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Stamattina sono stato testimone di uno dei maggiori errori politici d’ogni tempo. Il presidente ha rivelato al premier dell’Unione Sovietica servendosi della linea calda, che stiamo lavorando al tentativo di entrare in contatto con l’astronave aliena che abbiamo scoperto nelle vicinanze di Giove.

Il premier ha finto di non essere sorpreso; ha detto che anche i suoi scienziati si stanno occupando della stessa cosa. Il presidente ha proposto un programma comune: dividere personale, informazioni, attrezzature. Il premier è scoppiato a ridere e ha detto che ne sarebbe stato felicissimo. Chiaro che ne sarebbe felice! Nel frattempo, i pochi sostenitori che il presidente aveva al Congresso dovranno lasciare il partito quando si scoprirà che ha svelato ai russi i nostri maggiori segreti scientifici. In nome della pace e della fratellanza! Ormai non ho scelta; devo solo tentare di convincere il partito a non proporre più lui come candidato. Devo prendere sul serio queste primarie: è l’unica speranza che resta al partito per novembre.

Diario personale dell’Onorevole Walden C. Vincennes, Segretario di Stato

Stringendo i denti per il dolore, il cardinale Otto von Friederich iniziò la lunga salita degli scalini di marmo che portavano all’appartamento papale. Agli impiegati e ai monsignori che affollavano le stanze del Vaticano al perenne servizio di Santa Madre Chiesa, il cardinale appariva un simbolo austero e freddo di maestà: silenzioso e altero, forse un po’ fiaccato dagli anni e dall’artrite, ma pur sempre ritratto perfetto di un Principe della Chiesa dai capelli d’un bianco immacolato, i tratti angolosi e ascetici, la porpora svolazzante.

Il cardinale von Friedrich sapeva che le cose non stavano così. Il suo potere all’interno del Vaticano era illusorio. Il nuovo papa non aveva tempo per un vecchio legato alle tradizioni e agli insegnamenti del passato. Le sue udienze col Santo Padre, ormai, erano del tutto formali; i giorni della sua influenza, del vero potere, erano terminati.

Salendo i freddi scalini di marmo, recitò fra sé il rosario. Il dolore si faceva più forte di giorno in giorno. Era una penitenza, naturalmente, e lui sapeva che Dio non gli avrebbe mai mandato una Croce che fosse insopportabile. Il dolore gli copriva la fronte di uno strato leggero di sudore.

Un anziano monsignore, bianco come gesso, gli andò incontro alla sommità delle scale e in silenzio lo introdusse in una stanzetta spoglia e fresca.

Il cardinale Benedetto era già lì, ovviamente, il corpo massiccio avvolto nel mantello rosso. Benedetto ricordava sempre a Von Friedrich un facchino turco: tarchiato e di carnagione scura, quasi completamente calvo, anche se più giovane di Von Friedrich di una ventina d’anni. Però era ormai il forte braccio destro del papa, il segretario di Stato del Vaticano, confidente e consigliere di Sua Santità. Al contrario, la posizione di Von Friedrich a capo della Propaganda Fide era diventata poco più d’una sinecura per un vecchio prossimo alla morte.

“Com’era diverso ai vecchi tempi” pensò Von Friedrich. “Per tutta la vita ho servito papi italiani e lottato con gli italiani che dominavano la Curia. Adesso abbiamo un papa polacco, e gli italiani mi hanno sconfitto.”

«Mio signore cardinale» disse Benedetto, in italiano.

Von Friedrich accennò con la testa l’ombra d’un inchino. Anche quel movimento minimo gli causò dolore.

La stanza era quasi spoglia d’arredi. Un tavolino in legno, poche sedie. L’unica luce veniva dalla lampada sul tavolo. Oltre le finestre, i giardini vaticani erano già ammantati delle ombre del tramonto.

Nella semioscurità, Von Friedrich vide che le pareti erano ornate da affreschi di Tiziano. O forse Raffaello, Non riusciva mai a distinguere i due artisti. “Tappezzerie vaticane” si disse, tenendosi a distanza dal cardinale Benedetto.

Parte del dipinto sulla parete che stava fissando, un gruppo di santi che rendevano grazie a Dio, rientrò all’improvviso, svelando una porta nascosta nella parete. Il papa entrò nella stanza, forte, vigoroso, e sorrise a tutt’e due.

