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«Sì. Combatteremo la giusta battaglia. Assieme. E contro tutti!»

«Maledettamente giusto.»

«Keith… Sono fiero di essere tuo amico.»

«E io sono fiero di poter dire lo stesso, Kirill. Sconfiggeremo quei bastardi, vedrai.»

«Sì. Certo.» Markov si girò verso Jo, le prese una mano, la portò alle labbra. «E tu, dolce signora… Per te, qualsiasi uomo affronterebbe a cuor leggero il plotone d’esecuzione.»

«Sei molto dolce» disse Jo, con un sorriso «ma troppo melodrammatico.»

«Ah, sì, lo so. È la nostra maledizione nazionale. Noi russi siamo un popolo emotivo. Sentiamo le cose con tutto il nostro essere.» Markov era leggermente confuso, imbarazzato. Si costrinse a sorridere. «Buonanotte. Forse domani il nostro visitatore risponderà ai segnali e noi non dovremo dare il via a nessuna rivoluzione, dopo tutto.»

«Buonanotte» rispose Stoner.

Markov salì i gradini di cemento, entrò in casa. Stoner s’incamminò con Jo verso l’hotel.

«È un tipo simpatico» disse. «Mi piace.»

«Anche a me.»

«Credi davvero che Reynaud potrebbe esserci utile?»

«Più di Cavendish» rispose Jo. «Quel poveraccio dovrebbe stare in ospedale.»

«Comunque gli parlerai, d’accordo? È importante.»

«Più importante della sua salute?»

Lui la scrutò.

«Certo che è più importante della sua salute! È più importante di tutto il resto…»

«Per te, Keith» disse Jo. «È importante per te. È il tuo sogno, la tua ossessione.»

Per un attimo, lui non rispose. Poi, dolcemente: «No, ti sbagli, Jo, non è un’ossessione: è la mia vita.»

28

L’ipotesi scientifica ormai accettata che l’universo abbondi di civiltà avanzate, simili a quella umana, viene messa in discussione da una cerchia ristretta ma in continuo aumento di astronomi.

Mentre la maggioranza degli scienziati continua a ritenere che l’intelligenza extraterrestre debba essere comune in un universo con bilioni e bilioni di stelle, i dissenzienti rimettono in discussione l’ipotesi. Anzi, asseriscono, è del tutto possibile che la nostra civiltà sia l’unica esistente…

Il dottor Michael H. Hart, della Trinity University di San Antonio, Texas, ha completato un’analisi computerizzata di pianeti ipotetici, basata sulle caratteristiche indispensabili per la comparsa di civiltà avanzate come la nostra. Le sue conclusioni sono che la vita intelligente debba essere tutt’altro che comune, anzi estremamente rara, e che forse la civiltà terrestre possa essere l’unica del cosmo…

“New York Times” — 24 Aprile 1979

Il Circolo Ufficiali era tranquillo, fresco, in penombra. Non erano ancora le sei, ma il locale si stava lentamente riempiendo dei clienti in attesa di cenare. Stoner sedeva cupo a un séparé d’angolo, le spalle alla parete.

Entrò Markov, scrollò la testa, aspettò che gli occhi si abituassero alla penombra dopo la luce accecante del sole. Alla fine vide Stoner e lo raggiunse al separé.

«Prenditi da bere» gli disse Stoner. «Fino alle sei non c’è servizio ai tavoli.»

Markov andò al bar, ordinò un vodka tonic e tornò al separé.

«Com’è andato l’incontro col professor McDermott?» chiese, sedendosi di fronte all’americano.

Stoner gli indicò i due bicchieri vuoti di birra, e il terzo quasi vuoto che aveva davanti.

«Così terribile?» disse Markov.

«Kirill, siamo nelle mani di fanatici» rispose Stoner. «Big Mac è paranoico, e Tuttle è un fanatico religioso.»

Markov bevve un sorso. «Raccontami.»

Stoner cominciò a spiegargli.

Maria Markova era seduta in poltrona, nel soggiorno del bungalow. Aveva in grembo una lettera da Mosca, appena arrivata con l’aereo che una volta la settimana portava la corrispondenza dall’URSS. In mano teneva un oggetto nero, oblungo, all’incirca della forma e delle dimensioni di una calcolatrice tascabile.

La lettera, scritta a mano in impeccabili caratteri cirillici, era firmata: “Con affetto, tua cugina Anna”. La cugina Anna non esisteva. La calcolatrice tascabile era un computer crittografico, e Maria lo stava usando per decifrare gli ultimi ordini di Mosca.

Il messaggio era secco, brutale: impedire agli americani di preparare una missione di rendez-vous. Servirsi di tutti i mezzi disponibili.

Maria spense l’apparecchietto e si alzò pesantemente. Bruciò la lettera sul lavandino della cucina, poi andò in camera da letto e rimise il computer al suo posto nella valigetta.

Servirsi di tutti i mezzi disponibili.

