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Markov scrutò con attenzione il piccolo uomo calvo. Per quanto avesse un aspetto fragile, Bulacheff possedeva una voce dura come l’acciaio. I suoi occhi scintillavano, e non semplicemente per effetto della vodka.

«Per il mio rapporto…» cominciò lentamente Markov, aspettando un’interruzione.

«Sì?»

«Immagino che l’abbia letto.»

«Con estrema attenzione.»

Markov annuì. «Se i segnali radio provenienti da Giove non sono un linguaggio, questo non significa che le probabilità dell’esistenza di vita intelligente sono… insomma, nulle?»

«Sarei portato a convenirne, certo» disse Bulacheff, scrollando leggermente le spalle «solo che gli americani stanno lavorando come indemoniati al problema.»

«Davvero?»

Bulacheff si mise a enumerare i punti sulle dita. Markov notò che aveva mani lunghe, magre, delicate: mani da pianista.

«Uno, il suo amico Stoner sta lavorando al problema. Ha lasciato l’ente spaziale americano per andare in un radio osservatorio piccolo e vecchio.»

Markov cominciò a dire: «Non è mio amico o…»

Ma Bulacheff continuò «Due, Stoner è in ottimi rapporti con i tecnici della NASA che si occupano di Big Eye. A quanto ci risulta, le fotografie che arrivano dal telescopio orbitale vengono inviate a Stoner attraverso canali sicurissimi.»

Markov annuì.

«Tre, tutto il personale dell’osservatorio, compreso il suo amico Stoner, è stato costretto a firmare nuovi impegni alla segretezza dalla marina degli Stati Uniti…»

«La “marina”?»

Bulacheff fece una smorfia. «Gli americani sono pessimi amministratori. In un modo o nell’altro, del progetto è incaricata la marina.»

«Non capisco.»

«Non fa differenza. La conclusione è che stanno lavorando al problema di Giove in segreto. Sappiamo anche che hanno già trovato un nome in codice: PROGETTO JUPITER. A quanto sembra, hanno informato del problema la NATO.»

«Forse annunceranno la notizia ufficialmente, appena avranno le prove…»

Bulacheff scosse la testa. «No. Vogliono entrare in contatto con gli alieni. E tenerci nascosta l’informazione.»

«Allora forse dovremmo essere “noi” ad annunciare al mondo che abbiamo ricevuto i loro segnali!»

Bulacheff alzò di nuovo gli occhi al soffitto. «Questo sarebbe contrario alla politica del nostro governo.»

«Ma non possiamo tenere segreta per sempre la notizia» insistette Markov. «E dato che gli americani ne sono già al corrente e sono più avanti di noi, rendere pubblica la cosa e costringerli ad arrivare a un programma di collaborazione a livello mondiale verrebbe tutto a nostro vantaggio.»

«Ne convengo, Kirill Vasilovsk» disse Bulacheff. «Ho preso in considerazione questa possibilità.»

Markov annuì.

«Il nostro ambasciatore alle Nazioni Unite potrebbe svelare la “nostra” scoperta dei segnali radio» disse Bulacheff, ripiegando le dita «dopo di che il merito di aver scoperto vita intelligente nell’universo sarebbe nostro.»

«E potremmo raccomandare un programma internazionale per lo studio di segnali» aggiunse Markov sempre più eccitato. «Gli americani sarebbero costretti ad accettare.»

«Ma questo non significa che gli americani ci fornirebbero le foto di Big Eye. Potrebbero sostenere di non aver mai usato il telescopio per fotografare Giove. Potrebbero tenere ancora per sé le informazioni.»

«Già» disse Markov, abbattuto.

«Ed è per questo che lei è tanto importante per noi» proseguì Bulacheff.

«Davvero?»

«Naturalmente! L’americano, Stoner, si fida talmente di lei da scriverle e rivelarle che sta lavorando al problema.»

«Non ha mai detto a chiare lettere…»

«Fra le righe, Kirill Vasilovsk, fra le righe.»

«Sì. Vedo.»

«Adesso deve rispondergli. Deve guadagnarsi ancora di più la sua fiducia. Forse possiamo combinare un incontro tra voi due… In America, magari.»

