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“Luminoso?”

“Tutto”, ripeté Kimberly. “Così luminoso. Sai, scintillante.” I suoi occhi luccicavano al ricordo di quello spettacolo; Rachel non ebbe il cuore di dirle che il galà era stato un vero strazio; cibo orribile, discorsi interminabili, invitati noiosi. Si limitò a lasciarla blaterare per qualche minuto, annuendo e sorridendo quando le sembrava il caso. Fu salvata da quella conversazione deprimente da un uomo con un tovagliolo infilato nel colletto della camicia, un enorme spiedino di maiale in una mano e il volto sporco di salsa piccante.

“Scusate se mi intrometto”, disse, “ma è passato molto tempo dall’ultima volta che ho visto questa signorina.”

“Sei un disastro, Neil Wilkens”, disse Kimberly.

“Davvero?”

“Sei sporco tutto attorno alla bocca.”

L’uomo si pulì con il tovagliolo, dando tempo a Rachel di rendersi conto di chi era: Neil “Wilkens, il primo ragazzo che le aveva spezzato il cuore. Aveva una barba ispida, un accenno di pancetta da bevitore di birra e stava diventando calvo. Ma il suo sorriso, quando comparve da dietro il tovagliolo, era smagliante come sempre.

“Ti ricordi di me, vero?” le chiese.

“Neil.”

“Esatto.”

“Che bello rivederti. Deanne mi aveva detto che ti eri trasferito a Chicago.”

“È tornato con la coda tra le gambe”, commentò Kimberly con una punta di cattiveria.

Neil non sembrò curarsene. “Non mi piaceva vivere in una grande città”, disse, “credo di essere ancora un ragazzo di provincia nel cuore. Così sono tornato a casa e ho cominciato a lavorare con Frankie.”

“Frankie, mio marito”, s’intromise Kimberly, nel caso Rachel non l’avesse ancora capito.

“Ci occupiamo di riparazioni. Sistemiamo tubature, aggiustiamo tetti.”

“Litigano tutto il tempo”, disse Kimberly.

“Non è vero”, ribatté Neil.

“Litigano come cane e gatto un minuto prima, e un minuto dopo sono i migliori amici sulla faccia della terra.”

“Frankie è comunista”, spiegò Neil.

Non è un comunista”, protestò Kimberly.

“Jack era un rosso con tanto di tessera del partito, Kimberly”, replicò Neil.

“Chi è Jack?” domandò Rachel.

“Il padre di Frankie. È morto qualche tempo fa.”

“Di tumore alla prostata”, aggiunse Kimberly.

“E quando Frankie si è messo a riordinare le carte del vecchio, ha trovato una tessera del partito comunista. Così adesso se la porta in giro e non fa che parlare del fatto che dovremmo insorgere contro il capitalismo.”

“Non dice sul serio”, disse Kimberly.

“Come lo sai?”

“È solo il suo stupido senso dell’umorismo”, rispose lei. Neil incrociò lo sguardo di Rachel e le rivolse un sorrisetto. Ovviamente si divertiva a stuzzicare Kimberly.

“Be’, puoi dire quello che vuoi”, fece Neil, “ma se un tizio ha una tessera del partito comunista, è un comunista.”

“Oh, mi fai talmente infuriare certe volte”, borbottò Kimberly, e senza aggiungere altro si allontanò.

“È anche troppo facile”, ridacchiò Neil. “Si scalda subito se dici qualcosa sul suo Frankie, ma gli dà il tormento giorno e notte, pover’uomo. Aveva ancora tutti i capelli quando si è sposato. Non che io abbia molto di cui vantarmi, comunque.” Si passò una mano sulla testa semicalva.

“Credo che ti doni”, osservò Rachel.

Neil sorrise raggiante. “Davvero? Lisa la odiava.”

“Lisa è tua moglie?”

“È la madre dei miei figli”, disse Neil con ironica precisione.

“Non siete sposati?”

