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«Che peccato.»

Markov sospirò. «Ho speranze. Mi dicono che lo spaccio venda un repellente per gli squali.»

«Ci sono anche piscine» disse qualcuno. «Qui al Circolo Ufficiali, all’hotel, e un’altra all’Aus.»

«Sì, lo so. Però, vedi, non è che a me interessi nuotare.»

Tutti gli altri scoppiarono a ridere, ma Stoner pensò: “Gesù Cristo, ci scommetto che sta parlando di Jo. Jo potrebbe benissimo fare una cosa del genere”. Capì che non gli andava l’idea che il russo la prendesse in giro, ma se non altro Markov non aveva fatto il suo nome. Perché, probabilmente, non sapeva nemmeno come si chiamasse.

Il gruppo attorno al tavolo continuò a raccontare aneddoti per un’oretta, poi cominciò a sciogliersi. Quando si alzò, Stoner si accorse che Schmidt era già scomparso. Chissà da quanto se n’era andato.

«Dottor Stoner» gli disse Markov.

«Lei è un ottimo parlatore.»

Markov atteggiò il viso a un’espressione di modestia. S’avviarono alla porta.

«Non ho ancora avuto la possibilità di dirle quanto mi abbia fatto piacere la sua lettera.»

«Ha scritto un ottimo libro.»

«Grazie» disse Markov, a voce talmente bassa che Stoner riuscì appena a udirlo nel frastuono del Circolo. «Però deve capire che la sua lettera ha svelato al nostro governo che si stava occupando dei segnali radio provenienti da Giove.»

«Lo so. È per questo che l’ho scritta. Ho pensato che la mia lettera non vi avrebbe detto niente, se non foste stati al corrente dei segnali. E se invece li conoscevate già, be’… Era necessario lavorare assieme, non in competizione.»

Raggiunsero la porta, uscirono nella calma della sera. «Temevo che i vostri servizi segreti la arrestassero, dopo quella lettera.»

«E infatti. Crede che sarei qui, se non mi avessero costretto a venire?»

In tutta onestà, Markov rispose: «Certo che ci sarebbe. Avrebbe rubato un sottomarino e si sarebbe spinto qui col favore delle tenebre, in mancanza di alternative. Questo è l’unico posto adatto a un uomo come lei, e non cerchi di nascondere una verità tanto ovvia. Soprattutto, non la nasconda a lei stesso.»

Stoner si fermò di colpo Sotto il lampione davanti all’entrata del Circolo, e fissò Markov. Dopo un attimo, ammise: «Ha ragione. Porca miseria, Ha proprio ragione.»

Markov ebbe un sorriso da ragazzino.

«Cosa c’entra un linguista, però? Non mi dica che è stata la mia lettera a metterla nei guai.»

«No, assolutamente no. Anzi, mi ha reso più prezioso agli occhi dei custodi della salvezza del popolo.» Markov s’incamminò piano, e Stoner gli si mise a fianco. «No, sono stato morso dalla stessa zanzara che ha infettato lei.» Il russo alzò gli occhi al cielo stellato. «Voglio “sapere”!»

Stoner annuì suo malgrado. «Già. Se esiste un solo PROGETTO JUPITER, dobbiamo stare tutti qui.»

«Certo. Il sapere è l’unica cosa importante, l’unica cosa duratura. Il piacere della scoperta… Ah, che emozione. Meglio delle donne, credetemi.»

«Meglio di “certe” donne» lo corresse Stoner.

Markov rovesciò la testa all’indietro, esplose in una risata. «Sì, sì! Giusto! Meglio di alcune!»

Stoner guardò l’ora, poi chiese: «Vuole venire al centro radar? Stanotte tenteranno di entrare in contatto col nostro oggetto.»

«Entrare in contatto?»

«Far rimbalzare un segnale radar» spiegò Stoner.

«Ma non è oltre Marte?»

«Sì, però quelli del centro radar pensano di poterci riuscire. Non vedono l’ora di provarci.»

«Verrò con lei» disse Markov. «Non ho mai visto una cosa del genere.»

«Non l’ha mai vista nessuno» ribatté Stoner. «E può darsi che non succeda stanotte. Quell’oggetto è maledettamente lontano.»

I due s’incamminarono, fianco a fianco, lungo la strada deserta, nell’oscurità calda e umida, indifferenti al profumo dei fiori e all’aroma salmastro dell’aria.

