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WASHINGTON (DC) È DIVENTATA IL CENTRO FOCALE DELL’AZIONE FEDERALE TESA A STRONCARE LA PRODUZIONE E LA DISTRIBUZIONE DI FENCICLIDINA (PCP): GLI AGENTI FEDERALI HANNO SCOPERTO 10 LABORATORI CHE PRODUCEVANO PCP E SEQUESTRATO DROGA PER UN VALORE DI 2 MILIONI DI DOLLARI CIRCA DALL’INIZIO DEL ’78; L’AGENTE SPECIALE DAVID CANADAY INFORMA CHE A WASHINGTON È STATO SCOPERTO PIÙ PCP CHE IN OGNI ALTRA CITTA AMERICANA; E NOTA CHE L’USO DI PCP SI CONCENTRA SOPRATTUTTO SULLA COSTA EST (M).

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TRE ARTICOLI DEL “LOS ANGELES TIMES” DISCUTONO GLI EFFETTI DELL’USO DELLA DROGA SINTETICA PCP, COMUNEMENTE DEFINITA “POLVERE DEGLI ANGELI”, SU CHI LA ASSUME, SUL PERSONALE MEDICO DL POLIZIA, SULLE INDUSTRIE CHIMICHE; IL PCP PROCURA UN’ECCEZIONALE FORZA FISICA E L’IMMUNITÀ AL DOLORE, SPESSO ACCOMPAGNATE DA COMPORTAMENTO BIZZARRO E VIOLENTO, IL CHE RENDE DIFFICILE ALLA POLIZIA USARE I TRADIZIONALI METODI DI COSTRIZIONE; LE RICERCHE MEDICHE NON SONO ANCORA GIUNTE A STABILIRE UNA PROCEDURA STANDARD DI CURA, PERCHÉ SI SA BEN POCO DI COME AGISCA IL PCP; IL PCP NON È COSTOSO E SI RICAVA DA SOSTANZE CHIMICHE IN LIBERA E LEGALE CIRCOLAZIONE SUL MERCATO…

Reynaud era seduto sull’orlo del letto di Schmidt, teso fino allo spasimo, e scrutava il giovane astronomo.

Da più di un’ora Schmidt se ne stava seduto in un angolo della sua stanza, le braccia abbandonate lungo i fianchi, le mani posate sul pavimento di legno. A occhi sbarrati, fissava il nulla.

Sembrava morto, non fosse stato per l’alzarsi e abbassarsi veloce, affannato del petto e per il respiro ansimante che gli usciva dalla bocca.

Reynaud aveva cercato di parlargli, aveva provato con l’acqua fredda, l’aveva persino schiaffeggiato. Schmidt era sempre rimasto lì, immobile, lo sguardo assente.

“Se chiamo un medico lo sbatteranno dentro” pensò Reynaud. “Lo sa Dio dove si è procurato la droga. E se non uscisse più dalla crisi? Se morisse?”

Per la centesima volta, Reynaud si alzò, arrivò alla porta. “Forse c’è un dottore disposto a curarlo senza informare le autorità” si disse.

Ma la sua mano si rifiutò di abbassare la maniglia.

Quando si girò verso l’astronomo, le mani di Schmidt si stavano chiudendo lentamente a pugno.

«Lo vedo» disse Schmidt, rauco.

“Dio ti ringrazio” pensò Reynaud. “Ne sta venendo fuori.”

«Arriva» gracidò Schmidt. «Oh, Gesù Dio, mi arriva diritto addosso! Arriva!»

Si alzò in piedi, traballando. Reynaud gli si avvicinò, e davanti al ragazzo si sentì piccolo e inutile.

«Mi arriva addosso!» urlò Schmidt. «I colori…» Si coprì gli occhi con un braccio. «“Il dolore!”»

«No, no, andrà tutto bene» disse Reynaud, cercando di afferrare l’altra mano del giovane.

Ma Schmidt lo spinse via con uno scatto improvviso del braccio. Reynaud colpì il letto con la parte posteriore delle gambe, vi precipitò sopra, atterrò pesantemente sul lato opposto del pavimento.

«Non ce la faccio!» urlò Schmidt.

Sollevò il letto da terra, lo alzò sopra la testa. Reynaud capì che stava per arrivare la morte. Non riusciva a muoversi. Per un orribile istante, Schmidt restò proteso su di lui come un sacerdote azteco pronto a strappargli il cuore dal petto.