Il che significava Cavendish. Era il suo unico strumento, la sua unica arma. Maria piombò a sedere sul letto, a fianco della valigetta. Il materasso scricchiolò e si abbassò.

Cavendish. Lei chiuse gli occhi, ma continuò a vedere lo sguardo di dolore assoluto sul viso distrutto del vecchio. Ed era successo quando si era limitata a chiedergli informazioni. Adesso, in qualche modo, doveva “usarlo”, e punirlo se avesse opposto resistenza.

Maria rabbrividì.

Il comportamentismo era iniziato col lavoro di Pavlov sui cani, a quanto aveva studiato Maria. Gli psicologi occidentali avevano sviluppato il concetto nella teoria delle motivazioni: il soggetto va premiato quando fa la cosa giusta, e il premio gli deve essere tolto se sbaglia. Un approccio pietistico al problema, che comportava enormi sprechi di tempo e di pazienza in cambio di risultati miseri.

I superiori di Maria avevano scoperto da parecchio che il principio inverso è più efficace e più sicuro: punire il soggetto al minimo sbaglio, e annullare la punizione solo quando l’obbedienza è assoluta. In effetti, era lo stesso principio scoperto da Pavlov. Però, sfruttando la punizione anziché il premio, si ottenevano risultati migliori, e più in fretta. Ovviamente, gli effetti a lungo termine sul soggetto erano micidiali, ma a questo era impossibile rimediare.

Maria sfiorò i tasti della sua apparecchiatura elettronica. I microelettrodi erano stati trapiantati nel cervello di Cavendish molti anni prima, però funzionavano ancora, ed erano talmente piccoli che in tutto quel tempo nessuno ne aveva notato la presenza.

Gli psicologi occidentali avrebbero inserito gli elettrodi nel centro di piacere del cervello, per premiare le buone azioni di Cavendish con un flusso di piacere elettronico. I chirurghi di Mosca, invece, erano stati più accorti. Maria poteva scatenare un’ampia gamma di effetti nel cervello di Cavendish, dall’insonnia al dolore più atroce.

“Se rifiuterà di aiutarmi” pensò ormai in preda all’apprensione “sarò costretta a torturarlo.”

Markov finì il secondo vodka tonic e rimise il bicchiere sul tavolo di formica, in perfetta corrispondenza dell’impronta ad anello che aveva lasciato.

«Da rivoluzionario a rivoluzionario» disse a Stoner «secondo me siamo in un vicolo cieco.»

«È la tua meditata opinione, giusto?»

Con un sospiro d’infelicità: «Sì.»

Stoner si alzò, raggiunse un po’ traballando il bar, tornò con altre due birre e due vodka tonic.

«Tu prevedi un lungo assedio» disse Markov, mentre Stoner depositava i bicchieri sul tavolo.

«Il vero rivoluzionario dev’essere pronto a lunghi assedi» rispose gravemente Stoner. «E ai vicoli ciechi.»

«Ne abbiamo già a sufficienza» disse Markov.

«In una buona causa, non esistono sconfitte, solo ritardi.»

Markov levò il bicchiere. «Alla rivoluzione.»

«Arriveremo all’inevitabile trionfo» disse Stoner, citando Roosevelt «per cui ci aiuti Iddio.»

«Hai piani per cena?» chiese Markov, dopo essersi staccato il bicchiere dalle labbra.

Stoner scosse la testa.

«Prevedi di mangiare qualcosa, stasera?»

«Presumo di no. Non c’è fretta.»

«Certo.»

«Hai avuto successo nell’approccio al nostro buon monaco, fratello Reynaud?» chiese Stoner.

«Se ti portassi buone notizie, me ne starei qui a bere con te in questo stato d’animo lugubre?»

«Lugubre? Allora sei proprio un linguista, eh?»

«Ogni tanto.»

«Lugubre.» Stoner rigirò l’aggettivo nella mente. «Ecco l’inverno del nostro scontento…»

Markov levò il bicchiere senza troppo entusiasmo. «La nostra rivoluzione non sta andando bene, temo.»

«Be’, nemmeno la rivoluzione americana è partita senza intoppi, amico mio. Siamo nel nostro periodo Valley Forge.»

Il viso di Markov si schiarì un poco. «Giusto. Anche voi siete stati una nazione rivoluzionaria.»

«Siamo stati? Noi “siamo” una nazione rivoluzionaria» disse Stoner. «Abbiamo inventato il telefono, no? Non è stata una rivoluzione? E l’aereo, il computer, l’orologio di Topolino… Quella sì che è stata una “vera” rivoluzione, amico mio.»

«Credevo che fossimo stati “noi” a inventare il telefono» disse Markov, grattandosi la barba. «Sono sicuro di averlo letto sulla “Pravda”.»

«Okay, ti lascio il telefono. Però noi abbiamo inventato le cene già pronte per quando si guarda la televisione.»

«Una vera rivoluzione.»

«E il chewing gum.»

Brindarono al chewing gum.