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Poi lei scappò via, verso l’hotel, lasciando lì Thompson. Lo scienziato sorrise fra sé, si chiese se dovesse essere fiero del proprio autocontrollo o mortificato per la mancanza di coraggio.

S’infilò le mani in tasca e s’avviò verso l’AUS, deciso a chiamare sua moglie a dispetto dell’ora e del costo della telefonata.

Markov e Stoner uscirono assieme dalla mensa, e videro Jo che camminava sola.

«Ah, la nostra compagna di rivoluzione» disse Markov. Corse giù per le scale e le urlò: «Jo! Signorina Camerata!»

Lei si girò, li vide avanzare verso di lei come due ragazzini spensierati.

«Salve» disse Jo a tutt’e due.

Stoner si sentì improvvisamente, a fianco di Markov, impacciato. «Ciao…»

Ma il russo prese la mano della ragazza, la baciò e disse: «Buonasera a te, mia dolcissima signora. La tua bellezza offusca le stelle.»

Jo sorrise. Stoner si sentì arrossire un poco.

Prendendo la ragazza sottobraccio, Markov disse: «Stasera dobbiamo chiederti la tua competenza; le tue capacità, il tuo coraggio.»

A voce bassa, Jo ribatté: «Di cosa stai parlando?»

«Abbiamo bisogno che tu faccia un lavoro pirata per noi» disse Stoner.

«Cioè?»

Rallentando il passo Stoner cominciò a spiegarle il loro piano. Jo guardò lui, poi Markov, poi di nuovo Stoner.

«Sì» disse «il computer immagazzina tutti i dati sulla traiettoria trasmessi dal radar. Mi sarebbe abbastanza facile far partire un programma di rendez-vous. Però credevo che McDermott avesse…»

«Quella cosa non è una cometa» esplose Stoner. «Non è un oggetto naturale. È artificiale.»

«Il professor McDermott ha una visuale troppo ristretta» aggiunse Markov. «Dobbiamo impedirgli di rovinare il senso e lo scopo di questo progetto.»

«Ne ha paura» disse Jo. «Mac “vuole” che sia un oggetto naturale perché è terrorizzato da ciò che potrebbe essere.»

Stoner scosse la testa. «Non ha tanta immaginazione.»

«Senti» insistette Jo «io so cosa gli passa per la testa…»

«Già, ci scommetto.»

Prima che lei potesse ribattere, intervenne Markov.

«Jo, dolcissima signora, ti ho detto che ci serve il tuo coraggio, oltre alle tue capacità. Ed è vero. Questi dati debbono essere preparati senza che il professor McDermott lo sappia.»

«È importante» disse Stoner, rinunciando al litigio. «Vitale.»

Jo non disse nulla.

«Ci aiuterai?» chiese Stoner.

«Vuoi andare incontro a quella cosa» disse lei.

Lui annuì. «Esatto. Non vuoi diventare astronauta? Aiutaci a entrare in contatto con quell’oggetto, e arruoleranno astronauti a centinaia.»

«Sicuro» disse Jo. «Una splendida opportunità. Ammesso che Mac non ci sbatta tutti dentro prima.»

Stoner alzò le mani, in un gesto che diceva: “Sta a te decidere”.

«Perché una missione di rendez-vous con equipaggio umano?» chiese Jo. «Perché non una sonda automatizzata, come quelle che sono atterrate su Marte e Venere?»

Stoner rispose immediatamente: «Perché occorrono anni per costruire sonde del genere. E sono “stupide”. Sono solo macchine programmate che fanno esattamente ciò per cui sono state programmate, e niente di più. Come si fa a progettare una macchina capace di studiare qualcosa che non abbiamo mai visto? Di cui non sappiamo praticamente niente?»

«L’oggetto sarebbe uscito dal nostro Sistema Solare prima che si concludano le discussioni di comitato» fece notare Markov.

«Però abbiamo navi attrezzate per un equipaggio umano» riprese subito Stoner. «La NASA ha lo Space Shuttle. I russi hanno le Soyuz. Mi sembra che ci sia una base di lancio a Johnston Island, non troppo lontano da qui.»

