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«Credo di sì» rispose Borodinski.

Indicando l’autista dall’altra parte del vetro divisorio a prova di proiettile, il segretario spiegò: «Un tartaro, originario della zona oltre il lago Baykal. Controlla la macchina tutti i giorni, prima che io salga. Siamo al sicuro da orecchie indiscrete.»

«Sì.»

«Debbo vivere come un antico imperatore romano, circondato dalle mie guardie di palazzo… Tutti stranieri, barbari, fedeli personalmente a me e a nessun altro, o nient’altro. Una sistemazione stupenda per il capo di uno stato marxista, no?»

«Ogni grande leader ha i suoi nemici, compagno segretario. All’interno e all’esterno del paese.»

Le sopracciglia folte del segretario si inarcarono. «Ma se al Cremlino sono tutti buoni marxisti, perché dovrei avere bisogno di protezioni simili?»

Borodinski capì dove voleva arrivare il segretario. «Non sono tutti buoni marxisti. Anche alcuni membri del Presidium e del Consiglio Interno hanno i loro… difetti.»

Il segretario annuì, truce. «Ora» disse «per questa ultima offerta del presidente americano…»

Stupito dal cambiamento improvviso di discorso, Borodinski ribatté senza riflettere: «Questo cosa c’entra con…?»

Il segretario generale batté la mano sul ginocchio dell’altro e rise di cuore.

«Non capisci, eh? Tu devi ancora imparare alcune cose sull’arte di governare.»

La risata si trasformò in una tosse insistente. Borodinski si irrigidì, sommerso da ondate di tristezza e paura. E d’impazienza. Ma aspettò, immobile, che il suo padrone vincesse la battaglia e riprendesse a respirare normalmente.

«Stavo dicendo» riprese il segretario generale, dopo essersi asciugato labbra e mento con un fazzoletto di lino «che il presidente americano ha fatto quella che sembra un’altra offerta generosa.»

Borodinski annuì. «Ci ha invitati a mandare un gruppo di nostri scienziati alla loro base nel Pacifico. L’atollo di Kwajalein, giusto?»

«Sì» disse il segretario. «Stando a tutte le informazioni disponibili, l’offerta americana sembra sincera. Il loro presidente vuole usare questa… questa astronave aliena come simbolo per creare legami di collaborazione più forti tra i nostri due paesi.»

«Nonostante tutto quello che hanno fatto negli ultimi anni?»

«Forse proprio “per” quello che hanno fatto negli ultimi anni. Forse sono arrivati a capire l’inutilità della loro cosiddetta “politica dura”.»

Borodinski meditò sull’ipotesi per un attimo, poi chiese: «Accetterà l’offerta?»

Chinandosi verso il suo assistente, il segretario disse: «Tu cosa faresti?»

Era un test, capì Borodinski, un test per decidere se luì fosse in grado di assumere la carica del suo padrone. Ricacciò la paura che gli salì in gola, respinse in fondo al cuore l’ambizione che da sempre ardeva in lui.

«Ci sono forti opposizioni all’interno del Presidium» rispose lentamente. «L’idea di collaborare coi capitalisti potrebbe provocare amari risentimenti tra i nostri compagni più conservatori.»

«Gli stessi compagni che hanno insistito perché entrassimo in Afghanistan» borbottò il segretario «senza pensare a quanto sia difficile uscirne.»

«Ci hanno procurato molte difficoltà, è vero» disse Borodinski.

«E» fece notare il segretario «esistono forti pressioni all’interno del Presidium perché accettiamo l’offerta degli americani.»

Borodinski annuì, si lisciò la barbetta a punta alla Lenin, «Ho saputo che anche le Nazioni Unite sono interessate al programma americano. E, senza dubbio, porteranno con sé anche i cinesi.»

«Quindi, se rifiutassimo di collaborare ci troveremmo completamente isolati, giusto?»

«Ma se collaboriamo, alcuni dei membri più influenti del Presidium s’infurieranno. Per non parlare dell’esercito.»

Il segretario generale gli rivolse un sorriso affettato. «Un bel problemino, vero? Tu come lo risolveresti?»

