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“Oh, parlerà della famiglia. Ma parlerà anche dei Geary.”

Lei è rimasta in silenzio e ha guardato fuori dalla finestra, il punto della terrazza dove di solito mi fermo per dare da mangiare agli uccelli. Ci è voluto almeno un intero minuto perché riuscisse a parlare di nuovo. “Se parlerai dei Geary, allora non voglio avere niente a che fare con quel fottuto libro.”

“Come posso scrivere…”

“Né con te.”

Lasciami finire, vuoi? Come posso scrivere di questa famiglia — in particolare della storia recente di questa famiglia — e non scrivere dei Geary?”

“Sono feccia, Eddie. Feccia umana. E sono pericolosi. Tutti fino all’ultimo.”

“Non è vero, Marietta. E se anche fosse, ti ripeto: che razza di cronaca censurata sarebbe questo dannato libro se decidessi di escluderli?”

“D’accordo. Ti concedo qualche breve accenno.”

“Fanno parte della nostra vita.”

“Non fanno parte della mia”, ha replicato lei con rabbia. Il suo sguardo si è posato di nuovo su di me, e mi sono accorto che più che infuriata era addolorata. Ai suoi occhi, il mio desiderio di raccontare la storia in questo modo mi aveva reso senz’altro un traditore. Prima di parlare di nuovo, ha scelto le parole con grande cura, come un avvocato prima della sua arringa conclusiva.

“Ti rendi conto, vero, che questo potrebbe essere il solo modo per far sapere alla gente qualcosa della nostra famiglia?”

“A maggior ragione.”

“No, adesso lasciami finire tu”, ha sbottato lei. “Quando sono venuta qui a proporti di scrivere questo fottuto libro, l’ho fatto perché avevo la sensazione — e ce l’ho ancora - che non ci resti molto tempo. E il mio istinto sbaglia raramente.”

“Capisco”, ho sussurrato. Marietta ha delle doti profetiche, senza dubbio. Le ha ereditate da sua madre.

“Forse è per questo che Cesaria sembra così malconcia in questo periodo”, ha detto Marietta.

“Credi che senta quello che senti tu?”

Lei ha annuito. “Povera stronza”, ha detto dolcemente. “E questa è un’altra cosa di cui dobbiamo tenere conto. Cesaria. Lei odia i Geary ancora più di me. Le hanno portato via il suo amato Galilee.”

Ho fatto una smorfia nel sentire quell’assurdità. “Questo è uno dei miti sentimentali che ho intenzione di demolire, fin dall’inizio”, ho detto.

“Quindi tu non credi che ci sia stato portato via?”

“Assolutamente no. So cosa è successo la notte in cui se n’è andato, lo so meglio di chiunque altro al mondo. E ho intenzione di raccontare quello che so.”

“Naturalmente, anche se potrebbe non importare a nessuno”, ha osservato Marietta.

“Almeno, avrò raccontato le cose come stanno. Non è questo quello che volevi?”

“Non so che cosa diavolo mi è saltato in mente”, ha replicato lei. Il suo disgusto per ciò che avevo proposto era di nuovo evidente. “Comincio a rimpiangere di averti dato questa idea.”

“Be’, adesso è troppo tardi. L’ho già iniziato.”

“Sul serio?”

Questo non era completamente vero. Non avevo ancora cominciato a mettere gli eventi nero su bianco. Ma sapevo da dove sarei partito: dalla casa, da Cesaria e da Thomas Jefferson. Era come se il lavoro fosse già iniziato.

“Be’, non voglio farti perdere tempo”, ha concluso Marietta, dirigendosi verso la porta. “Ma non ti garantisco che avrai il mio aiuto.”

“Benissimo. Non ne ho bisogno.”

“Adesso no, ma presto ne avrai. Eccome. Ci sono molte informazioni di cui sono in possesso e di cui tu avrai bisogno. Allora vedremo quale sarà il prezzo della tua integrità.”

