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«Qualcuno che non contraccambia il tuo amore» continuò il russo. «O… Forse non sa nemmeno che tu lo ami?»

Per una ragione arcana, Jo capì di potersi fidare di quell’uomo dolce, quell’uomo che sembrava un ragazzo. Annuì lentamente.

Markov sospirò. «Chiunque sia, è un uomo fortunato» disse piano. «E uno sciocco.»

Reynaud camminava sulla spiaggia, a piedi nudi, lambito dalle onde calme. Si era arrotolato i calzoni fin sopra le ginocchia paffute, e aveva la camicia, madida di sudore, incollata alla schiena.

Strizzò gli occhi al sole del pomeriggio. Davanti a lui, sdraiato a metà sulla spiaggia e a metà nell’acqua, c’era qualcuno.

Reynaud raggiunse di corsa, sbuffando, il corpo riverso. Era Hans Schmidt.

«Salve» disse il giovane astronomo olandese, alzando lo sguardo su Reynaud. «Perché corre?»

Con un ultimo sbuffo di stanchezza, Reynaud s’inginocchiò a fianco del ragazzo. «Ti ho visto sdraiato qui… Pensavo che fossi svenuto, o morto.»

«Non sono morto» disse Schmidt, con un sorriso ambiguo. «Non sono nemmeno svenuto.»

«Allora perché…?» Reynaud spalancò le braccia.

«Perché no? Cos’altro dovrei fare?» Schmidt alzò la mano che teneva lungo il fianco. Tra le dita stringeva una sigaretta marrone.

«Non hai proprio niente da fare? Sei un astronomo, dopo tutto.»

Schmidt tirò una lunga boccata dalla sigaretta. «Non mi hanno mandato qui per lavorare, Sono in esilio. Questa è una prigione. Mi hanno spedito qui perché sapevo troppo.»

«Però credo…»

Schmidt offrì la sigaretta a Reynaud. «Non è poi troppo brutta, per essere una prigione. Il panorama è bello. E hanno dell’erba ottima. Su, l’assaggi. I marinai la vendono per poco. Arriva dalle Filippine.»

Reynaud fissò la sigaretta. «È marijuana?»

Con una risata, Schmidt si rizzò su un gomito. Aveva i capelli pieni di sabbia. «Dimenticavo. La sua generazione è dedita all’alcol, giusto? L’idea di provare l’erba la spaventa.»

«Be’…» Reynaud osservò la propria mano che afferrava la sigaretta. Se la portò alle labbra e tirò una boccata. Tossì.

Schmidt ricadde sulla sabbia, scosso dalle risate.

«Sono… Sono passati troppi anni» disse Reynaud, roco, gli occhi pieni di lacrime. «Ormai non riesco più a fumare.»

Restituì lo spinello a Schmidt, che aspirò soddisfatto.

«Non mi guardi con quell’aria di disapprovazione» disse il giovane astronomo. «So che potrei aiutarli. Quegli americani, e i russi. Sono così indaffarati, così presi. Ma perché dovrei aiutarli? Io ho scoperto quei maledetti segnali. Non fosse per me, sarebbero tutti a casa con famiglia e amici. Io sarei a casa con la mia Katrina. Prepareremmo il matrimonio. Faremmo l’amore. Invece, io sono qui, e lei probabilmente andrà a letto con qualcun altro.»

Reynaud sedette sulla sabbia, distese le gambe. «Lo so come ti senti. Questa faccenda ha scombussolato tutti.»

«Col cavolo che lo sa» mugugnò Schmidt. «Ha idea di cosa significhi aver voglia di fare l’amore?»

Con una risata cupa, Reynaud prese lo spinello e aspirò. Questa volta non tossì.

«Quando uno di quegli americani mi guarda» mormorò Schmidt «sento l’ostilità, la rabbia. Ce l’hanno con me perché li ho costretti a venire qui, su quest’isola.»

«Assurdo. Sono quasi tutti contenti di essere qui. Per loro è un progetto eccitante.»

«Non per me» disse Schmidt.

«E nemmeno per me.» Schmidt scosse la testa, guardò la laguna. Non una vela, non un segno di vita fino all’orizzonte. Da quanto si vedeva, potevano benissimo essere naufraghi.

«Anche lei si annoia?»

Reynaud scrollò le spalle. «Qui non c’è niente da fare per un cosmologo in pensione.»