La stanza parve illuminarsi. Il Santo Padre indossava vesti bianche, naturalmente. Ma, nonostante tutto, Von Friedrich dovette ammettere che era la presenza energica, decisa di Sua Santità a riempire di luce la stanza. Il papa possedeva il viso franco e intenso dell’operaio, dell’uomo comune elevato a una posizione di grandezza; il tipo di viso che sarebbe potuto appartenere a San Pietro. Un pescatore, non un aristocratico. Però, e Von Friedrich lo sapeva, il suo potere era uguale sia sugli aristocratici sia sui semplici lavoratori.

I cardinali s’inginocchiarono a baciare l’anello papale. Il papa sorrise e fece loro cenno di sedere.

«Andiamo, andiamo» disse il papa, in italiano. «Oggi niente formalità. Dobbiamo decidere su cose troppo gravi.»

Pochi attimi dopo, erano immersi nella discussione sugli strani segnali radio provenienti da Giove che la gerarchia americana aveva fatto conoscere al Vaticano solo il giorno prima.

«Il mio consigliere scientifico» disse il papa «monsignor Parelli, è fuori di sé per l’eccitazione. Ritiene che questo sia il fatto più straordinario accaduto all’umanità negli ultimi due millenni.»

«È un pericolo» disse Von Friedrich. «Un pericolo, fratello?»

La voce di Von Friedrich era sempre stata stridula, quasi da ragazzina. A scuola aveva dovuto sostenere molti scontri per quella voce. In quel momento, lottò per mantenerla calma, fredda, logica, e per impedire che lasciasse trapelare il suo dolore.

«Quando la notizia di questa… cosa… aliena giungerà alle popolazioni del mondo, come prima o poi accadrà, la gente resterà stupita e intimorita. Vostra Santità ricorda il caos scatenato venticinque anni fa dallo Sputnik?»

Il papa annuì. «Sì, ma questo fu soprattutto in Occidente.»

«Non sarà nulla in confronto alle reazioni alla notizia di un’intelligenza aliena nel nostro Sistema Solare. Chi sono? Che aspetto hanno? Cosa vogliono? Chi “adorano”?» L’ultima domanda fu un sibilo, un sussurro eccitato.

Il papa fece per rispondere, poi esitò, si passò pensosamente una mano sul mento forte.

«Sono d’accordo anch’io, Vostra Santità» disse il cardinale Benedetto. «Questa presenza aliena potrebbe essere una grave minaccia per la fede.»

Il papa si appoggiò allo schienale della sedia e tamburellò con le dita sulle ginocchia.

«È una prova» disse alla fine.

«Una prova?»

Il papa annuì. «Una prova alla nostra fede, fratelli. Una prova al nostro coraggio, alla nostra intelligenza. Ma, soprattutto, una prova alla nostra fede.»

«Potrebbe essere» convenne subito Benedetto.

Von Friedrich non disse niente, ma pensò che l’italiano, come sempre, si stava comportando servilmente.

«Gli americani hanno scoperto i segnali radio e qualcosa che ritengono sia un’astronave, se ho ben compreso le informazioni che abbiamo ricevuto» disse il papa.

Benedetto annuì. «Segnali radio dal pianeta Giove, sì. E nello spazio, nelle vicinanze del pianeta, un manufatto alieno.»

«Manufatto!» Il papa fece un grande sorriso. «Un eccellente termine, Benedetto. Un termine “scientifico”. Neutro. Privo d’emozioni. Eccellente!»

Von Friedrich strinse i denti.

«Io credo» proseguì il papa «che la scienza porti alla conoscenza, e quindi al perfezionamento dell’intelligenza umana. Questo manufatto alieno…» sorrise di nuovo «potrà aiutare gli scienziati a scoprire di più sull’universo, e quindi a conoscere meglio l’opera di Dio.»

«Ah, vedo» disse Benedetto. «Se riusciremo a dialogare con queste creature, avremo la possibilità di scoprire più cose sull’opera di Dio, sulle sue creazioni.»

Il papa annuì.

«Però la Santa Madre Chiesa ha la responsabilità di proteggere i suoi figli dall’errore e dal pericolo» disse Von Friedrich, con tutta la forza possibile, «Specialmente dal pericolo che minaccia le loro anime immortali.»