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“È come essere tornato bambino” pensò, assopito dal brandy. “In una nursery volante, ecco dove ci hanno messi. E gli steward sono le bambinaie.”

Stava lottando contro il sonno.

Sapeva che, se si fosse rilassato, si sarebbe addormentato; e col sonno sarebbero giunti i sogni paurosi, gli incubi delle sue colpe, a meno di non avere nel sangue il tasso indispensabile di alcol. Così, beveva un brandy dopo l’altro, facendosi riempire di continuo il bicchiere.

Il giovane angelo biondo sul sedile accanto dormiva con aria innocente, la bocca leggermente aperta, il respiro calmo e regolare come le onde del mare.

Reynaud soffocò il desiderio di toccargli il viso dolce, di carezzare il mento imberbe.

Si girò verso il finestrino, a guardare il cielo scuro, stellato. Riconobbe Orione, il Toro, i due Cani. Sì, tutto era al solito posto, come sempre. Nelle profondità di quel cielo infinito, nuove stelle nascevano e vecchie stelle venivano distrutte da esplosioni titaniche. Le galassie ruotavano nel buio e le quasar ardevano con una forza che nessuna mente umana era in grado di comprendere.

«Per quanto tempo» sussurrò Reynaud fra sé «custodirete i vostri segreti? Se è stato Dio a crearvi, quando l’ha fatto? E come?»

Non gli venne in mente di chiedere perché. Quello era un interrogativo da teologi. Reynaud era un cosmologo.

Vide la propria immagine riflessa nel finestrino dell’aereo, e s’incupì. Un viso grosso, tondo, su un corpo grosso, tondo. Guance cadenti e occhi gonfi, iniettati di sangue. Un uomo che aveva cercato rifugio nella vita monastica quando il mondo gli era diventato insopportabile, e che era riuscito a restare grasso, e alcolizzato, che di tanto in tanto riusciva a ricadere nell’omosessualità, nonostante tutti i controlli e le punizioni che l’Abate aveva in serbo per lui.

Reynaud sorrise amaramente al ricordo del viso dell’Abate, quando l’inflessibile priore del monastero era stato informato che il papa in persona voleva vedere Reynaud.

«Cosa voglia Sua Santità da te è al di là della mia comprensione» aveva detto l’Abate, il viso arcigno distorto da una smorfia, lo sguardo in fiamme. «Se il Vaticano avesse ritenuto opportuno chiedere la mia opinione su questa faccenda, tu passeresti il resto dei tuoi giorni a pulire stalle, perché è quello che ti meriti.»

Reynaud aveva annuito; era d’accordo.

Ma il Vaticano aveva chiesto di lui, di Reynaud, del famoso cosmologo insignito del Nobel. “Quello che avranno” disse al riflesso nello specchio “è Reynaud l’ubriacone, il pervertito, solo le macerie dell’uomo che pensano di avere.”

Il ragazzo al suo fianco si mosse, sospirò dolcemente, aprì gli occhi azzurro cielo.

«Hai dormito bene?» gli chiese Reynaud in francese.

Il ragazzo rispose in una lingua germanica, e Reynaud ricordò che era salito ad Amsterdam.

Scuotendo la testa, gli chiese: «Parli inglese?»

«Sì.» Il ragazzo sorrise. Sentendosi molto vecchio e molto, molto stanco, Reynaud gli restituì il sorriso.

«Mi chiamo Hans Schmidt. Vengo dall’università di Leida.»

Annuendo piano, Reynaud disse: «Edouard Reynaud. Non lavoro per nessuna università, però ero…»

«Edouard Reynaud!» Il ragazzo spalancò gli occhi. «Ho letto i suoi libri!»

Reynaud scrollò le spalle. Si sentiva un relitto del passato, ridicolo nel completo nero informe, ed era imbarazzato per non essersi fatto la barba. «Li ho scritti tanto tempo fa. Oggi sono tutti superati.»

«Sì, certo» rispose Schmidt, con la crudeltà incosciente della gioventù «però sono classici nel loro campo. Abbiamo dovuto leggerli tutti, all’università.»

«Sei astronomo?»

L’entusiasmo di Schmidt si trasformò in cupezza, «Lo ero» disse, imbronciandosi. «Adesso sono un prigioniero.»

«Lo siamo tutti» disse Reynaud. «Ma non preoccuparti, tra poco l’aereo atterrerà a Kwajalein e potremo camminare sotto la luce del sole.»

