“Ah, la primavera di Manhattan” pensò il dottor Chartris.
Squillò il telefono.
Chartris lanciò un’occhiata alla porta aperta dell’ufficio. Come al solito, la sua segretaria non si vedeva. Una volta, a chi gli aveva chiesto quanta gente lavorasse nel museo, Chartris aveva risposto: «Circa un terzo del personale.» La sua segretaria faceva parte della maggioranza.
Con un sospiro, alzò il ricevitore. «Planetario» disse.
«Marv» gracchiò la voce all’altro capo del filo «sono Harry Hartunian.»
«Ciao, Harry. Come vanno le cose a San Diego?»
«Benissimo. Folle oceaniche. E tu?»
«Tra un po’ crollo.»
«Sei sotto pressione? Mi dicono che a New York col bel tempo si sta peggio del solito.»
«E quand’è che abbiamo il bel tempo?» ribatté Chartris.
Hartunian rise. «Ehi, Marv, sai niente di un’attività insolita di macchie solari? Di eruzioni solari? Ho cercato di farmi dire dall’osservatorio di Kitty Peak cosa sta succedendo, ma hanno la bocca cucita.»
«È successo anche a te?»
«Come sarebbe a dire, anche a me?»
Chartris si agitò sulla poltrona, irrequieto come un ragazzo precoce regolarmente ignorato dall’insegnante.
«Da martedì scorso» spiegò «ricevo telefonate di continuo. Tutti vedono aurore boreali…»
«Già. Stanotte ce n’è stata una grandiosa qui.»
«Per quanto ne so, non si registra nessuna attività solare insolita. Ho sentito Kitty Peak, lo Smithsonian, persino qualche amico della NASA. Niente eruzioni solari, e nemmeno novità di rilievo nel campo delle macchie solari.»
«Allora, cosa diavolo è stato a causare l’aurora boreale di stanotte? Noi non abbiamo aurore boreali… Insomma, qui non se ne sono mai viste!»
Chartris si grattò la testa. «Mi venga un colpo se lo so, Harry. Però non è successo solo da voi. La settimana scorsa, l’aurora boreale è stata vista a Denver, Salt Lake City, persino a Las Vegas. Era più forte dei neon.»
«E a New York?»
«Scherzi? Qui ci va già bene se vediamo la luna piena.»
Hartunian non rise. «Cosa sta succedendo, Marv? Hai qualche idea?»
«Assolutamente nessuna. In ogni caso, è una cosa molto insolita.»
«Insolita? È una cosa da far paura!»
La sala riunioni del centro computer era troppo piccola per accogliere tutto il personale del Progetto Jupiter, e Ramsey McDermott ne era felicissimo. Voleva solo la gente più importante, non i tirapiedi.
«Lasciamo lavorare i peones» borbottò fra sé, percorrendo i pochi metri di corridoio che dal suo ufficio portavano alla sala riunioni.
McDermott si era scelto l’ufficio più spazioso a pianterreno del centro computer. Era l’ufficio più lussuoso e comodo di tutta l’isola, a eccezione di quello del capitano di marina che comandava il personale militare. Il capitano Youngblood aveva un ufficio più grande, che però si trovava nella vecchia sede dell’amministrazione militare, con condizionatori d’aria scassati e la pista d’atterraggio davanti. Il vicecomandante Tuttle aveva un ripostiglio per le scope vicino all’ufficio del capitano.
McDermott, invece, aveva il condizionamento d’aria centrale e la tranquillità rilassante del centro computer. Il suo ufficio si addiceva perfettamente al direttore del progetto, al celebre scienziato che faceva rapporto direttamente a Washington, all’uomo che sarebbe stato candidato al Nobel, se tutto funzionava a dovere.
Badava sempre ad arrivare in ritardo a quelle riunioni settimanali dei capigruppo, in modo che tutti fossero già presenti: Zworkin e i suoi due assistenti, più il loro linguista, Markov; Cavendish, rappresentante della NATO; i tre cinesi, che ancora non avevano aperto bocca alle riunioni; Reynaud, l’inviato del Vaticano e Thompson, che rappresentava il gruppo di McDermott, con due dei suoi assistenti.
Uno dei quali era Stoner.