Detto questo, mi ha lasciato al mio gin. Il significato della sua ultima affermazione era più che evidente: aveva intenzione di propormi un baratto. Il taglio di una parte del mio libro che non avrebbe approvato in cambio di qualche informazione di cui avrei avuto necessità. Comunque, ero ben deciso a non permetterle di togliere una sola parola dal mio lavoro. Ciò che le avevo appena detto era vero. Non c’è modo di raccontare la storia dei Barbarossa senza raccontare quella dei Geary, e quindi anche la storia di Rachel Pallenberg, un nome che non mi aspetto di sentire mai pronunciare dalle labbra di Marietta. Non avevo nominato Rachel di proposito perché ero certo che, non appena lo avessi fatto, Marietta avrebbe cominciato a urlarmi elaborate oscenità. Inutile specificare che ho intenzione di dedicare una parte consistente di questa storia ai vizi e alle virtù di Rachel Pallenberg.

In ogni caso, questo libro sarà in qualche modo impoverito se non otterrò l’aiuto di Marietta; perciò ho intenzione di essere molto selettivo nell’esporle ciò che sto per fare. Marietta verrà a trovarmi; se non altro perché è un’egocentrica e il pensiero che le sue idee non compaiano nel libro sarà ancora più doloroso per lei del fatto che io intenda parlare dei Geary. D’altra parte, sa bene che ci sono molte questioni su cui dovrò fidarmi del mio istinto, fatti che non possono essere verificati con precisione. Faccende che riguardano lo spirito, la camera da letto, la tomba. Questi sono elementi fondamentali. Il resto sono soltanto geografia e date.

3

Più tardi quel giorno, ho visto Marietta che accompagnava fuori di casa la donna della quale l’avevo sentita parlare con Zabrina. Era, come quasi tutte le amanti di Marietta, bionda, minuta e probabilmente non aveva più di vent’anni. Dai vestiti, ho immaginato che fosse una turista, forse un’autostoppista, non una donna del posto.

Zabrina chiaramente aveva fatto ciò che Marietta le aveva chiesto e aveva liberato la povera ragazza dal panico (e da qualunque ricordo dell’esperienza che aveva indotto quel panico). Le ho osservate dalla terrazza con il mio binocolo. L’espressione vacua sul volto della ragazza mi ha disturbato. Quello era davvero l’unico modo con cui gli esseri umani potevano affrontare il miracoloso: con un panico che sfociava nella pazzia; o, se erano fortunati, con una pietosa asportazione della loro memoria che li lasciava, come in questo caso, calmi ma impoveriti? Che misera scelta avevano. (Quel pensiero mi ha subito riportato al libro. Era forse un’ambizione troppo grande la speranza di poter in qualche modo preparare, in queste pagine, il terreno per simili rivelazioni, così che al momento opportuno la mente umana non andasse in frantumi come uno specchio troppo fragile per riflettere tali meraviglie?) Provavo una sorta di tristezza per quell’ospite che era stata ripulita, per il suo bene, dall’esperienza che avrebbe potuto rendere la sua vita degna di essere vissuta. Che cosa sarebbe stata d’ora in avanti? Era possibile che Zabrina avesse lasciato nel suo profondo un seme del ricordo che, come una particella irritante nella carne di un’ostrica, col tempo avrebbe potuto diventare qualcosa di raro e bellissimo? Un giorno o l’altro, glielo avrei chiesto.

Nel frattempo, nascosta tra gli alberi, Marietta si era fermata con la sua compagna e le stava dando un addio ben più che affettuoso. Dal momento che ho promesso di raccontare la verità, per quanto sgradevole, non posso esimermi dal descrivere ciò che ho visto: mentre guardavo, Marietta ha scoperto i seni della ragazza; mentre guardavo, le ha stuzzicato i capezzoli e baciato le labbra e poi, mentre guardavo, ha sussurrato qualcosa, e la giovane si è inginocchiata, ha sbottonato i pantaloni di Marietta, glieli ha abbassati e ha infilato la lingua dentro di lei, muovendola così abilmente che persino dalla terrazza ho sentito chiaramente i gemiti di Marietta. Dio sa se sono grato per ogni piacere che mi viene concesso, e non intendo fingere di aver provato vergogna nel guardarle fare l’amore. È stato magnifico guardarle e, quando hanno finito e Marietta ha scortato la ragazza sul sentiero che si snoda dall’Enfant e conduce al mondo reale, ho sentito — benché possa sembrare assurdo — una fitta di solitudine.