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D’improvviso, parve che O’Kelly fosse sul ponte di un cacciatorpediniere lanciato all’attacco contro il nemico. «Se sarà necessario» rispose senza esitare.

Nickerson batté le palpebre, poi restò a fissarlo a bocca spalancata. Attorno a loro si muoveva il party: risate roche, voci stridule, i colori vivaci degli abiti delle donne, i vestiti seri degli uomini.

«Fa sul serio» disse alla fine Nickerson.

«Può scommetterci.»

Gli occhi di Nickerson persero ogni appannamento. L’onorevole era perfettamente sobrio e attento. «Forse sarà meglio che me ne parli. In dettaglio.»

L’ammiraglio scosse la testa. «Non qui.»

«Fuori, allora» disse Nickerson. «Dubito che ci siano microfoni spia.»

Quando l’ammiraglio tornò a reclamare sua moglie, la folla si era notevolmente sfoltita. La sala si stava vuotando e il rumore era sceso a livello di conversazioni smorzate.

«È ora che ce ne andiamo, cara» disse l’ammiraglio O’Kelly alla moglie, prendendole il bicchiere di mano e appoggiandolo sul tavolo che aveva accanto.

«Un party noioso» disse lei con voce un po’ impastata.

«Mi spiace moltissimo, tesoro, ma era importante che venissimo.» Girandosi verso Tuttle: «Sono riuscito a combinare un paio di cose che altrimenti avrebbero richiesto settimane. Mesi, forse.»

Tuttle scoppiava di felicità.

«Non dovresti costringermi a frequentare partie noiosi» disse la moglie dell’ammiraglio, mentre il marito la prendeva per mano. «Non sono nemmeno riuscita a conoscere l’ospite d’onore.»

«Un’altra volta, cara. Un’altra volta. Tuttle» si girò a dire O’Kelly «grazie per essersi preso tanta cura della signora.»

«È stato un piacere, signore.»

«Ci vediamo domattina alle otto e trenta in ufficio» si congedò l’ammiraglio.

«Sì, signore!» Tuttle sapeva cosa significava il tono dell’ammiraglio: missione compiuta.

Era al settimo cielo. Aveva convinto l’ammiraglio ad appoggiare il suo piano, e l’ammiraglio aveva convinto la Casa Bianca e l’onorevole Nickerson. Aveva vinto. Il progetto, al di là di ogni dubbio, stava per partire.

Eccitatissimo, si mise a scrutare la gente che usciva e vide Willie Wilson. L’evangelista urbano stringeva mani, porgeva i suoi saluti alle persone che se ne andavano. Strinse la mano dell’ammiraglio, poi quella della signora O’Kelly. La matrona gli scoccò un sorriso da ragazzina.

«Grazie davvero, ammiraglio. I poveri di questa città apprezzeranno il suo aiuto e la sua comprensione.» Wilson si girò verso la coppia successiva della fila che si era formata, mentre un aiutante gli sussurrava qualcosa all’orecchio. «Dio la benedica, senatore. Spero che l’anno prossimo vinca col massimo dei voti… Grazie di essere venuto… È stato un piacere conoscerla…»

Tuttle si tenne ai margini della folla che scemava. Scoppiava dalla voglia di raccontare a qualcuno la buona notizia. Che era Top Secret, ovviamente; ma il vicecomandante non poteva tenere dentro tanta eccitazione. Qualcosa “doveva” uscire.

Alla fine, Wilson lo notò. «Freddie, sei proprio tu sotto quell’uniforme sgargiante?»

«Ciao, Will» disse Tuttle.

L’evangelista indossava il suo tipico vestito di cotone azzurro, una camicia bianca e un foulard a fiori al collo. Era un poco più alto di Tuttle, e magrissimo. Il viso era scarno, tutto spigoli. I capelli erano d’un biondo angelico; gli occhi, del grigio freddo d’una tempesta sull’Atlantico.

«Non ci vediamo da… Quand’è stato, Freddie? Atlanta?»

«New Orleans» lo corresse Tuttle. «Quando la polizia ha tentato di interrompere il tuo raduno.»

«Sì, adesso ricordo. Due anni fa. I cattolici cominciavano a innervosirsi.»

“Si è rifatto i denti” notò Tuttle. “Probabilmente è indispensabile quando si appare tanto spesso in televisione.”