McDermott odiava la presenza di Stoner: era un rompiballe, lo era stato sin dall’inizio. Continuava a insistere perché si preparasse la missione di rendez-vous con la nave aliena.
“Vuole diventare direttore del progetto al posto mio” rifletté McDermott. “Be’, non ci riuscirà mai. Ho la sua ragazza e sono il pezzo più grosso del progetto… E non mollerò! Né l’una né l’altra cosa!”
Quando entrò in sala riunioni e si portò a capo del tavolo, stava ridacchiando fra sé. Tolse pipa, accendino, tabacco, scovolini da diverse tasche del vestito e li dispose sul tavolo, poi si accomodò. Ai saluti dei capigruppo rispose con un solo cenno della testa. Era l’unico a indossare il vestito, o anche solo la giacca; tutti gli altri erano seminudi, sembravano gente in ferie. Persino i russi portavano camicie con le maniche corte.
“È per questo che sono seduto a capo del tavolo” si disse McDermott. “Io mantengo la mia dignità.”
Spostò gli occhi lungo il tavolo. «Dov’è il dottor Reynaud?»
Nessuno lo sapeva.
McDermott diede un’occhiata alla sua segretaria, una dipendente civile della marina di mezza età, seduta in un angolo sulla sinistra, il registratore pronto.
«Era informato della riunione» si scusò la donna.
«Telefonategli» ordinò McDermott. «Trovatelo.» Poi, girandosi verso il gruppo: «Cominceremo senza Reynaud.»
La segretaria fece partire il registratore, poi uscì di corsa.
«Allora» tuonò McDermott «qual è la situazione?»
Gli altri si scambiarono occhiate, chiedendosi chi dovesse essere il primo.
Markov si tirò la barba, poi disse: «Stamattina abbiamo iniziato a trasmettere diversi messaggi radio alla nave…»
«Sì» intervenne Zworkin. «Ho qui una diapositiva che mostra i tipi di messaggi trasmessi e le frequenze che usiamo.» Sfiorò un pulsante inserito nel tavolo, e sullo schermo in fondo alla stanza apparve un elenco.
«Non c’è stata risposta» disse McDermott.
«Non ancora» ribatté Zworkin. «Però sono passate solo poche ore.»
«Da Maui sta per arrivare l’impianto laser» disse Jeff Thompson.
«Su che frequenza opera?»
«Sull’infrarosso… Uno virgola sei micron.»
«Allora non è un laser al CO2.»
«No. Al neodimio.»
Stoner chiese: «Non potremmo usare il laser come radar, oltre che come canale di comunicazione? Potremmo ottenere dati ad altissima definizione sull’oggetto.»
«Ci servirebbe un impianto ricevente ad alta definizione» disse Thompson.
«Che costerebbe tempo e denaro» aggiunse McDermott.
«Però a Maui hanno l’impianto ricevente, no, Jeff?» insistette Stoner. «Usano il laser per seguire i satelliti.»
“Un rompiballe nato” ripeté fra sé McDermott. Ad alta voce, disse: «Stiamo ottenendo buone informazioni sulla forma e le dimensioni col radar, no?»
Thompson fissò Zworkin, che gli sedeva di fronte.
«Prego» disse il russo, gesticolando con le mani.
Thompson spinse un po’ indietro la poltroncina, sfiorò i comandi del proiettore all’estremità del tavolo.
«Come ha detto Keith» iniziò «abbiamo usato le frequenze di comunicazione anche come radar, registrando gli echi che ci tornano dall’astronave. I risultati che abbiamo sono… enigmatici.»
Sullo schermo apparve un’altra diapositiva. Mostrava una forma ovale. All’interno c’era un ovale allungato, una specie di sigaro piuttosto grosso.
«Che accidenti è?» grugnì McDermott.
«Il nostro visitatore» rispose Thompson. «Alle frequenze più basse, l’oggetto ha la forma di un uovo irregolare e inconsistente. Alcuni indizi sembrerebbero indicare che la forma pulsa, ma potrebbe trattarsi di anomalie dei nostri strumenti. Stiamo controllando. In ogni caso, le pulsazioni, se sono pulsazioni, non seguono ritmi regolari. Direi che è più probabile si tratti di interferenze degli strumenti.»