«Inventi nuove teorie!» disse Schmidt. «È a questo che servono i cosmologi, no?»

«Forse. Però i miei tempi sono passati… Mi sento un fossile, una mummia esumata dopo migliaia d’anni trascorsi nell’oscurità.»

«Cos’ha combinato per farsi sbattere qui? Ha violentato una suora?»

Reynaud fissò il viso del giovane angelo. «Questo sarebbe difficile.»

Fumarono assieme lo spinello, finché diventò impossibile tenerlo in mano senza bruciarsi le dita. Schmidt gettò il mozzicone in acqua.

«Ne ho ancora parecchi» disse, con voce pigra, rilassata.

A Reynaud girava la testa. Si alzò, barcollò. «Credo sia meglio che io torni, adesso…»

«Resti qui. Forse quella fottuta astronave cadrà diritta nella laguna, dopo di che torneremo tutti a casa.»

«È ancora lontana più di cinquanta milioni di chilometri.»

«Benissimo, allora!» Il giovane si rizzò a sedere di scatto. «Possiamo andarle incontro a metà strada.»

«Sarebbe a dire?»

Con un sorriso complice: «Nella mia stanza… Ho certe pastiglie che ti portano diritto fra le stelle, “zoom”! Come ridere. Me le ha vendute uno dei civili che lavorano allo spaccio.»

«No, non credo…»

Ma Schmidt si tirò in piedi e afferrò Reynaud per il braccio. «Venga, le faccio vedere io. Non è il caso di spaventarsi. Sono meglio dell’alcol. Forza, venga con me.»

Reynaud lasciò che il ragazzo lo trascinasse su per la spiaggia, verso gli Alloggi Ufficiali Scapoli.

25

Quindi, se è possibile comunicare, pensiamo di sapere quale sarà il soggetto delle prime comunicazioni. Tratteranno dell’unica cosa che senza dubbio le due civiltà hanno in comune: la scienza.

Carl Sagan
The Interstellar Voyager — 1978

Stoner passeggiava avanti e indietro nel centro di controllo, caldo e affollato, aggirando la giungla di sedie e uomini e donne in piedi. Una dozzina di tecnici sedevano alle consolle elettroniche, gli auricolari in testa, gli occhi incollati agli schermi verdi.

A parte lo scintillio degli schermi e dei pulsanti luminosi sulle tastiere, la stanza era al buio. E le persone erano troppe, emettevano calore e ansietà, annullavano l’effetto dei condizionatori d’aria.

Stoner si muoveva freneticamente, come una belva in gabbia, fissando accigliato le schiene dei tecnici, i numeri che apparivano sugli schermi.

Si aprì la porta d’ingresso, entrò un raggio di sole, insopportabile. Tutti sobbalzarono, si agitarono. “Vampiri” pensò Stoner. “Siamo una tribù di osceni vampiri. La luce del giorno ci fa paura.”

Era Markov. Chiuse la porta, e in punta di piedi, col suo passo dinoccolato, si avvicinò a Stoner.

«Niente?» sussurrò.

«Buio assoluto» rispose Stoner. «Sono passate quasi sei ore, e nessuna reazione.»

Markov fissò lo schermo più vicino. «Non so bene se dovrei sentirmi allegro o depresso.»

«Depresso» disse, secco, Stoner.

Il russo scrollò le spalle. «Ho un messaggio per lei dal laboratorio fotografico. Hanno ricevuto le ultime foto ad alta definizione da Greenbelt.»

Stoner distolse gli occhi dallo schermo. «Da Big Eve? Le hanno viste? Come sono?»

«Non troppo buone, hanno detto.»

“Cosa ti aspettavi?” si chiese Stoner. “Non c’è niente che vada per il verso giusto. Non una sola maledetta cosa.”

«Sarà meglio che vada a dare un’occhiata.»

«Mi hanno detto che per ora le foto mostrano solo una macchia indistinta. Sembra la testa di una cometa.»

«Cristo! Non ditelo quando c’è McDermott nei paraggi. Non aspetta altro per tirarsi indietro sulla missione di rendez-vous.»

Il dottor Marvin Chartris si appoggiò all’indietro sulla poltrona e guardò dalla finestra del suo ufficio a pianterreno. Fuori, sul prato mal tenuto del museo, due cani si stavano montando con tutto l’entusiasmo possibile, sotto gli occhi curiosi di una dozzina di bambini.