Poi il giovane, il viso contorto in una maschera atroce di furia selvaggia, girò su se stesso e scagliò il letto come fosse un fuscello. L’intelaiatura metallica si abbatté sulla parete, fracassò l’armadietto e la sedia, dilaniò l’intonaco come una bomba.

Schmidt corse alla porta, la spalancò e scomparve in corridoio, Reynaud restò immobile sul pavimento, pallidissimo per il dolore e lo shock, un braccio ripiegato sotto il corpo in un angolo grottesco.

«Non funzionerà mai» stava dicendo Markov.

«Sì che funzionerà» insistette Stoner.

Erano ancora nel séparé del Circolo Ufficiali, e adesso bevevano caffè. La testa di Stoner era tutto un rimbombo. Markov aveva un aspetto distrutto, esausto.

Jo era andata al ristorante prima che chiudesse, a prendere qualche panino. Era seduta vicino a Stoner.

«Credo che potrebbe funzionare» disse. «Il dottor Thompson ci aiuterà, ne sono sicura.»

Markov scosse la testa, una volta sola. Il dolore lo costrinse a fermarsi e chiudere gli occhi.

«Ti preoccupa l’idea che ci sia di mezzo troppa gente» disse Stoner.

«Sì» ammise Markov, senza aprire gli occhi. «Falsificare un messaggio del nostro visitatore richiederebbe noi tre, Thompson, e come minimo altri due o tre tecnici del radiotelescopio. E poi, non credi che uomini come Zworkin e Cavendish siano talmente preparati da scoprire, con un po’ di studio, che il messaggio è falso?»

«È qui che entri in gioco tu, vecchio mio» disse Stoner. «Sarà tuo compito ideare un messaggio che li lasci perplessi per un certo tempo, finché non avremo dato il via alla missione di rendez-vous.»

Markov aprì gli occhi, sorrise triste. «Vedo. Dipende tutto da me.»

«Molto, sì.»

«Tenterai?» gli chiese Jo.

Il russo si inumidì le labbra, le sorrise. «Per te, mia bellissima, oserei tutto. Perché no? Sarà una sfida interessante. E se siamo veri rivoluzionari, dobbiamo correre qualche rischio, no?»

Nonostante il mal di testa, Stoner capì che Markov stava semplicemente cercando di essere compiacente con loro due. Il russo non aveva fiducia in quel piano disperato. Comunque, Stoner brindò a Markov con la tazzina di caffè.

«Alla nostra rivoluzione.»

Markov toccò con la propria la tazzina di Stoner, Al brindisi si unì Jo, che disse: «A noi.»

Dietro la cortina rossa del dolore, Cavendish li vide portare Reynaud in infermeria: due giovani marinai entrarono con la barella su cui era riverso il monaco. Grasso e tozzo com’era, sembrava una piccola balena bianca vestita di nero. Cavendish aveva la vista offuscata dal dolore; non riuscì a capire se Reynaud fosse o no svenuto.

«Cosa… Cosa gli è successo?» La voce di Cavendish era debole, incerta.

L’infermiera di mezza età, molto efficiente, che si occupava di lui schioccò la lingua. «Non ci pensi. Stia qui tranquillo a riposare.»

Cavendish era troppo stanco per poter fare qualcosa d’altro. Però il dolore, anziché migliorare, stava peggiorando. Era stato un errore andare in ospedale quando l’attacco era iniziato. Adesso era intrappolato lì, e le ondate d’agonia gli squassavano il corpo, anche se i dottori lo avevano riempito di analgesici.

Sapeva dove avrebbe dovuto trovarsi, cosa avrebbe dovuto fare. Stava disobbedendo, e loro lo punivano. Com’era giusto. Disobbedire era stata una follia. Però adesso l’infermiera americana incombeva sul suo lettino, e lui era troppo debole per tentare la fuga.

“Se solo se ne andasse per un minuto o due” pensò Cavendish. “Se mi desse il tempo di scappare.”

Il giovane dottore che gli aveva fatto l’iniezione entrò nella stanza.

«Come va?» chiese all’infermiera.

«È molto irrequieto.»

Girandosi verso Cavendish, il dottore ebbe un sorriso professionale. «Avverte ancora qualche disagio?»

«Mi… Mi sento un po’ meglio» mentì, perché sapeva che era quella la risposta che il dottore si aspettava.

«Bene. Cerchi di rilassarsi. Le emicranie non durano all’infinito.»

«L’uomo… che hanno appena ricoverato» riuscì a boccheggiare Cavendish. «Era il… dottor Edouard Reynaud?»

Il medico annuì. «Sì. È caduto e si è rotto un braccio.»