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Il ragazzo era un po’ più alto di Stoner, e magro, ma aveva ancora un viso paffuto da bambino. La fronte era alta, gli occhi un po’ gonfi, le labbra piegate in una smorfia. “Sarà calvo prima dei trent’anni” pensò Stoner “ma sembrerà sempre un ragazzino.”

«Benvenuto al club» ribatté Stoner. «Anche il mio lavoro è diventato segreto.»

«Giusto» disse Cavendish, appoggiando le mani sulle schiene degli altri due e spingendoli dolcemente verso il Circolo. Può darsi che il nostro Schmidt sia stato il primo a scoprire i segnali. Quand’è che il tuo gruppo li ha captati?

«Non era il mio gruppo» disse Stoner. «Mi hanno assunto dopo, come consulente. Dovrebbe parlarne con Jeff Thompson.»

Entrarono nell’affollato locale e ordinarono. Cavendish prese un brandy, Stoner uno scotch con acqua, Schmidt una Heineken. Il Circolo era pieno di confusione e di fumo; era il migliore (e unico) bar dell’isola. Dopo aver parlato per una quindicina di minuti, Stoner ammise che probabilmente Schmidt aveva riconosciuto la strana natura dei segnali radio prima di Thompson.

«Quindi, il merito sarà tutto suo» disse Cavendish «quando questa faccenda sarà di dominio pubblico.»

Schmidt parve ancora più depresso. «Quando questa faccenda sarà di dominio pubblico, io sarò vecchio.»

«Oh, andiamo, ha ancora tutto il futuro davanti a lei.»

Schmidt finì la birra. Sembrava sull’orlo delle lacrime.

«L’hanno trattata male, eh?» chiese Stoner.

Il ragazzo annuì lentamente. «Dovevo fidanzarmi… Adesso chissà per quanto tempo resterò qui.»

«È successo anche a me. Ci hanno trattati tutti da animali. Lo sa come ho festeggiato il Natale? Mi hanno permesso di fare una telefonata ai miei figli. Una sola. Neanche fossi un galeotto.»

«Non potevano far venire qui anche la sua ragazza?» chiese Cavendish.

«Non le hanno dato il permesso. E comunque non sarebbe venuta. Gliel’ho chiesto, ma mi ha detto di no. Non che non la capisca… Lasciare casa e famiglia per andare in capo al mondo.» Scosse la testa, corrucciato.

«Una fottuta situazione» mormorò Cavendish.

«Prima distruggono le mie ricerche coi loro regolamenti di sicurezza» continuò Schmidt, fissando il fondo del bicchiere «e adesso mi esiliano su quest’isola. Mi tratterebbero meglio se avessi ucciso qualcuno. Mi tratterebbero meglio se diventassi un terrorista e dirottassi un treno o minacciassi di far saltare un aereo.»

«Però c’è una cosa» disse lentamente Cavendish.

«Cioè?» chiese Schmidt.

«Tra mille anni, chi scriverà la storia dell’umanità celebrerà il suo nome. Sarà il primo uomo che sia entrato in contatto con una razza extraterrestre intelligente.»

Stoner avvicinò lo scotch alle labbra, e si disse: “No. Schmidt avrà anche scoperto i segnali radio, ma sarò io il primo uomo a entrare in contatto diretto con gli alieni. O a morire nel tentativo di farlo”.

La smorfia corrucciata di Schmidt si accentuò. «E cosa le fa pensare che tra mille anni esisterà una razza umana che scriva la propria storia? O anche solo fra cent’anni?»

«Naturalmente…»

«Supponga» proseguì Schmidt «che questa nave sia un invasore, l’avanguardia di una flotta aliena che ci annienterà. Chi potrà scrivere il mio nome?»

«Un’ipotesi un po’ drammatica, non crede?»

Stoner, a metà di un altro sorso, scoppiò a ridere nel bicchiere. «Siamo qui» disse «su un atollo dimenticato da Dio nel mezzo del Pacifico, ad aspettare che un’astronave aliena ci passi tanto vicina da poterla studiare, e tu parli di ipotesi drammatiche? Tutta questa storia è eccessiva!»

«Hm. Già. Comunque, io proprio non credo che una specie intelligente se ne vada in giro per l’universo solo con l’idea di distruggere e rapinare. Succede nei libri, e basta.»

«E chi lo sa?» disse Stoner. «Non si può dedurre una traiettoria da un solo dato.»