«Ti ho visto a Georgetown» disse Tuttle. «Hai richiamato parecchia gente.»

«Una palestra scolastica» ribatté Wilson. «Non è poi tanto. La prossima volta che torno qui, riempiremo lo stadio.»

«Lo spero proprio.»

«Il movimento s’ingrossa di continuo.»

«Lo so. La gente comincia ad accorgersi di te. Specialmente per via delle apparizioni televisive. Hai il senso dello spettacolo.»

Una piccola folla si accalcava alla porta, dietro Tuttle, in attesa di salutare l’ospite d’onore. I suoi aiutanti si agitavano per l’irrequietezza e guardavano di continuo l’orologio.

«Be’, ci proviamo» disse Wilson. «La strada è lunga e difficile.»

«Sì, lo immagino.»

«E come mai la marina è venuta al mio party? Chi era l’ammiraglio che è appena uscito?»

Tuttle rise e si sentì dire: «Forse la marina sta diventando religiosa.»

Wilson gli restituì un sorriso.

«Sta succedendo qualcosa di grosso, Willie» sussurrò all’improvviso, incontrollabilmente, Tuttle. «Qualcosa di talmente grosso che butterà tutti per aria.»

«Cosa vuoi dire, Freddie?»

Indicando con un gesto la gente che si affollava attorno a loro, Tuttle mormorò: «È troppo presto per dirlo. Ma è una cosa grossa. Enormemente grossa. Non appena avremo accertato che sia vera, ti passerò la parola.»

Wilson scelse il suo sorriso migliore. «Benissimo, Freddie. Ma di che si tratta?»

Tuttle scosse la testa. «Lo saprai quando te lo dirò. Non si è mai visto niente del genere. Posso dirti una sola cosa: scrutate il cielo.»

«Dio, sembrerebbe il Secondo Avvento.»

«Forse lo sarà» rispose Tuttle, perfettamente serio. «Forse lo sarà.»

10

Ma se anche incontrassimo vita sugli altri pianeti di questo Sole, appare estremamente improbabile che possa essere vita intelligente. Le probabilità sono incredibilmente a sfavore; dato che il Sistema Solare ha come minimo cinquemila milioni d’anni, è del tutto irragionevole ritenere che altre creature razionali lo dividano con noi in questo momento.

Per trovare i nostri simili, o, più probabilmente, esseri che ci sono superiori, dobbiamo guardare alle stelle. Abbiamo ancora scienziati conservatori… pronti a negare la speranza che ci sarà mai possibile superare l’abisso che la luce stessa impiega anni a percorrere.

È un’assurdità. Nel futuro prevedibile… riusciremo a costruire esploratori robot diretti alle stelle, così come quelli che abbiamo oggi sono in grado di raggiungere Marte e Venere. Impiegheranno anni per i loro viaggi, ma prima o poi ci porteranno la notizia che non siamo soli.

Questa notizia potrebbe anche giungerci, più in fretta e più dettagliata, sotto forma di onde radio o altri messaggi… Anche oggi, se si pensasse che ne valga la pena, potremmo costruire un trasmettitore capace di inviare segnali alle stelle più vicine.

Arthur C. Clarke
Voices from the Sky — 1965

Stoner sfiorò la tastiera del computer. Il terminale, che sembrava una macchina per scrivere, era in precario equilibrio sul tavolo della sala da pranzo. Accanto si trovava il terminale video, e sullo schermo danzavano lettere in verde pallido e simboli. La stanza era ingombra di fogli di stampati e fotografie. Un’intera parete della sala da pranzo era adesso coperta da scaffali che Stoner, con l’aiuto delle sue guardie, aveva ricavato usando assi e mattoni. Ogni scaffale rigurgitava di libri.

La casa, però, non era più soltanto sua.

Oltre alle muscolose guardie della marina che tenevano sotto controllo l’esterno e che a intervalli fissi frugavano la casa, mettendo in disordine la cucina e controllando tutte le porte e le finestre, arrivava sempre più gente da Washington e da altri posti e si installavano nel grande soggiorno affacciato sulla piscina. Quasi tutti erano militari, e le loro valigie erano piene di piani logistici. Stoner li sentiva discutere, a volte urlare, perché la porta scorrevole della sala da pranzo era sottilissima. Discutevano di approvvigionamenti e posti letto, di premi d’assicurazione e parti di ricambio elettroniche.