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Il party si teneva nel vecchio Sheraton-Park Hotel, che cercava disperatamente di mantenere viva la sua tradizione d’eleganza. Le dorature alle pareti della sala delle cerimonie erano smangiate, i vecchi tendaggi pieni di polvere e logori. Però correva voce che Wilson avesse organizzato il party da sé, strappando all’hotel un prezzo bassissimo. La signora che in teoria offriva il party si era limitata a fare da paravento all’evangelista urbano.

Per la serata, il posto di combattimento di Tuttle era un angolo della sala delle cerimonie, dov’era tutto preso a chiacchierare con la moglie del suo ammiraglio.

«Questi partie sono una tale noia, non credete?» muggì la signora ammiraglio O’Kelly. Nella destra satura d’anelli stringeva un bicchiere colmo di bourbon con ghiaccio, e con la sinistra si carezzava la collana di perle artificiali.

Tuttle annuì. Era in uniforme, e si sentiva un po’ ridicolo e idiota accanto alla vecchia matrona dai capelli a sfumature bluastre raccolti a crocchia su un viso rugoso, cadente. Ma l’ordine dell’ammiraglio era stato perentorio: «A parlare ci penso io. Voi rifornite di drink mia moglie, però non lasciatela ubriacare.»

Compito non facile, pensò Tuttle.

La grande sala era piena solo a metà di ospiti in smoking e abiti da sera. Willie Wilson era l’uomo “in” della Washington bene, ma lo Sheraton-Park non era più un hotel in.

Comunque, il frastuono generale stava arrivando al punto da costringere a urlare per farsi udire dalla persona vicina. Il che non rappresentava un problema per la moglie dell’ammiraglio: la signora aveva la voce di un sottufficiale istruttore della marina.

«E poi, chi è questo Wilson?» ruggì la matrona, protendendosi leggermente verso Tuttle per potergli urlare direttamente all’orecchio. «Un predicatore, no?»

«Sì, signora» rispose Tuttle, scosso. «Lo definiscono l’evangelista urbano. La sua missione è arrivare alla gente delle zone sottosviluppate della città… I poveri, gli sfruttati.»

«L’ho visto in televisione l’altra settimana. È belloccio, quel mascalzone.»

Dall’altra parte della stanza, l’ammiraglio O’Kelly era impegnato in una conversazione con uno dei consiglieri speciali del presidente.

«I miei uomini al dipartimento di Giustizia hanno saputo qualcosa di strano» disse il giovanotto della Casa Bianca. Aveva un’aria molto seria e indossava un vestito beige con camicia verde chiaro, aperta. «Voialtri ne avete per caso combinata una grossa nel New England?»

L’ammiraglio O’Kelly inarcò le sue imponenti sopracciglia. «Perbacco, di cosa stai parlando, ragazzo?»

Il viso del consigliere speciale s’irrigidì in una furia repressa. «Niente giochetti con me, ammiraglio. E non c’è bisogno che io abbia cent’anni per capire che lì sta succedendo qualcosa di enorme.»

«Sarebbe utile» disse O’Kelly, abbassando la voce e rendendola dura come l’acciaio «che tu mi spiegassi a cosa stai alludendo.»

«Al rapimento di uno scienziato della NASA, ecco a cosa alludo! Le dice niente?»

L’ammiraglio sorrise. Il suo viso era una ragnatela di cuoio e rughe. «Temo proprio di no. Sicuro di non confondere i miei ragazzi con la CIA?»

«Non ci è arrivata nessuna lamentela ufficiale» ammise l’uomo della Casa Bianca «per cui siete a posto… Per ora. Ma fossi in lei…»

«Mettiamola così, figliolo.» O’Kelly appoggiò la mano massiccia sulla spalla del giovanotto. «Fossi io in te, farei attenzione alla cartelletta delle comunicazioni in arrivo. Sono dieci giorni che tento di attirare la tua attenzione.»

«Davvero?»

«Se cerchi per bene tra i messaggi in arrivo, ne troverai tre miei. L’ultimo è classificato Urgente e Top Secret. E ha la data di tre giorni fa. Ero sicuro che almeno quello l’avessi visto.»

Il consigliere speciale fece una smorfia. «Avrei dovuto vederlo…»

«Immagino ti arrivino tante comunicazioni Urgenti e Top Secret che non faranno altro che accumularsi sulla tua scrivania» disse l’ammiraglio, imperturbabile.

