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Sally Ellington si tolse le scarpe a tacchi bassi, protese la mano sulla scrivania ingombra di carte, alzò il ricevitore del telefono. Esitò per un lungo momento. Poi, con un’occhiata alla porta chiusa che dava sull’ufficio adiacente, vuoto, digitò in fretta il numero sulla tastiera dell’apparecchio.

Quando lui le rispose, aveva una voce assonnata, rauca.

«Sono io» disse lei. «Sally.»

«A quest’ora?»

«Stai calmo e ascolta» ordinò il consigliere scientifico del presidente. «Ho qualcosa che farà del tuo boss il prossimo presidente degli Stati Uniti.»

Dall’altro capo non ci fu risposta. “Chissà se è solo nel suo letto ad acqua” si chiese Sally.

«Allora?» disse lui, dopo un po’.

«Il presidente ha deciso di informare i russi sul… Sai cosa.»

«Su JUPITER?» chiese immediatamente lui.

«Sì. Userà la linea calda.»

«Gesù Cristo.»

«Quando la notizia sarà di dominio pubblico, non avrà più nessuna possibilità di vincere a novembre.»

«Non so. È…»

«“Io” lo so» disse Sally Ellington. «Molto meglio di te. È spacciato, se e quando la notizia arriverà alla stampa.»

«E perché vieni a raccontarlo a me? Se ne informo il segretario…»

Lei sorrise fra sé. «Sta a te decidere. Volevo solo assicurarmi che tu lo sapessi.»

«Vedo.» La sua voce tacque un attimo, poi: «Te ne sono grato, Sally. Sono in debito.»

Lei annuì, e cominciò a immaginare in che modo lui si sarebbe sdebitato: in quel letto ad acqua.

D’inverno, nel Massachusetts il sole tramonta alle quattro. Erano quasi le sei, e fuori c’era un buio da mezzanotte, quando Jeff Thompson cominciò a guardare gli stampati di computer che ingombravano il suo tavolo.

Jo Camerata gli sedeva accanto, seguiva col dito una lunga colonna di numeri. Thompson sentiva un vago aroma d’erbe emanare dai suoi capelli neri. Le unghie della ragazza non erano dipinte, ma tagliate alla perfezione.

“Sei un uomo felicemente sposato” si disse Thompson. Poi aggiunse: “Però non sei ancora morto!”.

«So che queste cifre sembrano assurde» stava dicendo Jo «però dal computer non esce altro. Ho impostato il programma tre volte, per maggiore sicurezza, e i numeri sono sempre gli stessi.»

Thompson avvertiva il calore del corpo della ragazza. Jo gli si stava quasi strusciando contro con la spalla. Costringendosi a concentrarsi sul lavoro che aveva davanti, disse: «E questo sarebbe l’ultimo programma?»

«Sì» rispose lei. «Questa colonna rappresenta i dati trasmessi dalle ultime foto di Big Eye.»

Thompson fissò i numeri con una smorfia. Erano anni che non affrontava un problema di meccanica orbitale. Da che si era specializzato ed era andato a lavorare all’osservatorio sotto la direzione di McDermott, non era mai stato costretto a calcolare orbite e traiettorie. In fondo, i neo-laureati servivano a quello: a fare il lavoro più noioso.

Ma le ultime serie di numeri che il computer stava sputando fuori non avevano senso. Erano una cosa talmente folle da richiedere la sua attenzione personale.

Thompson scosse la testa. «Sarà meglio che tu passi queste cifre a Keith. In questo campo, ne capisce più di me.»

Jo si scostò leggermente. «Non posso più andare da lui. Il professor McDermott non vuole che lo riveda.»

«Non fai più da corriere?»

«No. Mac non vuole nemmeno che gli parli per telefono.»

Spingendosi gli occhiali sulla fronte, Thompson la scrutò a lungo. «E a te va bene? Credevo che tu e Keith foste, insomma…»

Jo scosse la testa. «Preferirei non parlarne, se non le spiace.»

«Non puoi nemmeno telefonargli?»

Lei agitò la mano, in segno d’impotenza. «Il telefono di quella casa è sotto controllo. A Mac arrivano le registrazioni di tutte le telefonate in arrivo e in partenza.»