Borodinski s’immerse in riflessione. La limousine correva nel silenzio grigio e nevoso del mattino, oltre gli edifici e le case della grande Mosca, molto oltre la portata dei microfoni direzionali sistemati sui tetti e dei rilevatori laser capaci di registrare conversazioni dalle vibrazioni che i suoni producono sui finestrini di un’auto in movimento.

Alla fine, Borodinski disse: «Penso che l’unica alternativa sia accettare l’offerta degli americani. Diversamente, resteremmo indietro rispetto a loro e agli altri. Potrebbero ottenere quantità enormi di informazioni da questa astronave…» Aveva altre cose da aggiungere, ma l’espressione compiaciuta sul viso del segretario generale gli disse che era il momento di fermarsi.

«Decisione saggia, onesta, lungimirante.» Il vecchio gli batté la mano sul ginocchio. «Adesso permettimi di offrirti una lezione di politica.»

Borodinski raddrizzò la schiena.

«Io sto per morire, compagno. I dottori l’hanno confermato. Al Politburo e al Presidium lo sanno tutti. È un frangente pericoloso per me… E per te.»

Borodinski annuì: temeva che, se avesse parlato, la sua voce potesse vacillare.

Il segretario chiuse gli occhi per un attimo. Poi: «Tu hai fatto notare, molto giustamente, che se accettiamo l’offerta di collaborazione degli americani qualcuno dei nostri compagni più conservatori s’infurierà. La loro rabbia potrebbe arrivare al punto di spingerli a… insomma, cercare di affrettare la mia scomparsa.»

«Non oserebbero mai!»

«Oh, sì che oserebbero» lo assicurò il segretario, con un sorriso acido. «Non sarebbe la prima volta che un capo del Cremlino arriva prima del tempo alla tomba. Non è che questo sia successo solo agli zar. Però, compagno» proseguì il segretario «supponiamo di preparare una piccola rete per queste teste calde, una piccola trappola che ci permetta di accusarli di tradimento, eh? In questo caso, ripuliremmo il Cremlino degli elementi sbagliati e io potrei vivere in pace i giorni che mi restano, perfettamente al sicuro da traditori e assassini.»

Borodinski si lisciò di nuovo la barba. «Quindi, la decisione se unirci o meno agli americani negli studi sull’astronave aliena…»

«È l’esca della nostra trappola, ovviamente.»

«È… assolutamente brillante! Per forza siete rimasto a capo della nazione per tanti anni.»

Il segretario si concesse un sorriso veloce. «C’è anche qualcosa d’altro.»

«Sì?»

«Se entreremo in contatto con un’altra razza di creature intelligenti, voglio che accada finché io sarò in vita. Anzi, sarebbe il coronamento ideale per la mia carriera se l’Unione Sovietica riuscisse a effettuare questo contatto “da sola”, senza l’aiuto dell’Occidente.»

«Ma come…?»

«Ecco cosa faremo.» Il segretario generale si protese verso il suo assistente. Gli era talmente vicino che Borodinski sentiva l’odore di medicinali nel fiato del vecchio.

«Manderemo un piccolo gruppo di scienziati su quell’isola. Lavoreranno con gli americani. Tra loro, naturalmente, ci sarà qualche nostro agente. Legato a noi. A me.»

«Vedo. Certo.»

«Mentre gli scienziati studiano l’astronave, noi prepareremo uno dei nostri missili più potenti, in modo che possa partire per incontrarsi con la nave aliena in avvicinamento.»

«Ahhh, ora vedo…»

«I nostri scienziati a Kwajalein avranno la responsabilità di tenerci informati di continuo. Se e quando arriverà il momento propizio, invieremo cosmonauti incontro all’astronave aliena.» Il segretario s’interruppe, trasse un respiro faticoso. «Oppure…»

«Oppure?» chiese Borodinski.

«Oppure faremo esplodere la nave aliena con una bomba all’idrogeno, se sarà necessario.»

Borodinski fu colpito da un’ondata di shock.

Il viso del segretario generale era terribilmente serio. «È questa l’unica cosa che gli scienziati non capiscono. Quegli alieni potrebbero essere ostili. Dobbiamo tenerci pronti a difenderci.»