio che aveva appagato quella sera avrebbe ripreso vita e avrebbe riacquistato forza nel giro di una settimana o due, quando Garrison non sarebbe più riuscito a resistere e avrebbe telefonato a Platt in preda a una sorta di trance e gli avrebbe detto di aver bisogno di una delle sue “notti speciali”. E il rituale sarebbe stato ripetuto.

Com’era strano, pensava, essere Garrison Geary. Avere così tanto potere eppure essere tormentato dall’idea di avere così poca stima di sé da riuscire a fare l’amore solo con una donna che si fingeva morta. Era un essere umano davvero particolare! E in ogni caso non si vergognava del tutto di quella sua particolarità. Quella notte una parte di lui era perversamente fiera; fiera perché lui era in grado di fare quello che aveva appena fatto; fiera perché persino in quella città, che attirava come una calamità uomini e donne che vivevano vite bizzarre, la sua fantasia sarebbe stata condannata. Cosa avrebbe potuto fare con la sua perversione, si chiedeva, se l’avesse scatenata anche solo una volta al di fuori dei confini della sua vita sessuale? Quali cambiamenti avrebbe potuto operare sul mondo se avesse messo le sue energie più oscure al servizio di un proposito più alto del semplice scoparsi una figa ghiacciata?

Ma cosa, cosa? Se c’era un proposito più alto nella sua vita, allora perché non riusciva a vederlo? Se c’era una strada che avrebbe dovuto seguire, perché non l’aveva ancora imboccata? Talvolta si sentiva come un atleta che si era preparato all’inverosimile per una corsa a cui nessuno gli aveva chiesto di partecipare. E giorno dopo giorno le sue opportunità di vincere quella corsa — quando finalmente avesse scoperto quale strada seguire — diventavano più remote.

Presto, si disse; devo scoprire al più presto qual è il mio scopo, o in men che non si dica sarò troppo vecchio per farci qualcosa. Morirò senza aver davvero vissuto, e nel momento in cui la terra mi ricoprirà, verrò dimenticato.

Deve accadere presto.

Sedici

La notte in cui Rachel tornò a casa, disse a sua madre che solo pochissime persone avrebbero dovuto sapere che era lì. Ma in una comunità piccola come quella di Dansky, nessun grande segreto rimaneva tale a lungo. Il mattino dopo, Rachel andò a imbucare qualche lettera per sua madre e venne vista dalla signora Bedrosian, la vedova che viveva nella casa accanto.

“Bene, bene”, disse la signora Bedrosian, “sei proprio tu, Rachel?”

“Sì. Sono io.”

La conversazione non si spinse oltre. Ma fu più che abbastanza. Mezz’ora più tardi il telefono cominciò a squillare: conoscenti che telefonavano in apparenza per chiedere come stava Sherrie e che a un certo punto della conversazione dicevano di aver sentito che Rachel era tornata a casa per il week-end; e, a proposito, c’era anche suo marito con lei?