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«No!» ruggì Markov. «Non puoi farlo.»

«Il tuo fallimento è il mio fallimento» ribatté Maria. «E prima che questo succeda, manderò all’inferno la tua puttanella.»

«Maria, non capisci…»

«No, sei “tu” che non capisci. Non sono disposta ad accettare la tua parola in questa situazione. Non quando so che ti sei messo a giocare, anziché lavorare. E con la mia carriera che giochi! Con la mia vita! E con la tua.»

Disperato, lui si passò una mano tra i pochi capelli. «Senti… Ho fatto un lavoro serio su quei segnali. Onestamente. Lascia che mostri tutto all’accademico Bulacheff. Se lui è d’accordo con me, ti riterrai soddisfatta?»

Maria gli lanciò un’occhiata lunga, assassina; poi infilò una mano nella valigia ai suoi piedi e tirò fuori un foglio di carta, una lettera manoscritta.

«Leggi qui» ordinò.

Markov socchiuse gli occhi, si frugò in tasca, trovò gli occhiali, li infilò. Mentre leggeva, il suo viso perse ogni sicurezza. La mano cominciò a tremargli leggermente.

Alla fine, tornò a guardare sua moglie. «Chi… Chi è questo Stoner?»

«Uno scienziato americano, un astrofisico che ha partecipato alla costruzione del telescopio che gli americani hanno messo in orbita all’inizio di quest’anno.»

Vacillante, Markov raggiunse il letto, vi si lasciò cadere. «E, secondo lui, nelle vicinanze di Giove c’è una nave spaziale che è la causa dei segnali.»

Maria disse: «Perché ti ha scritto una lettera del genere?»

Scrutando il foglio sottile, Markov rispose: «Dice di aver letto il mio libro sui linguaggi extraterrestri…»

«Il tuo celebre libro.»

«Ma… Tu credi a quello che dice, Maria? Forse è un trucco degli americani.»

«Molti americani non comprendono la natura della lotta fra capitalismo e comunismo. Pensano che i due sistemi possano coesistere in pace.»

Markov annuì.

«Questo Stoner è un idealista. È anche uno scienziato che vuole ottenere certi riconoscimenti per aver scoperto una forma di vita aliena. Ecco perché ti ha scritto.»

«Ma perché proprio a me? Perché non alla Federazione Astronomica Internazionale? O all’Accademia Sovietica delle Scienze? Perché a me?»

«E chi lo sa?» rispose Maria. «I nostri agenti in America stanno indagando.»

Markov cercò di riprendere il controllo di sé. Stavano succedendo troppe cose, troppo in fretta.

«Credi ancora» chiese Maria «che quei segnali non siano un linguaggio?»

Lui trasse un profondo respiro; poi: «Non sono un linguaggio. Come minimo, non sono un tipo di linguaggio che io possa comprendere.»

Lei si protese, gli strappò la lettera di mano. Rimettendola in valigia con estrema cura, disse: «Pochi momenti fa hai espresso il desiderio di vedere l’accademico Bulacheff. Vuole vederti anche lui. Immediatamente. Stanotte rientriamo a Mosca.»

12

…Alla fine del novembre ’67 ho identificato una sorgente radio pulsante a livello di registrazione veloce. Mentre la penna tracciava il grafico sulla carta, vidi che il segnale era composto di una serie d’impulsi… distanziati l’uno dall’altro di un secondo e un terzo.

Poi Scott e Collins osservarono gli impulsi con un altro radiotelescopio… il che portava a eliminare gli effetti strumentali. John Pilkington misurò la dispersione del segnale, e da lì si dedusse che la fonte era molto al di fuori del Sistema Solare, ma all’interno della galassia. Quindi, si trattava di impulsi prodotti dall’uomo, ma da uomini di un’altra civiltà?… Non credemmo realmente di aver raccolto i segnali di un’altra civiltà, ma naturalmente l’idea ci si era presentata, e non esistevano prove che si trattasse di un’emissione radio del tutto naturale. È un problema interessante: se si ritiene di aver scoperto la vita in altri punti dell’universo come si possono annunciare i risultati con piena responsabilità?

