Ben Bova
Giove chiama Terra
1
…Quando riceveremo il messaggio… sarà inequivocabile.
Il professor Ramsey McDermott si appoggiò all’indietro sulla vecchia poltrona in pelle e guardò pigramente fuori dalla finestra dell’ufficio. Il cortile era rimasto sempre identico dal primo giorno che l’aveva visto, quasi mezzo secolo prima. Alberi con i colori vivaci dell’autunno, studenti che si affrettavano sui sentieri di cemento o gironzolavano sull’erba a gruppi di due o tre, immersi in conversazioni animate.
Un colpo smorzato alla porta lo scosse da quei piacevoli pensieri. “È lei” pensò.
Col tono più burbero possibile, disse: «Avanti!»
Jo Camerata entrò nel piccolo ufficio dall’aria vecchiotta. “Non mi ero accorto che fosse tanto attraente” si disse McDermott. Logico che se la stesse passando liscia.
Jo era alta, coi capelli scuri, lucidi, e la figura piena di una bellezza mediterranea. Indossava jeans e maglione, l’inevitabile abbigliamento da studentessa, ma vedendoli addosso a lei McDermott si sentì infiammare il sangue. Gli occhi della ragazza erano grandi e neri come la mezzanotte, però inquieti, incerti, come quelli di un animale in trappola.
McDermott sorrise fra sé.
«Posi i libri e si sieda» ordinò. “Okay, adesso sarà convinta che l’aspetta un interrogatorio lungo e spiacevole.”
Jo si accomodò sulla sedia davanti alla scrivania e strinse i libri che aveva posato sul grembo, come se potessero difenderla. Guardando la ragazza, così giovane, così deliziosa, McDermott si accorse che l’ufficio era grigio di polvere, invaso da pile di vecchie riviste e cumuli di libri, contaminato dal tanfo di decenni di fumo di pipa.
Si protese leggermente in avanti sulla poltrona. «Sento che ultimamente è diventata una sconosciuta per i suoi compagni di corso.»
Lei spalancò gli occhi. «Il dottor Thompson ha detto che non c’era problema…»
«Oh, davvero?»
«Gli ho dato una mano all’osservatorio… coi nuovi segnali che hanno captato.»
«E ha saltato tutte le lezioni» brontolò McDermott.
«Non posso trovarmi in due posti contemporaneamente» gemette lei. «Il dottor Thompson “mi ha chiesto” di aiutarlo.»
«Ne sono certo.» McDermott prese una pipa dal portapipe, ci giocherellò, osservò divertito come gli occhi spaventati di Jo seguissero ogni movimento delle sue mani.
«E ha aiutato anche il dottor Stoner, vero?»
«Il dottor Stoner?» La ragazza distolse gli occhi, guardò verso la finestra. «No… non esattamente. Lavoro per il dottor Thompson.»
McDermott avvertì un’ondata di calore fissando il maglione che le aderiva al seno, vedendo l’espressione disperata dei suoi occhi.
«Lei ha battuto a macchina per Stoner. Non cerchi di negarlo.»
«Oh… sì, è vero.»
«E cos’ha battuto? Cos’ha scritto?»
«Non so. L’ho solo battuto, non l’ho letto. Insomma, non ci sono stata attenta.»
Agitando la pipa in direzione di Jo: «Niente giochetti con me, ragazza. Guardi che sto per sbatterla fuori da questa università. Cosa le ha fatto battere Stoner?»
«È… è un articolo. Un articolo scientifico. Vuole pubblicarlo su una rivista.»
«Quale rivista?»
«Non lo so. Non me l’ha detto.»
McDermott si appoggiò all’indietro, e la vecchia poltrona in pelle scricchiolò sotto il peso. «Un articolo sui segnali radio?»
Lei annuì.
«E sull’oggetto che ha scoperto?»
«L’articolo parlava anche di quello, sì.»
Per un lungo momento, McDermott non disse nulla. Restò seduto, spogliando Jo con gli occhi. Divertito all’idea che lei, ovviamente, capisse ciò che stava pensando lui, ma che non potesse farci niente.
Alla fine, chiese: «E che altro ha fatto per Stoner?»