Cavendish appoggiò sul banco il bicchiere vuoto. «Si è fatto tardi, per me. Sarà meglio che me ne vada.» Tolse dal portafoglio un biglietto da un dollaro e lo posò sul banco. «Buonanotte.»

E si allontanò subito, piantando lì Stoner e Schmidt. Stoner si sentiva a disagio col ragazzo, che peraltro sembrava felicissimo di abbandonarsi alle sue malinconie.

“Cavendish mi ha appioppato il pupo” capì all’improvviso Stoner. “Vecchio imbroglione lurido!”

Scrutò la folla, in cerca di un viso amico. Il locale rigurgitava di fumo e uomini. Uomini che parlavano forte, ridevano, bevevano, agitavano sigarette e sigari, giocavano a carte, si raccontavano storie, assediavano le poche donne. Scienziati e tecnici del Progetto Jupiter avevano triplicato le presenze umane sull’isola, ma la sproporzione tra uomini e donne era sempre enorme.

“I commercianti di Kwajalein votano a favore dell’alieno” pensò Stoner. “Il barista non si preoccupa all’idea di essere invaso. Basta che i soldi continuino a entrare.”

Individuò Markov a un tavolo sul lato opposto del locale, circondato da un misto di americani, europei e russi. Sembrava che si stessero divertendo.

“Dovrei conoscere meglio Markov” si disse Stoner.

Lanciò un’occhiata a Schmidt, che fissava trucemente il secondo bicchiere di birra, e gli disse: «Forza, uniamoci a quelli là.»

L’astronomo olandese lo seguì senza una parola.

«…E così, lei mi informa» stava dicendo Markov, lo sguardo acceso, le mani che sfioravano un bicchiere di vodka «che vuole fare il bagno di mezzanotte.»

Stoner prese una sedia dal tavolo vicino e si unì al gruppo. Schmidt restò in piedi alle sue spalle.

Dopo una strizzatina d’occhio di saluto, Markov continuò: «Ovviamente è americana, e piuttosto bella. Quando le spiego che non ho il costume, lei mi introduce ai misteri di un’espressione americana sconosciuta: “Bagno a fior di pelle”.»

Lo trovarono tutti molto divertente, e risero. Tutti tranne Schmidt. Stoner si chiese di chi stesse parlando il russo.

«Naturalmente, quando mi spiega cosa significa “bagno a fior di pelle”, sono felicissimo di seguirla!»

Un coro assordante di risate.

«Poi, quando siamo entrati in acqua, mi dice che la laguna è piena di squali, specialmente di notte.»

«È vero» disse uno degli americani.

«Ci sono anche le murene.»

«Però, aggiunge, se restiamo nell’acqua bassa siamo perfettamente al sicuro. Lì s’incontrano solo squali piccoli.»

Alzando gli occhi, Stoner vide che Schmidt non si era ancora concesso un solo sorriso. Un caso disperato.

«E cos’hai fatto?»

Markov scrollò teatralmente le spalle.

«Cosa potevo fare? Posto di fronte al dilemma di incontrare uno squalo o di lasciarla sola e indifesa nella laguna, ho fatto l’unica cosa giusta.» Una pausa a effetto. «Sono corso sulla spiaggia a tutta velocità e ho cominciato a rivestirmi!»

Stoner rise con gli altri. Però, all’improvviso, intuì che forse il russo stava parlando di Jo.

«Lei mi urla dall’acqua: “Non avere paura! Questi piccoli squali non danno fastidio a nessuno!”. E io le rispondo: “Ti sbagli. A qualcuno danno fastidio. A me!”.»

Uno dei russi, in un inglese approssimativo, disse: «Con uno squalo, un uomo ha molto più da perdere di una donna.»

«Che esperienza» riprese Markov. «È uscita dall’acqua e ha cominciato a insultarmi per la mia vigliaccheria. Vi è mai capitato di subire le ire di una ragazza nuda e gocciolante, sotto la luna tropicale? Roba da far saltare i nervi.»

Bevve un lungo sorso di vodka.

«E così sei tornato sporco di sabbia e tutto bagnato» disse qualcuno.

«Avrei preferito fare un salto da lei… Per lavarmi, se non altro» spiegò Markov. «Però sta all’hotel con tutte le altre donne non sposate, e dopo mezzanotte è impossibile che le guardie ti lascino entrare.»