S. Jocelyn Bell Burnell
Discorso tenuto all’ottavo Simposio Texano di astrofisica relativistica, 1977, sulla sua scoperta dei pulsar

«È troppo fantastico per crederci!»

«Le assicuro, signor presidente, è perfettamente vero.»

Il presidente si alzò dal tavolo di mogano, s’incamminò verso il camino. La riunione di gabinetto era terminata sulle solite dispute, e lui era stato ben felice di lasciare la fredda formalità della sala di gabinetto per la sala Roosevelt, molto più piccola e intima.

Fermo accanto al piccolo busto in bronzo di Teddy Roosevelt sulla mensola del caminetto, il presidente appariva sconvolto: cravatta allentata, colletto aperto, capelli arruffati, pugni infilati nelle tasche della giacca.

L’addetto stampa lo osservava preoccupato. Come vecchio amico e consigliere del presidente, sapeva che tutte quelle pressioni lo stavano inesorabilmente portando alla disperazione.

Il presidente fissò, con aria malinconica, il dipinto di Teddy che guidava la Cavalleria Volontaria, appeso sopra il divano. «Ai suoi giorni le cose erano molto più semplici, no?»

Il segretario alla Difesa scosse la testa. «Sembra così solo a distanza di tempo, signore.»

«Si lavora tanto per arrivare a questa carica» mormorò il presidente, più a se stesso che alle altre persone presenti nella stanza «e quando ci si arriva ci si chiede cosa ci ha spinto a farlo.»

«Qualcuno deve assumersi l’impegno» scherzò l’addetto stampa. «Ogni quattro anni ci sono le elezioni.»

Il presidente gli rivolse un sorriso smorto. Girandosi verso il suo consigliere scientifico, chiese ancora: «Vita intelligente su Giove? Ne siete certa?»

«No, signore» rispose la donna, senza esitazioni. «Non completamente certa. Però le probabilità che esista sono molto alte. Dovremmo prepararci ad affrontare questa possibilità.»

Con un sospiro, il presidente mormorò: «Perché deve succedere tutto durante la “mia” amministrazione?»

Il segretario alla Difesa, un ex industriale, si schiarì la gola, come faceva sempre prima di esprimere un’opinione. «Signor presidente» disse, nel suo pesante accento dell’Oklahoma «Sally e io non vediamo sempre le cose allo stesso modo…»

Il consigliere scientifico, seduto al lato opposto della piccola stanza, gli scoccò un’occhiataccia. «Puoi dirlo forte, Joey!»

L’uomo le sorrise. «Okay, sono un porco maschio sciovinista… “Signora” Ellington.»

«“Dottoressa” Ellington.» Lei non restituì il sorriso.

Il presidente parve addolorato, ma non disse nulla. Così, intervenne l’addetto stampa. «Sentite, qui ci siamo solo noi quattro, per cui lasciamo perdere un po’ le punzecchiature, d’accordo? È una faccenda troppo importante per queste idiozie.»

«Sono assolutamente d’accordo» disse il segretario alla Difesa. «Quello che volevo dire è che la dottoressa Ellington e io siamo convinti che sia necessario mettere a disposizione l’osservatorio di Arecibo per studiare questi segnali radio.»

«Perché Arecibo?»

«È il centro più grande e più potente che possediamo» spiegò il consigliere scientifico. «Anzi, è il più grande radiotelescopio del mondo.»

«E il telescopio orbitale?» chiese l’addetto stampa.

«È un telescopio ottico, come quello di Monte Palomar.»

«Ci serve anche Big Eye» aggiunse il segretario alla Difesa. «È così che abbiamo ottenuto le foto dell’oggetto in orbita attorno a Giove.»

«Se è davvero in orbita» mormorò il consigliere scientifico.

«Lei pensa che sia artificiale?»

La dottoressa, con espressione cupa, annuì. «Sì, lo credo. Però non possediamo ancora dati a sufficienza sulla traiettoria per capire se sia veramente in orbita attorno al pianeta o se stia solo eseguendo un volo di ricognizione. Potrebbe essere un volo di ricognizione… partito dall’esterno del Sistema Solare.»