«Niente!»
«Niente? Sul serio?»
«No…»
McDermott piegò il viso nella sua smorfia più minacciosa e ringhiò: «Non ha chiesto a una segretaria di questa facoltà di prenotare un hotel di Washington?»
Jo scosse la testa. «Era solo per il dottor Stoner. Solo per lui. Non per me.»
«Allora “ha” fatto qualcos’altro per Stoner, no?»
«Pensavo che parlasse di battere a macchina… Spedirgli la corrispondenza…»
«E questo viaggio a Washington?»
«Non capisco cos’abbia a che fare con la mia posizione di studentessa, professore.»
Lui esplose: «Lei non deve capire, signorina Camerata. Deve semplicemente capire che io posso sbatterla fuori a calci su quel suo grazioso sedere, se non risponderà alle mie domande in modo completo e onesto. E a giugno, anziché prendere la laurea, farà la cameriera in uno schifoso ristorante.» Esitò, si appoggiò indietro, con un sorriso. «O forse farà la ballerina in un locale topless. Le riuscirà senz’altro meglio.»
Lei gli lanciò un’occhiata omicida, ma rispose freddamente: «Il dottor Stoner andrà a Washington domenica sera. Ha un appuntamento col suo ex superiore per lunedì mattina, alla NASA. Vuole portargli l’articolo sulla sua nuova scoperta.»
«Oh, davvero?» borbottò McDermott. Esattamente quello che temeva: Stoner stava cercando di fregarlo sul traguardo. Brutto bastardo ingrato. «Be’, questo lo vedremo!»
Tese la mano verso il telefono, alzò il ricevitore. «Lei può andare» disse a Jo.
Lei strizzò gli occhi, sorpresa. «Sono ancora… Non mi butta fuori?»
«Dovrei» mugugnò lui. «Ma finché Thompson starà dalla sua parte, non interverrò. Sempre che passi l’esame di laurea.»
Lei annuì e si alzò in fretta. Mentre Jo s’incamminava verso la porta, McDermott aggiunse: «Però stia lontana da quello Stoner.»
«Sì, signore» disse lei, obbediente.
Non appena la porta si chiuse alle spalle della ragazza, McDermott cominciò a formare il numero speciale di Washington che aveva scritto su un biglietto appiccicato sotto il ricevitore.
2
Jo andò direttamente all’osservatorio. S’avviò in auto fra le vie strette e congestionate di traffico di Cambridge, superò il Lexington’s Battle Green, il ponte di Concord e, tra le valli coltivate a meli e le colline ricche delle variopinte foglie autunnali, continuava a ripetersi: “Quel vecchio porco farà del male al dottor Stoner. Devo avvertirlo. Devo avvertirlo subito”.
Ma Stoner non era in ufficio quando Jo arrivò all’osservatorio. Il minuscolo cubicolo al secondo piano dell’edificio era in perfetto ordine, come un’equazione ben impostata, ma lui non c’era.
Jo vide un mazzo di fotografie disposte con cura al centro della scrivania di Stoner, per il resto vuota. Erano girate all’ingiù, e sul retro della fotografia più in alto era stampigliato, in azzurro: PROPRIETÀ DELLA NATIONAL AERONAUTICAL AND SPACE AGENCY — VIETATA LA DIFFUSIONE SENZA IL CONSENSO SCRITTO UFFICIALE.
Guardò le foto a una a una. La carta su cui erano stampate era spessa, pesante, molto costosa. Le fotografie mostravano una sfera grossa, schiacciata, solcata da strisce dai colori accesi: rosso, giallo, ocra, bianco. Nel quadrante inferiore della sfera spiccava un ovale oblungo color rosso mattone.
Il pianeta Giove.
Jo passò in rassegna tutt’e ventiquattro le foto: tutte di Giove. In alcune, si vedevano due o tre delle lune del gigantesco pianeta; puntini minuscoli, a paragone della massa immensa di Giove.
Guardò l’orologio: non ce l’avrebbe fatta a tornare in tempo per la prima lezione del pomeriggio. Con una smorfia di rassegnazione, andò alla finestra e scostò le tendine quel tanto da vedere fuori.