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«Giusto» disse Tuttle. «E adesso “c’è dentro”, per sempre. Non può uscirne.»

«Allora, vuole stare con noi o contro di noi?» chiese McDermott.

Stoner fissò di nuovo il pavimento, la carta distesa a terra. Ma con gli occhi della mente vedeva le fotografie di Giove, il puntino di luce in movimento che era l’astronave aliena che aveva invaso il Sistema Solare.

Invaso? Stoner restò stupito davanti al suo stesso uso di quel termine. Poi comprese l’importanza dell’interrogativo che stava dietro. “Cosa ci fa qui questa cosa? Da dove viene? Perché è qui? Chi l’ha mandata?”

«Allora?» ripeté McDermott. «Qual è la sua risposta?»

Anziché rispondere, Stoner si alzò e sì diresse in cucina. «Infilatevi i cappotti» disse. «Voglio farvi vedere qualcosa.»

Perplessi, mugugnanti, i due seguirono Stoner all’esterno. Sì misero i cappotti, mentre Stoner s’infilava una giacca a vento.

Fuori faceva freddo, ma l’aria era chiara e secca. Il sole non scaldava, ma la casa fermava il vento, lo teneva lontano dalla piccola area recintata dietro la cucina.

«Ciao, Burt» disse Stoner alla guardia della marina. McDermott e Tuttle lo osservavano in un silenzio confuso.

Burt era un dipendente civile della marina che normalmente se ne stava seduto in un ufficio di Boston. Gli pagavano stipendio doppio per sorvegliare il cancello di metallo che chiudeva il patio sul retro della casa. Stoner gli sorrise. Burt era sui cinquant’anni, corpulento, dotato di un corpo che un tempo era stato forte ma che ora conteneva più birra che muscoli.

«Burt sta di guardia qui la domenica» spiegò Stoner a McDermott e Tuttle «quando Dooley e i ragazzi più giovani hanno il giorno libero.»

«Ehi, dottor Stoner» disse Burt, con un ampio sorriso «ho ripensato a quelle assi che la settimana scorsa ha spezzato con le mani. La prima volta che avrò bisogno di tagliare legna, saprò a chi rivolgermi.»

Stoner gli restituì il sorriso. «Sicuro, Burt. Vieni pure da me.»

Si mise in posizione perfettamente eretta e costrinse il suo corpo a rilassarsi. “Il tae kwon do è una disciplina” si disse. “Il vero discepolo non cerca la lotta.”

Camminò lentamente, controllando il ritmo della respirazione con cura, verso il cancello, la schiena rivolta agli altri tre. Si fermò davanti a uno dei pali d’acciaio che ancoravano a terra il cancello, emise l’urlo più furioso che riuscì a far uscire dai polmoni, e con uno scatto improvviso tirò un calcio alla sommità del palo.

Il palo di metallo si piegò e risuonò come la corda di una chitarra. Il cancello tremò.

Stoner, con un urlo selvaggio, ripeté il calcio, usando questa volta il piede sinistro. Un altro calcio. Il palo cedette in modo molto evidente.

«Ehi, dottor Stoner! Che diavolo sta facendo?»

Stoner, mortalmente serio, si girò a fissare la guardia. «Mi tengo solo in allenamento, Burt.»

«Gesù, per un attimo ho pensato che volesse sbattere giù il cancello!»

Fissando Tuttle negli occhi, Stoner disse: «Se volessi, ci riuscirei.»

«Ah, lo vedo.»

«Immaginate un po’ cosa farebbe un calcio così alla testa di un uomo. Persino a quella di Dooley.»

McDermott si leccò le labbra, scrutò Tuttle.

«Hai la pistola, Burt?» chiese Stoner.

La mano della guarda, automaticamente, corse alla fondina sotto la giacca.

«Pensi che faresti in tempo a estrarla prima che io ti spappoli la testa?»

Burt restò a fissarlo, poi sorrise nervosamente. «Ehi… dottor Stoner, mi sta prendendo in giro, giusto?»

Stoner chiuse un attimo gli occhi e annuì. «Sicuro, Burt. Sto scherzando.» Poi guardò negli occhi spaventati di Tuttle e aggiunse: «Se mi venisse voglia di fuggire, potrei farlo. Potrei polverizzare Dooley e altri due uomini prima ancora che avessero il tempo di reagire. L’unico motivo per cui resto qui è che voglio restarci.»