«Non capite» disse il ragazzo, «Gli altri che stanno sull’aereo, astronomi e astrofisici di tutta Europa, si sono offerti volontari per il progetto. Sono contenti di andare a Kwajalein a studiare i segnali alieni.»

«E tu no?»

Schmidt scosse lentamente la testa, «Io “ho scoperto” i segnali radio. Ma è un merito che non mi verrà mai riconosciuto.»

Reynaud accennò un gesto di comprensione.

«Lavoravo per il professor Voorne al grande osservatorio di Dwingeloo, l’estate scorsa. Ho captato i segnali prima degli americani e di tutti gli altri» spiegò Schmidt, in tono quasi scontroso. «Abbiamo controllato i dati; i segnali li ho captati io per primo.»

«Allora il riconoscimento spetta a te» disse Reynaud.

«Sì, facile! Voorne a talmente lento è arretrato d’idee che si lascerebbe fregare da chiunque. Mi ha rifiutato il permesso di inviare una comunicazione alla rivista d’astrofisica finché non abbiamo ricontrollato tutto tre volte. Dopo di che sono arrivati i burocrati della NATO e hanno dichiarato top secret tutte le mie carte. Non mi hanno permesso di pubblicare niente.»

«Un vero peccato» disse Reynaud.

«E adesso mi mandano in esilio su questa maledetta isola. Io non voglio andarci! Mi hanno costretto! A Leida ho la ragazza; dovevamo fidanzarci tra qualche settimana. Ma il governo mi ha detto: o vai a Kwajalein, oppure ti arruoliamo nell’esercito e ti spediamo a Kwajalein lo stesso.»

Reynaud scosse la testa.

«Sono gli americani» borbottò Schmidt. «Ci sono dietro loro. Vogliono tenersi tutto il merito ed essere sicuri che a me non venga nessun riconoscimento.»

Reynaud strinse le labbra, poi ribatté: «Non credi che il fatto di scoprire una razza extraterrestre intelligente sia la cosa più importante?»

«Certo! È per questo che gli americani vogliono tutto il merito della scoperta.»

«Be’… Anche a me hanno ordinato di andare a Kwajalein. Non avevo nessun desiderio di partire, ma i miei superiori mi hanno mandato lo stesso. Ecco perché sono su questo aereo. Siamo tutt’e due nella stessa situazione. Però io non credo che sia stato un complotto degli americani.»

Schmidt non disse nulla.

«È stato il Santo Padre in persona ad affidarmi questa missione» aggiunse Reynaud.

«Il papa?»

«Sì.»

«Perché gli interessa l’astronomia?»

Reynaud fece una risata amara.

«Non gli interessa. E nemmeno ai cardinali che gli stanno attorno. A loro interessa solo conservare il potere, e nascondere la verità alla gente.»

Schmidt lo fissò incredulo. «Siete prete e dite queste cose?»

«Prete? Io? Oh, no! Non sono prete. Non sono nemmeno monaco, in effetti. Non ho preso i voti.»

Confuso, Schmidt disse: «Credevo… Ci avevano detto che vi siete ritirato in un monastero…»

«Sì. Sì, è vero. Ma Sua Santità mi ha strappato al mio ritiro. Sono di nuovo nel mondo… Ed è un mondo molto diverso da quello che ho lasciato anni fa.»

I due continuarono a parlare mentre la notte moriva in cielo e il sole si alzava sulle acque grigie e sterminate del Pacifico. Gli altri passeggeri si svegliarono poco per volta, si stiracchiarono i muscoli indolenziti, sbadigliarono, mugugnarono, si affollarono nelle toilette dell’aereo.

Gli steward entrarono in azione, sbarazzando i passeggeri di coperte e cuscini. Alla fine, portarono vassoi di plastica con la colazione. Reynaud non ebbe nemmeno il coraggio di guardare la roba che gli misero davanti: era grigia e morta, di plastica come i vassoi su cui era servita.

Il pilota s’inserì sull’intercom e annunciò allegramente che nel giro di poche ore sarebbero arrivati a Kwajalein.

«Se riesco a trovare l’isola» aggiunse, con un sogghigno.

Reynaud rabbrividì un poco. Guardò Schmidt, che aveva mangiato la colazione fino all’ultima briciola e aveva chiuso di nuovo gli occhi. Depresso, Reynaud scosse la testa e si girò a guardare la distesa grigia e informe dell’oceano sotto di loro. Gli sarebbe piaciuto riuscire a dormire senza sognare.