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«Dev’essere stata dura.»

«Oh, quello è stato solo l’inizio.» Una raffica di vento fece sbattere i rami di un albero contro il tetto, e Cavendish alzò sul soffitto due occhi spiritati. «I giapponesi ci hanno trasferiti in Manciuria giusto in tempo per permettere ai russi di farci prigionieri, quando si sono decisi a entrare nella guerra del Pacifico.»

«I russi stavano dalla nostra parte.»

«Stavano dalla parte di Stalin. E Stalin aveva deciso che tutti gli scienziati su cui fosse riuscito a mettere le mani, persino un esperto di fisica matematica, giovane, denutrito e malato, dovessero restare in Unione Sovietica a lavorare per lui, lo volessero o meno.»

«Ti hanno tenuto in Russia?»

«In Siberia. Voialtri avevate appena messo a punto la vostra maledetta bomba atomica, e Stalin aveva una fretta del diavolo di recuperare le distanze.»

«Credevo che fossero le spie a passare ai russi le informazioni sull’atomica…»

«Balle! L’unico vero segreto della bomba atomica era che funzionava, che si poteva costruirla e farla esplodere per bene. E quel segreto l’avete svelato a Hiroshima. Anche questa astronave aliena, del resto, ci ha svelato un solo grosso segreto: che esiste, che proviene da un pianeta che non è la Terra.»

«Per quanto tempo ti hanno tenuto in Russia?»

«Anni. Finché non è morto Stalin e i suoi successori hanno cercato di allentare un po’ la tensione. Non è stato facile nemmeno allora, però. Prima di mollarmi, mi hanno fatto fare un viaggio di andata e ritorno all’inferno.»

«Cioè?»

Cavendish ebbe una smorfia di dolore. «Quei porci del KGB si erano messi in testa che potevo diventare una spia meravigliosa per loro, una volta rientrato in Inghilterra. Mi hanno sottoposto a tutti i metodi di lavaggio del cervello… e intendo proprio tutti. Ecco perché ho paura di dormire.»

Cominciarono a tremargli le mani.

«Però non hai ceduto» disse Stoner.

«Certo che ho ceduto! E ho giurato che sarei stato una brava spia dei sovietici. C’è voluto parecchio per convincerli. Sono molto meticolosi.»

Stoner restò a fissarlo, in attesa di altre confessioni.

«Be’, quando sono tornato in patria e la testa mi si è schiarita un tantino, ho raccontato tutta la storia al servizio segreto inglese. Ne sono rimasti deliziati. Mi hanno detto che potevo fare l’agente doppio, cioè fingere di lavorare per i rossi, mentre in realtà avrei lavorato per la Corona.»

«Cristo santissimo.»

«Già. Io non volevo lavorare né per gli uni né per gli altri, ma da allora ci sono in mezzo. Il vero motivo per cui sono qui è che sia il KGB sia il servizio segreto inglese mi volevano qui.»

«Stai scherzando!»

«Mi piacerebbe tanto. I russi stanno già studiando i segnali radio, però non hanno un telescopio orbitale che possa trasmettere dati sulla nave spaziale. Io dovrei passare all’URSS i dati di Big Eye.»

«E la marina lo sa?»

«La vostra marina? No. Nemmeno la NATO, credo. A quanto capisco, gli inglesi sono curiosi di scoprire cosa state combinando. La marina americana non ha ancora passato tutte le informazioni ai vostri colleghi della NATO.»

«La legge della giungla» mormorò Stoner.

«Infatti. In questo mestiere non si hanno amici. Nemmeno uno. Chiunque potrebbe essere il tuo nemico. Chiunque potrebbe essere il tuo assassino.»

«Assassino?» ripeté Stoner. «Vuoi dire che qualcuno potrebbe cercare di ucciderti?»

Per la prima volta, Cavendish scoppiò a ridere: una risata rauca, stridula, deprimente. «Non me, caro ragazzo. Te. Io sono solo una rotellina dell’ingranaggio che tutt’e due le parti usano. Se c’è un assassino nascosto nell’ombra, vuole la tua testa, non la mia.»

Stoner lo fissò a bocca aperta. Lentamente, chiese: «Stai cercando di mettermi in guardia, o…?»