«Gesù Cristo, è proprio come essere in Russia.»

Jo non disse niente.

«Okay» disse Thompson «immagino che qualcun altro dovrà portargli questo orrore.»

«Oppure potremmo trasmettergli le cifre per computer» disse dolcemente Jo. «La casa è dotata di un terminale.»

«Sì, perfetto.»

«Sto sbagliando io?» chiese Jo, scrutando gli stampati. «O è il computer che ci prende per i fondelli?»

«Mi venga un colpo se lo so. Dovrò lavorarci tutta notte per capire cos’è che non va» disse Thompson.

«Devo avere fatto un errore.» Nella voce di Jo s’insinuò una nota d’insoddisfazione.

«Sei sotto pressione da parecchio tempo.»

«Questa non è una scusa.»

Thompson scostò leggermente la poltroncina dal tavolo, abbandonando la sua solita posizione curva. «Mac ti sta proprio torchiando, eh?»

Jo ebbe un sorriso triste. «Più di quanto non immagini.»

Lui si accorse che gli stava salendo la pressione: la ragazza sembrava tanto disperata, tanto fragile.

«È un vero peccato che Keith ti abbia messo di mezzo. Non è stata una mossa troppo intelligente scrivere ai russi.»

«Non ha detto nulla che non dovesse dire!» s’infiammò lei.

«La marina non la pensa così.»

«Una brava persona» insistette Jo. «Non farebbe mai niente che possa essere dannoso.»

Thompson le sorrise. «Nemmeno Chamberlain l’avrebbe mai fatto.»

«Chi?»

«Neville Chamberlain, il primo ministro inglese che a Monaco ha ceduto a Hitler.»

«Oh» disse lei. «Storia.»

D’improvviso, Thompson si sentì estremamente vecchio.

Studiarono le cifre del computer ancora per un’ora, ma Thompson si accorse di non riuscire a concentrarsi. Avrebbe preferito lavorare su Jo. Alla fine, con un enorme sforzo di volontà, scostò la poltroncina dal tavolo e si alzò.

«Ragazza, sarà meglio che tu torni a casa. Mi ci vorrà tutto il resto della notte per scoprire dove sta l’errore.»

Lei era preoccupata. «Posso benissimo restare qui ad aiutarla…»

«No» ribatté lui, vagamente disperato. «Vattene a casa. Dormi un po’. Adesso telefono a mia moglie e le dico di mettere i ragazzi a letto e di tenermi in caldo la cena. Ho tre figli, sai.»

«Sì, lo so.»

«Okay. Ciao. Ci vediamo domani.»

Lei si alzò quasi con riluttanza, parve a Thompson, e raggiunse la porta del cubicolo che era il suo ufficio. «Prima di uscire, controllerò sotto i registratori di dati» gli disse.

«Benissimo. Buonanotte, Jo.»

Dopo che lei fu uscita, Thompson restò a fissare per molto tempo la porta. Poi chiamò casa sua, ma trovò la linea occupata. Nancy e le sue maledette amiche.

Si concentrò sugli stampati, cercando di togliersi dalla mente l’immagine di Jo.

Ma la sentì gridare: «Dottor Thompson!»

Alzando gli occhi dal tavolo, la vide di nuovo sulla porta, con un’espressione a metà tra il preoccupato e lo stupito.

«Cosa c’è?»

«I segnali» rispose Jo, senza fiato, agitata. «Si sono interrotti!»

«Cosa?»

Lui saltò su di scatto, sbatté lo stinco contro l’angolo del tavolo, corse al piano di sotto con la ragazza.

La grande stanza era stranamente silenziosa. Non c’era nessun altro; il turno di notte sarebbe montato solo un’ora dopo. Le grandi consolle elettroniche ronzavano piano. Le penne traccianti erano stranamente immobili, e sulla carta millimetrata che si muoveva lentamente sotto di loro apparivano linee perfettamente rette.

Thompson aggirò le scrivanie che ingombravano il centro della stanza, trovò un paio di cuffie, le collegò a una consolle.

Si appoggiò una cuffia all’orecchio.

Niente.

Solo il sibilo dell’universo, beffardo. I segnali radio erano scomparsi.