«Io?» Markov boccheggiò di sorpresa. «Andare in America?»

«Con la scorta del caso, naturalmente. A quanto mi risulta, sua moglie sarebbe per lei un’ottima guardia del corpo.»

Il cuore di Markov ebbe un altro sobbalzo. «Sì… Certo…»

«È solo un suggerimento. Il germe di un’idea. Comunque penso sia importante che lei si metta in corrispondenza con Stoner. Gli scriva una lettera lunga e cordiale. Gli dica quanto l’affascina il problema dei linguaggi extraterrestri. Insinui molto, ma non gli riveli nulla.»

«Posso tentare…»

«L’aiuteremo noi a stendere la lettera» disse allegramente Bulacheff. «E, naturalmente, ci accerteremo che sia assolutamente perfetta prima di spedirla in America.»

«Naturalmente.»

«Bene!» Bulacheff si alzò talmente di scatto che Markov pensò gli avessero tirato un calcio. «Sapevo di poter fare affidamento su di lei, Kirill Vasilovsk.»

Markov lasciò il divano e s’incamminò verso la porta, affiancato da Bulacheff.

«È tempo che mettiamo il suo nome sulla lista dei candidati al titolo di accademico» disse Bulacheff, gesticolando. «Dopo tutto, lei è uno dei maggiori linguisti russi… e un uomo importantissimo per tutti noi.»

Markov annuì, obbediente, e strinse la mano che l’accademico gli tendeva. Riuscì a stento a frenare la gioia quando, tornato in sala d’aspetto, si rimise il cappotto e si tirò sulle orecchie il colbacco. Nemmeno l’occhiataccia della grassa segretaria lo preoccupò.

In strada, nevicava più forte che mai. Niente si muoveva. Non si vedeva nessuno. La neve si stava accumulando, altissima, sulla scala esterna dell’edificio. Ma Markov rise, infilò i guanti nella neve e fece una palla. La tirò contro il lampione più vicino, quasi invisibile nella tormenta. La palla di neve volò in alto e colpì la lampadina. La luce si spense.

Stupefatto, Markov si guardò attorno, per controllare se qualcuno lo avesse visto distruggere una proprietà di stato. Poi si piegò in due dalle risate, e quasi precipitò sulla neve. Rialzatosi, sfidò il vento e cominciò il lungo viaggio di ritorno a casa. Aveva un sorriso da ragazzino sulle labbra, e la sua barba sembrava ormai un ghiacciolo.

«Tutto a posto, Maria Kirtchatovska» urlò alla neve che scendeva. «I tuoi timori sono infondati. Sono un uomo importante. Mi faranno entrare nell’Accademia!»

Nel suo ufficio caldo, Bulacheff restò a guardare Markov che scompariva tra le ombre e la neve della sera.

«Idiota» mormorò. Scostò la sedia dai vetri ghiacciati, si versò un’altra vodka. «Idiota troppo suggestionabile.»

“Il guaio” pensò l’accademico “è che è un tipo molto simpatico. Immaturo, forse, ma simpatico.”

Bulacheff sospirò e tracannò la vodka. “Be’” si disse “se tutto va come voglio io, Markov diventerà accademico. Se no… Tanto meglio che gli piaccia giocare con la neve.”

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COMUNICAZIONE RISERVATA — DA NON MOSTRARE A STRANIERI

Memorandum

A: Presidente

Data: 7 dicembre

DA: SegDif

Rife: 83-989

SOGGETTO: PROGETTO JUPITER

1. L’analisi DARPA ha concluso che trasferire l’intero personale di Arecibo causerebbe inevitabili rischi alla sicurezza nazionale. Sostanzialmente, concordo.

2. Potrebbe essere possibile rammodernare l’installazione radar di Kwajalein (nell’Oceano Pacifico) per renderla adatta al PROGETTO JUPITER. Kwajalein possiede già una quantità notevole di apparecchiature elettroniche sofisticate, in buona parte mai usate, dato che si trova all’estremità della nostra Zona Test Missili del Pacifico.

3. I problemi di sicurezza dovrebbero essere a Kwajalein molto inferiori rispetto ad Arecibo. Il personale è già militarizzato e in grado di mantenere il massimo grado di segretezza.