“Lo eravamo. In effetti, tecnicamente lo siamo ancora. Ma lei è a Chicago con i bambini mentre io… be’, io sono qui. Avrebbero dovuto raggiungermi quando mi fossi sistemato, ma questo non succederà mai. Lei ha un altro adesso, e i bambini sono felici. Almeno stando a quello che mi racconta lei.”

“Mi dispiace.”

“Già”, disse Neil, sospirando. “Immagino che succeda di continuo, ma è dura quando vuoi far funzionare qualcosa e non ci riesci.” Si fissò gli stivali macchiati di vernice, come imbarazzato da quella confessione.

“Conoscevo Lisa?” domandò Rachel.

“Oh sì, la conoscevi”, rispose lui, continuando a studiarsi gli stivali. “Si chiamava Froman, Lisa Angela Froman. Ha la stessa età di tua sorella. Anzi, credo che siano state a scuola insieme per circa un anno.”

“Mi ricordo di lei”, disse Rachel, ripensando a una ragazza bionda, carina, con gli occhiali, di circa sedici anni. “Era molto tranquilla.”

“E lo è ancora. È molto intelligente e i bambini hanno preso da lei per fortuna, perché io non sono esattamente l’uomo più brillante che si possa immaginare.”

“Ti mancano?”

“Follemente. Tutto il tempo. Tutto il tempo.” Lo disse come se faticasse ancora a crederci. “Insomma, si pensa che dopo un po’ le cose diventino più facili ma…” scosse la testa “… Vuoi una birra o qualcos’altro?” Fece una risatina triste. “Ho uno spinello.”

“Fumi ancora?”

“Non come una volta. Ma sai, quando le cose diventano troppo noiose, mi piace rilassarmi. Riesco a non pensare troppo ai miei problemi. Ecco, possono spezzarti il cuore…”

Si spostarono in fondo al cortile. Là, su insistenza di Neil, scavalcarono il muretto e raggiunsero una striscia di terra che era stata usata come cimitero di automobili, tra le quali spiccava ancora un vecchio scuolabus. Era tutto piacevolmente furtivo, e Rachel era su di giri quando aspirò una boccata dallo spinello di Neil.

Ah, adesso va meglio”, disse Neil. “Avrei dovuto farmene uno prima di venire al barbecue. Non mi piacciono più queste riunioni.” Aspirò una terza boccata prima di passarlo di nuovo a Rachel. “Non mi piacciono affatto. Finirò come mio padre. Ti ricordi di mio padre?”

“Everrett.”

“Esatto.”

“Certo che mi ricordo di lui”, disse Rachel con una risatina.

“Everrett Hancock Wilkens.”

“Hancock?”

“Ehi, non scherzarci sopra. Hancock è anche il mio secondo nome.”

Rachel ripeté quel nome, pronta a scoppiare a ridere. D’improvviso quelle semplici sillabe le sembravano la cosa più divertente del mondo. “C’è qualcuno che ti chiama mai Hancock?” Ridacchiò.

“Solo mia madre”, rispose lui, scoppiando a ridere a sua volta. “Quando ero piccolo sapevo di essere nei guai quando sentivo che mi gridava.”

Gridarono insieme — “Hancock!” — poi in perfetta sintonia si voltarono a lanciare un’occhiata colpevole in direzione del cortile. Diverse teste si girarono verso di loro.

“Ci stiamo rendendo ridicoli”, borbottò Rachel cercando di soffocare un’altra risata.

“È la storia della mia vita”, considerò Neil. Nonostante i suoi modi allegri, c’era qualcosa di sofferto in quella frase. “Ma ormai non m’importa più.”

Con grande fatica, Rachel assunse un’espressione seria. “Mi dispiace per come ti sono andate le cose”, disse. Poi perse completamente il contegno e cominciò a ridere a squarciagola.

“Cosa c’è di tanto buffo?” volle sapere Neil.

“Hancock”, ripeté Rachel. “È un nome così sciocco.” Si asciugò le lacrime dagli occhi. “Oddio, scusami. Stavi dicendo…”

“Non ha importanza”, la interruppe Neil. “Non era niente di importante.” Stava ancora sogghignando, ma c’era anche qualcos’altro nel suo sguardo.