All’improvviso, il terminale del computer tornò in vita. Stoner e Cavendish schizzarono via dalle sedie e corsero in sala da pranzo, dove l’unità stampante stava scrivendo a ritmo folle. Righe e righe di numeri apparivano sul lungo rotolo di carta che girava sul rullo della macchina.

«Cos’è?» chiese Cavendish, il bicchiere di brandy ancora in mano. «Cosa sta dicendo?»

«Gli ultimi dati sull’astronave…» Stoner alzò il foglio a livello degli occhi, per poter leggere le prime serie di cifre senza doversi chinare sulla stampatrice.

Poi fischiò piano. «Ovvio che il computer abbia dovuto rimasticare i dati per tante ore. Quella maledetta cosa ha cambiato rotta.»

«Cosa?»

«Sta accelerando.»

«Impossibile!»

«Guarda qui.» Stoner indicò le cifre. «E qui. E ancora qui.»

Cavendish sbottò: «Per me potrebbe anche essere sanscrito! Non conosco questo tipo di linguaggio!»

«L’astronave si è data una spinta» spiegò Stoner. «Qui, e qui.»

«Sta facendo manovra? Cambia rotta?»

«Sì.»

«Allora dev’esserci un equipaggio a bordo!»

«O un computer terribilmente intelligente.»

«Ma dov’è diretta? Qual è la nuova rotta?»

Con una sensazione atroce di vuoto allo stomaco, Stoner si chinò sulla stampatrice. La macchina si fermò di colpo, come di colpo si era rimessa in funzione qualche attimo prima.

«Allora?»

Stoner fissò l’ultima fila di cifre. Non aveva bisogno di consultare tabelle. Aveva imparato a memoria quei numeri settimane prima, perché aveva temuto, o sperato, o forse sognato, di trovarseli prima o poi, inevitabilmente, sotto gli occhi.

«Dov’è diretta quella fottuta cosa?» chiese Cavendish.

«Qui» disse Stoner.

Cavendish spalancò la bocca.

«Qui» riuscì a sussurrare dopo un po’. «Vuoi dire sulla Terra?»

Stoner annuì, «Ha finito di studiare Giove. Adesso è diretta verso la Terra.»

18

Se la luce di mille soli apparisse improvvisamente in cielo, quello splendore sarebbe paragonabile al fulgore dello Spirito Supremo.

Bhagavad-Gita, 11:12

Il segretario generale, con aria triste, guardò dal finestrino della sua limousine il mattino grigio, nevoso.

«Tu sai» disse con voce bassa, cupa «che io sto morendo.»

Georgi Borodinski boccheggiò. «Compagno segretario! Non dovete dire cose simili.»

Il segretario generale si girò a fissare il suo assistente. Tutt’e due portavano pesanti cappotti scuri e cappelli di pelo, nonostante la limousine fosse riscaldata.

Con un sorriso stanco, il segretario generale chiese: «Perché no? È la verità.»

«Comunque…»

«Hai paura che ci siano microfoni sulla macchina? I miei potenziali eredi potrebbero diventare un po’ troppo ansiosi e tentare di risparmiarmi ogni dolore, eh?» Il segretario generale rise con un suono secco, rauco.

Borodinski non rispose, In base agli standard dell’élite del Cremlino, era ancora un uomo giovane: era poco oltre la cinquantina, i capelli che gli restavano erano ancora castani, e la sua carne ancora soda. Aveva acquisito una posizione di rilievo tra i funzionari di partito grazie a un lavoro continuo e caparbio, tutt’altro che spettacolare, privo di fantasia e, apparentemente, d’ambizioni. Però, vent’anni prima, aveva riconosciuto la possibilità di fare carriera che gli si presentava, e si era attaccato con tutta la fedeltà di un servo leale all’uomo che adesso era segretario generale del partito e presidente dell’Unione Sovietica.

Ora, Borodinski aveva l’opportunità di diventare a sua volta segretario generale, se fosse riuscito a sopravvivere all’inevitabile lotta che sarebbe seguita alla morte del suo padrone.

«Lo sai perché stiamo viaggiando nel freddo e nella neve, anziché restarcene al caldo nel mio ufficio?» chiese il segretario generale.