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Quattro

Anche se Marietta aveva deriso la mia convinzione che la casa sia una sorta di congegno acustico che porta notizie da tutte le stanze alle orecchie di un’anima in particolare, quella notte ho avuto la conferma del mio sospetto.

Non ho mai dormito bene e non dormirò mai bene. Non importa quanto io sia stanco, appena appoggio la testa sul cuscino pensieri di ogni genere, la maggior parte dei quali del tutto insignificanti, prendono ad aggirarmisi per la mente. E così è stato l’altra notte; frammenti della mia conversazione con Marietta, rimescolati al punto da non avere più alcun senso e scanditi dai suoi gemiti di piacere, formavano la colonna sonora. Ma le immagini erano di tutt’altro genere. Nell’occhio della mia mente, non apparivano né il volto né il corpo di Marietta; piuttosto, i volti, e i corpi di uomini e donne che non riconoscevo nemmeno. No, devo correggermi, li riconoscevo; semplicemente, non riuscivo a ricordare i loro nomi. Alcuni sembravano grottescamente felici; certi camminavano nudi per le strade di una città che penso fosse Charleston, sfrecciando lungo i marciapiedi e defecando dai castagni. Ma ce n’erano altri, molto meno felici: un momento prima erano fratelli e sorelle della concubina di Marietta dal volto inespressivo, un momento dopo strillavano come animali torturati — come se fossero stati privati del bene dell’oblio, e stessero ricordando qualcosa di intollerabile. So che ci sono psicanalisti che teorizzano che ogni creatura che appare in un sogno o in un sogno a occhi aperti sia un aspetto della personalità di chi sogna. Se questo fosse vero, dovrei supporre che le bestie nude delle strade di Charleston siano la parte di me che rispecchia mio padre e che le altre anime terrorizzate che singhiozzavano follemente siano la parte umana ereditata da mia madre. Ma ho il sospetto che questo sia uno schema troppo semplice. In cerca di un sentiero, il teorico ignora tutto ciò che è confuso e contraddittorio finendo per arrivare a una graziosa bugia. Io non sono due in uno; io sono molti di più. Una parte di me possiede la compassione di mia madre e la passione di mio padre per la carne cruda. Un’altra ha l’amore di mia madre per le storie di omicidi e il debole di mio padre per i girasoli. Chi può dire quante ce ne sono? Troppe perché possano essere contenute da qualsiasi dogma, ne sono certo.

Il fatto è che quei sogni mi hanno lasciato terribilmente sconvolto. Mi sono svegliato di colpo, prossimo alle lacrime, cosa davvero rara per me.

E poi, nell’oscurità, ho sentito un suono di passi strascicati e un ticchettio sul pavimento di legno e, abbassando lo sguardo verso la fonte del rumore, in una losanga di luce lunare, ho visto una sagoma appuntita che avanzava verso il mio letto. Era un porcospino. Non mi sono mosso. Ho semplicemente lasciato che la creatura venisse da me (il mio braccio penzolava dal letto, la mano che sfiorava il pavimento) e che mi appoggiasse il naso umido contro le dita.

“Sei venuto fin qui tutto da solo?” gli ho chiesto dolcemente. A volte lo fanno, soprattutto i più giovani, i più avventurosi; scendono le scale nella speranza di trovare qualche bocconcino appetitoso. Ma appena posta la domanda, ho avuto la mia risposta, dato che il mio corpo ha reagito all’ingresso nella stanza della signora dei porcospini, Cesaria. Vedete, la mia pietosa anatomia, ferita al punto che non ha più alcuna speranza di guarigione, si stava rianimando. Era incredibile. Capitava molto di rado che mi trovassi al cospetto della moglie di mio padre, ma le mie esperienze passate mi avevano insegnato che l’effetto di quella visita sarebbe durato per giorni interi. Se anche se ne fosse andata subito, avrei sentito spasmi nelle mie estremità inferiori per una settimana o più, anche se i muscoli delle mie gambe erano atrofizzati. E il mio pene, che da troppo tempo era solo uno strumento con cui orinare, si sarebbe alzato come quello di un adolescente e avrebbe preteso di essere munto anche due volte ogni ora. Dio, ho pensato, c’era da meravigliarsi al pensiero che quella donna fosse stata venerata? Probabilmente potrebbe resuscitare i morti se solo lo volesse.