«Già. Be’, okay… Vediamoci, allora. Domani. Le telefono domattina appena in ufficio.»

L’ammiraglio annuì allegramente. «Bene. Credo che troverai molto interessante quello che ho da dirti. Abbastanza importante da sottoporlo all’attenzione del presidente… Senza ulteriori ritardi.»

Il giovanotto della Casa Bianca annuì. L’ammiraglio O’Kelly gli girò la schiena e lasciò che le correnti naturali del party li trascinassero in direzioni opposte.

“Bersaglio centrato” si disse O’Kelly. “Adesso mi resta il secondo.”

Lanciò un’occhiata nella sala rumorosissima e vide che Tuttle, implacabile e fedele come un mastino, stava ancora facendo la guardia a sua moglie. Alma non sembrava troppo sbronza. C’era tempo per trovare il Bersaglio Numero Due.

Eccolo lì, che scivolava verso il bar come un assicuratore sorridente e ben oliato. O’Kelly si diresse al bar.

Todd Nickerson aveva il naso grosso e rosso dell’ubriacone. I suoi occhi erano sempre appannati, anche alle riunioni di comitato più importanti e durante le votazioni più vitali alla Camera dei Rappresentanti. Ai partie urlava, rideva, spesso si comportava in modo indecente.

Però Nickerson era l’uomo chiave del sottocomitato della Camera che ogni anno esaminava il budget dell’SRM. Non il presidente del sottocomitato. Il presidente era un vecchio cavallo di razza del partito, originario del Missouri; i suoi unici veri interessi erano rubare soldi, e le nere formose.

Per quanto fosse quasi sempre ubriaco, Nickerson era la vera potenza del sottocomitato. E O’Kelly doveva essere sicuro che il sottocomitato non gli saltasse addosso, una volta fatto partire il piano di Tuttle. L’ammiraglio si fece strada a forza di gomiti tra la folla, inseguendo Nickerson come un sottomarino in caccia di una petroliera.

Quando cominciarono a parlare in mezzo al party, formavano una strana coppia. O’Kelly, tutto d’acciaio inossidabile con le sue sopracciglia folte e gli occhi penetranti, con l’uniforme immacolata e stirata talmente alla perfezione che la piega dei pantaloni avrebbe potuto tagliare il vetro; Nickerson, ondeggiante e con lo sguardo appannato, alto e magro, un relitto d’alcolizzato che si chinava per sentire cosa avesse da dirgli il robusto ammiraglio.

«L’Osservatorio Nazionale di Radioastronomia?» urlò l’onorevole. «Di che porcata state parlando?»

La gente si girò a guardare, vide che era Nickerson, e tornò con discrezione a immergersi nelle conversazioni.

O’Kelly, che si sentiva grattare la pelle dal colletto dell’uniforme, prese l’altro per il braccio. «Andiamo, non se la prenda con me, onorevole. È importante. Importantissimo. Non sono nemmeno certo che sia possibile presentare la questione al sottocomitato. Ho paura di fughe di notizie.»

Nickerson mise a fuoco lo sguardo sull’ammiraglio con sforzo evidente. «Arecibo?» chiese, a voce più bassa. «È questo che vuole? Ha idea di cosa scriverebbero i giornali se la marina assumesse il comando di un centro di ricerca civile?»

«Noi finanziamo già l’osservatorio in misura notevole» gli ricordò O’Kelly. «Ci serve solo a tempo pieno per un breve periodo.»

Nickerson agitò il bicchiere per aria, e miracolosamente riuscì a non versare una goccia e a non colpire nessuna delle persone che aveva attorno.

«E cosa farà la Fondazione Scientifica Nazionale?» chiese, con un sorriso storto. «Correranno dai giornali, ecco cosa faranno. Si metteranno a urlare che la marina li ha sbattuti fuori dal radiotelescopio più grande del mondo.»

«È per questo che ci occorre il suo appoggio, onorevole. L’operazione va condotta nel massimo segreto.»

«Segreto un corno! I media vi stracceranno, faranno sembrare il Golgota una recita da ragazzini. Crocifiggeranno la marina in generale e voi in particolare. È pronto a pendere da una croce? In pubblico?»