«E noi abbiamo anche la nostra stazione spaziale Salyut in orbita, con due cosmonauti a bordo. Potremmo mandarli…»

«No» scattò Stoner. «Sono io quello che parte.»

Markov ribatté: «Capisco che a te farebbe piacere partire, ma…»

«Niente ma. Ci occorre qualcuno che sappia cosa cercare. È impossibile insegnare a un cosmonauta tutto quello che dovrebbe sapere. Non si può trasformare un astronauta in astrofisico, non certo in un paio di mesi. Io sono l’unica scelta logica per questa missione. Mandare qualcun altro sarebbe stupido quanto mandare una sonda automatizzata, con la sua programmazione limitata.»

Tirandosi la barba, Markov disse: «La tua logica è impeccabile. Senz’altro sei al corrente di tutto quello che si sta facendo qui. Forse potremmo farti partire su un missile sovietico, assieme a uno dei nostri cosmonauti.»

Stoner annuì. «Mi andrebbe benissimo.»

Jo disse: «Però, se parti… Sarà una missione organizzata molto in fretta, vero?»

«Esatto. Se Big Mac avesse previsto sin dall’inizio la missione, le cose sarebbero molto più facili per noi.»

Lei scosse la testa. «Mi pare enormemente pericoloso.»

Passavano sotto un lampione: Stoner vide, sul volto di Jo, vera preoccupazione.

Le sorrise. «Non preoccuparti. Guidare la macchina a Boston è molto più pericoloso.»

Jo annuì, ma non sembrava convinta.

«Non mi credi?»

Jo rifletté un attimo, mentre superavano le case su ruote e gli edifici in cemento, grigi e sgraziati, che ospitavano gli uffici.

«T’importa davvero quello che penso? Tu hai già deciso di andare incontro al nostro visitatore nello spazio.»

«Devo andare» disse Stoner. «Devo.»

Intervenne Markov: «Ci servirà qualcun altro che ci aiuti nella nostra piccola rivoluzione.»

«Qualcun altro?» chiese Stoner.

«Sì. Qualcuno con tanta autorità da poter scavalcare le obiezioni del professor McDermott, quando si scoprirà cosa stiamo facendo.»

«Che ne dici del vostro capogruppo, Zworkin?» propose Jo.

«No» rispose Markov. «È troppo anziano e prudente per opporsi a McDermott. Pensavo al cosmologo, Reynaud.»

«Il monaco?»

«Sì. È in contatto diretto col Vaticano, il che può essere estremamente utile dal punto di vista politico.»

«Il Vaticano? Che influenze politiche ha il Vaticano?»

Markov rise piano. «Una volta, il nostro caro Giuseppe Stalin si è posto la stessa domanda… E, per sua disgrazia, ha trovato la risposta.»

«Reynaud mi sembra un pappamolla» disse Stoner. «Non ha il fegato di mettersi contro Big Mac. Che ne dite di Cavendish?»

«È malato» rispose Jo.

«Però è della NATO, e ha ottimi collegamenti con le alte sfere, da quello che sento.»

«Non credo che sarebbe l’uomo per noi» disse lentamente Markov.

«E poi è malato» ripeté Jo. «Sta male sul serio.»

«Comunque, potrei parlargli» disse Stoner.

Markov obiettò: «Però non devi essere tu a metterti in contatto con lui, Keith. Il tuo antagonismo con Big Mac è troppo noto.»

«E allora?»

«Gli parlerò io» disse Jo, «Ma non credo che servirà.»

«E io avvicinerò Reynaud» disse Markov.

In quel momento stavano superando i bungalow. Più in giù, Stoner vide un’altra coppia che camminava verso la spiaggia.

«Ah, una luce alla mia finestra» disse Markov. «La mia cara moglie mi starà certo aspettando.»

Lo accompagnarono al suo bungalow.

«Volete entrare a bere un goccio?» chiese Markov.

Jo guardò Stoner, che scosse la testa. Anche la ragazza rifiutò.

«Benissimo, allora.» All’improvviso, Markov strinse la destra di Stoner fra le sue due mani. Fissando l’altro negli occhi, il russo disse: «Forze enormi sono all’opera contro di noi.»

«Lo so» disse Stoner.

«Più di quante tu non sappia» insistette Markov.

Stoner annuì piano. «Non ha importanza.»