“Vieni via, Tansy”, ha detto al porcospino.

Tansy ha ignorato gli ordini, e ammetto che la cosa mi ha divertito. Si poteva disobbedire persino a lei.

“Non mi disturba”, ho detto.

“Ma fa’ attenzione. Gli aculei.”

“Lo so.” Ho ancora le cicatrici che mi aveva lasciato uno dei suoi porcellini spinosi, come preferisce chiamarli lei. E penso che il fatto di vedermi sanguinare l’avesse scossa: i suoi occhi come notte liquida nel suo volto di ossidiana; la sua sensibilità nei miei confronti in qualche modo terrificante probabilmente perché avevo temuto il suo tocco, la sua energia curativa. Avevo temuto che mi trasformasse, che facesse di me un suo devoto per sempre. Così eravamo rimasti fermi, entrambi immobili, entrambi turbati da qualcosa di essenziale che l’altro possedeva (il suo potere, il mio sangue) mentre il porcellino spinoso si era seduto sul pavimento tra noi e aveva preso a grattarsi.

“Questo libro…” ha iniziato Cesaria.

“Marietta te ne ha parlato?” ho domandato.

“Non ho bisogno che qualcuno me ne parli, Maddox.”

“No. Naturalmente no.”

E la sua affermazione successiva mi ha lasciato profondamente sorpreso. Ma naturalmente non sarebbe quella che è — non potrebbe generare le leggende che genera — se non fosse una continua sorpresa.

“Devi scriverlo senza paura”, ha detto. “Scrivi con la testa e con il cuore e non curarti delle conseguenze.”

Non l’avevo mai sentita parlare con tanta dolcezza. Non in tono debole, ma con una tenerezza che avevo sempre pensato che non potesse provare per me. Per la verità, non pensavo che potesse provarla per nessuno.

“Quindi la faccenda dei Geary?”

“Deve esserci tutto. Fino all’ultimo dettaglio. Non risparmiare nessuno di loro. E non risparmiare nessuno di noi. Tutti abbiamo ceduto ai compromessi nell’arco degli anni. Abbiamo trattato con il nemico invece di fermargli il cuore.”

“Tu odii i Geary?”

“Dovrei dire di no. Sono solo umani. Niente di più. Ma, sì, li odio. Se non esistessero, avrei ancora un marito e un figlio.”

“Galilee non è morto.”

“Lo è per me”, ha replicato lei. “È morto nell’istante in cui si è schierato con loro contro tuo padre.” Ha schioccato leggermente le dita e il porcospino si è voltato e si è avviato verso di lei. Per tutta la conversazione l’avevo solo intravista, ma in quel momento, mentre il porcospino le si avvicinava, si è chinata per prenderlo tra le braccia e la luce lunare, riflessa dalle assi del pavimento, per un attimo me l’ha mostrata chiaramente. Non era, come mi aveva detto Marietta, fragile o indebolita; tutt’altro. Ai miei occhi appariva come una donna giovane, prodigiosamente dotata dalla natura: la sua bellezza cruda e raffinata allo stesso tempo, i lineamenti del volto così forti da farla sembrare quasi un idolo vivente, scolpito nella luce argentea in cui si trovava. Ho detto che era bellissima? Ho sbagliato. Quella di bellezza è una nozione troppo banale; evoca solo volti che compaiono su riviste. Un’eloquenza amorevole, una simmetria rassicurante; niente di tutto questo può descrivere il suo viso. Quindi forse dovrei accettare il semplice fatto che non posso renderle giustizia con le parole. Vi basti sapere che vi si spezzerebbe il cuore nel vederla; e che, allo stesso tempo, ciò che è spezzato dentro di voi verrebbe guarito; e sareste due volte quello che siete stati prima di quell’istante.

Con il porcospino tra le braccia, si è incamminata verso la porta. Ma, una volta sulla soglia, si è fermata (ho solo udito tutto questo; era di nuovo invisibile per me).