L’accademico Bulacheff sedeva, irrequieto, sulla sedia a schienale rigido. Sotto la scrivania di Borodinski c’era una piccola piattaforma in legno, per cui chi andava a conferire con lui doveva tenere la testa sempre alzata. Un vecchio trucco, ma Borodinski lo sapeva sfruttare bene. Aveva accolto l’accademico in modo brusco, gli aveva indicato la sedia, dopo di che aveva chinato la testa quasi calva e la barba curatissima sulle carte che ingombravano la scrivania.

“Allora è vero” si disse Bulacheff. “Il segretario generale sta morendo, e noi dovremo sopportare quest’uomo troppo giovane. Chissà se lo fa apposta a cercare di assomigliare a Lenin.”

Come leggendogli nel pensiero, Borodinski alzò gli occhi in quel preciso momento.

Sorrise paternamente. «Mi spiace di averla fatta aspettare, accademico Bulacheff, ma in questi ultimi giorni la pressione degli affari più urgenti è stata tremenda.»

Bulacheff esitò un istante, poi chiese: «Il compagno segretario? Sta bene?»

«Oh, sì, benissimo.» Il sorriso di Borodinski si smorzò. «Però è estremamente… occupato. Lo deve scusare.»

«Pensavo di vederlo. Abbiamo sempre discusso questa faccenda fra noi, di persona…»

«Per ragioni di sicurezza, lo so.»

«Ma il nostro comune amico mi ha chiesto di parlare con lei oggi.»

«Vedo.» Bulacheff si chiese fino a che punto potesse fidarsi di un uomo così giovane.

«I rapporti che giungono da Kwajalein indicano che forse sarebbe opportuno mandare un gruppo di cosmonauti incontro alla nave aliena» disse Borodinski. «Sono in corso preparativi in questo senso?»

“Sa tutto” capì Bulacheff. “Inutile tentare di tergiversare.” «I settori specializzati dell’Accademia stanno seguendo la nave e preparando i piani di navigazione per la missione di rendez-vous.»

«Bene.»

«Tuttavia, non spetta a noi chiedere all’esercito di mettere a disposizione i missili e i cosmonauti necessari per la missione.»

«Capisco.» Borodinski annuì. «Stiamo facendo questi passi, gliel’assicuro. Ciò che vogliamo da voi scienziati, per ora, sono dati sempre aggiornati sulla traiettoria della nave per un volo d’intercettamento.»

«Intercettamento?»

«Se l’astronave fosse ostile, o se dovesse cadere in mani nemiche…»

«La distruggerebbe?»

Borodinski aprì le mani verso il soffitto, «Puf! Con una bomba H. Il nostro amico non l’ha informata di questa possibilità?»

«Ne ha accennato una volta, sì, però…»

«Allora capisce che ci servono i dati sulla traiettoria. E solo i vostri radiotelescopi a lunga portata possono fornirli, a quanto mi si dice. I radar anti-missile dell’esercito non hanno una portata sufficiente.»

«Certo.»

Borodinski sorrise dolcemente, passandosi una mano sulla barba.

«Compagno…» iniziò a dire Bulacheff, poi esitò.

«Sì?»

«Sono corse… voci… di arresti, interrogatori. Il segretario generale sta bene? È al sicuro?»

L’altro socchiuse gli occhi, e il sorriso gli morì sulle labbra. «Compagno accademico, le assicuro che il segretario generale è al sicuro, e sta bene, e che nutre un interesse estremo per il visitatore alieno. In quanto alle voci di… cambiamenti all’interno del Cremlino, non se ne preoccupi. Non è cosa che riguardi lei, lo prometto.»

Bulacheff, però, avvertì sul cuore un peso antico, familiare.

Alzandosi, Borodinski disse: «L’unica cosa di cui deve preoccuparsi, mio caro accademico, sono i dati che ci occorrono.»

«Per il rendez-vous con l’astronave.»

«O per intercettarla con un missile.» Borodinski puntò l’indice sullo scienziato. «I nostri cosmonauti saliranno su quella nave, oppure la distruggeremo.»

Cavendish aveva di nuovo gli incubi. Il clima tropicale sembrava privare di tutte le energie il suo corpo fragile: da che era arrivato a Kwajalein, ogni sera andava a letto sempre prima. Ma il suo sonno era tutt’altro che tranquillo. Erano ancora chini su di lui con aghi e luci. Lui era piccolissimo, ed era stato molto cattivo a voler opporre resistenza. Loro erano giganti; opporsi a loro significava essere non solo sciocchi, ma anche cattivi. Vedeva l’oro dei loro denti quando ridevano, e avrebbe voluto fuggire, ma il suo corpo era paralizzato e gli aghi gli si infilavano nella carne e sentiva i liquidi bruciarlo, mentre tutti loro si protendevano su di lui…