Tuttle cominciò a dire: «Non avevo mai pensato…»

Ma Stoner lo interruppe puntando l’indice. «Non mi piace essere trattato da prigioniero, ma ho deciso fin dal primo giorno di accettare la cosa perché so, e lo sapevo già molto prima che lo sapesse lui» indicò McDermott «quanto sia importante questo progetto.»

«Senta un po’, Stoner» brontolò Big Mac.

Stoner lo ignorò. «Sono qui e ci resterò. Quindi, non cercate di minacciarmi. Non sono un bambino che si lascia spaventare facilmente. Ricordatevelo.»

Per diversi momenti nessuno disse una parola. McDermott e Tuttle, irrequieti, si guardarono. Stoner restò ad ascoltare il vento che soffiava oltre la casa, gli alberi nudi che sussurravano.

«Lei ha dimostrato il punto» disse alla fine Tuttle, gli occhi sul palo piegato. Poi fece un sorrisetto. «Sono lieto che sia dalla nostra parte.»

Stoner annuì, s’avviò verso la porta della cucina.

«Però dobbiamo sempre tenere sotto strettissimo controllo tutti i membri del progetto» disse Tuttle, seguendolo.

«Questo lo capisco. Però voi due non venite a dirmi che non posso telefonare ai miei figli.»

«D’accordo… Basta che non tenti di far uscire altre lettere da qui.»

«Non succederà più.»

Entrarono in cucina e Stoner si tolse la giacca a vento. Tuttle e McDermott si diressero alla porta d’ingresso, alla macchina che li aspettava davanti a casa. Stoner arrivò con loro alla porta, scrutò il sentiero che portava alla casa. Lì non c’erano cancelli.

Tuttle salì in auto e accese il motore. McDermott si fermò sulla soglia, un’espressione incerta sul viso bovino.

Alla fine, guardò Stoner e disse: «Non si aspetti di veder più arrivare Jo Camerata. Le ho tolto l’incarico di corriere.»

«Lei… cosa?»

«So che è stata lei a imbucare quella lettera» disse McDermott, in un ruggito smorzato «anche se tutte due lo negate.»

«Non è un buon motivo per…»

McDermott esplose in un sorriso malizioso. «Senta, figliolo, è felicissima di non dover più fare da corriere. Da lei ha avuto tutto quello che poteva avere… Cioè nulla, a parte i guai. Però io posso farla entrare al Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale all’università. Vuole diventare astronauta, se non lo sa.»

Stoner aveva voglia di tirare un pugno a quella faccia rotonda e bugiarda. Invece, si limitò a dire: «Lo so.»

«Quindi, adesso sta dietro a me. Con lei ha finito di giocare.»

Tutti e suonò il clacson, solo per un attimo. McDermott s’incamminò verso la macchina. Girando la testa, disse a Stoner: «Non si preoccupi. Mi prenderò buona cura di lei.»

Stoner restò intrappolato sulla porta, incapace di muoversi, sconvolto.

15

TOP SECRET — DA NON MOSTRARE A STRANIERI

Memorandum

DA: V.J. Driscoll, SCM

Data: 5 gennaio

A: Vicecomandante F.G. Tuttle, SRM

Pratica: 84-662

SOGGETTO: Trasferimento PROGETTO JUPITER

Rife: SCM/Log/vjd

1. La fase di programmazione del trasferimento del PROGETTO JUPITER è completata.

2. I lavori logistici a Kwajalein sono in fase d’attuazione, in vista dell’arrivo del personale e delle apparecchiature del PROGETTO JUPITER per il 15 aprile.

3. La responsabilità amministrativa per Kwajalein e basi vicine verrà trasmessa alla Marina entro il 15 gennaio.

4. Il porto d’imbarco per il personale del PROGETTO JUPITER sarà la Stazione Aeronavale di South Weymouth, Ma. Tutto il personale verrà trasportato da MAC su due (2) aerei C-141. MAC metterà a disposizione un terzo M-141 oppure un (1) C-54, in base alle vostre necessità, per le apparecchiature.

5. È assolutamente indispensabile che tutto il personale sia pronto a partire non più tardi del 15 aprile. Se occorresse, presso la SAA di South Weymouth potrà essere reso disponibile tutto il necessario per le famiglie del personale del PROGETTO JUPITER.